DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

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15 DICEMBRE 2015












CLERICALISMO VS SPERANZA

La speranza è questa virtù cristiana che noi abbiamo come un gran dono del Signore e che ci fa vedere lontano, oltre i problemi, i dolori, le difficoltà, oltre i nostri peccati”. Ci fa “vedere la bellezza di Dio”:
“Quando io mi trovo con una persona che ha questa virtù della speranza ed è in un momento brutto della sua vita – sia una malattia sia una preoccupazione per un figlio o una figlia o qualcuno della famiglia sia qualsiasi cosa – ma ha questa virtù, in mezzo al dolore ha l’occhio penetrante, ha la libertà di vedere oltre, sempre oltre. E questa è la speranza. E questa è la profezia che oggi la Chiesa ci dona: ci vuole donne e uomini di speranza, anche in mezzo a dei problemi. La speranza apre orizzonti, la speranza è libera, non è schiava, sempre trova un posto per arrangiare una situazione”.
Nel Vangelo, ci sono i capi dei sacerdoti che chiedono a Gesù con quale autorità agisca: “Non hanno orizzonti, sono uomini chiusi nei loro calcoli, schiavi delle proprie rigidità. E i calcoli umani chiudono il cuore, chiudono la libertà, mentre la speranza ci fa leggeri:
Quanto bella è la libertà, la magnanimità, la speranza di un uomo e una donna di Chiesa. Invece, quanto brutta e quanto male fa la rigidità di una donna o di un uomo di Chiesa, la rigidità clericale, che non ha speranza. In quest’Anno della Misericordia, ci sono queste due strade: chi ha speranza nella misericordia di Dio e sa che Dio è Padre; Dio perdona sempre, ma tutto; oltre il deserto c’è l’abbraccio del Padre, il perdono. E, anche, ci sono quelli che si rifugiano nella propria schiavitù, nella propria rigidità, e non sanno nulla della misericordia di Dio. Questi erano dottori, avevano studiato, ma la loro scienza non li ha salvati.
A Buenos Aires, durante una Messa per i malati nel 1992, stavo confessando ormai da molte ore, quando è arrivata una donna molto anziana, ottantenne, con gli occhi che vedevano oltre, questi occhi pieni di speranza. E io ho detto: ‘Nonna, lei viene a confessarsi?’. Perché io mi stavo alzando. ‘Sì’. ‘Ma lei non ha peccati’. E lei m’ha detto: ‘Padre, tutti ne abbiamo’. ‘Ma, forse il Signore non li perdona?’. ‘Dio perdona tutto!’, m’ha detto. Dio perdona tutto. ‘E come lo sa?’, ho chiesto. ‘Perché se Dio non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe’. Davanti a queste due persone -  il libero, la speranza, quello che ti porta la misericordia di Dio e il chiuso, il legalista, proprio l’egoista, lo schiavo delle proprie rigidità – ricordiamo questa lezione che questa anziana ottantenne – era portoghese – mi ha dato: Dio perdona tutto, soltanto aspetta che tu ti avvicini”. Io vivo da tanti anni con questa speranza nel cuore ... perché Gesù che io conosco non condanna ma è  amore puro ed io confido sempre in lui  malgrado la mia piccolezza  i miei peccati i miei limiti  le miei scelte sbagliate. Anche se nessuno vuole ascoltarmi ... (Papa Francesco, Omelia a Santa Marta, 14 dicembre 2015)


PERSECUZIONE

Anche la folla della passione adotta a occhi chiusi le accuse generiche contro Gesù. Per lei, Gesù diventa subito quella causa suscettibile di intervento correttivo – la crocifissione – che tutti gli amanti del pensiero magico si mettono a cercare al minimo segno di disordine nel loro piccolo mondo. I persecutori credono sempre nell’eccellenza della loro causa, ma in realtà “odiano senza causa”. E questa assenza di causa nell’accusa (“ad causam”) i persecutori non la vedono mai. Bisogna dunque prendersela con questa illusione, se vogliamo liberare tutti questi poveretti dalla loro prigione invisibile, dall’oscuro sotterraneo dove marciscono, e che sembra loro il più splendido dei palazzi. (Rene Girard)


SCHIAVE BAMBINE

E’ una calda sera d’estate. La città dorme sogni tranquilli. Il grande atrio della stazione è semideserto. Nella penombra dei lampioni si nascondono delle giovani ragazze che aspettano clienti facoltosi. Alle 3 del mattino una di loro si accascia al suolo, trema. “E’ l’unica possibilità che hai di salvarti” le aveva detto un’amica, anche lei minorenne e costretta a lavorare sui marciapiedi. Benedetta segue il consiglio e finge un malore. Chiude gli occhi e si lascia andare. Qualcuno si accorge di lei. Quando riapre gli occhi è in ospedale: forse non ha mai provato così tanta paura in vita sua. La sua madame abita a pochi isolati da li, bisogna allontanarsi presto, i “protettori” la stanno cercando. La speranza si accende quando in quella stanza entra Katia, una volontaria. Benedetta è sotto le coperte, raggomitolata. “Quanti anni hai?” domanda la donna. Un sussulto, uno sguardo profondo e una semplice risposta: “19”. Katia ha imparato il nigeriano dalle ragazze che ospita fin dal 2008 in un centro d’accoglienza. Sa bene che nulla può avvicinare un cuore ferito quanto qualche parola detta nella lingua madre. Benedetta esce dall’ospedale e sale in macchina. In poco più di due ore è fuori dal suo inferno. Nel viaggio il raccontare diventa una liberazione. La mamma l’aveva abbandonata pochi giorni dopo la sua nascita. A prendersi cura di lei è il padre che aveva già sei figli. In realtà, non ha 19 anni, ma 13. Quando ne aveva 10, il fratello maggiore le dice che presto partirà per l’Italia. Viene sottoposta ad un rito voodoo: uno stregone prepara un feticcio con i capelli, il sangue e i peli pubici della piccola. Uno schiaffo all’innocenza. Durante il rituale la ragazza si impegna anche a pagare migliaia di euro. Inizia così un lungo viaggio che durerà dieci mesi, durante i quali, diverse volte, viene violentata da molti uomini: un triste anticipo di ciò che sarà costretta a subire in Italia. Dopo un pericoloso viaggio di una settimana, a bordo di un barcone fatiscente, approda a Lampedusa. Viene subito intercettata dai protettori di Madame; Benedetta prova a ribellarsi ma viene picchiata con violenza fino a quando non comprende di non avere nessun’altra possibilità. (Interris)


UOMINI E CANI (IN PROVETTA)

Nati in America i primi cani in provetta. Sono sette cuccioli di beagle e cocker spaniel, godono di buona salute e la tecnica con cui sono stati ottenuti potrebbe aiutare a tutelare le specie di canidi minacciate di estinzione. Secondo gli esperti si tratta di «una via interessante anche per l’uomo, considerando che l’essere umano condivide con il cane ben 350 malattie ereditarie: circa il doppio rispetto a quelle che ha in comune con altre specie». Pubblicato sulla rivista Plos One, l’esperimento è stato condotto presso l’Istituto Baker per la salute animale della Cornell University. I sette cuccioli, nati da 19 embrioni impiantati, sono il risultato di una nuova tecnica che combina la tradizionale fecondazione artificiale con la riscrittura del Dna (La Stampa).


VERDURA 

Mangiare lattuga è tre volte più dannoso per l'ambiente che mangiare pancetta. Stesso discorso per melanzane, cetrioli e sedano, meno ecosostenibili della carne di pollo e di maiale. A parità di calorie, infatti, la loro produzione consuma più acqua ed energia, producendo più gas serra. E' quanto dimostrano i ricercatori della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, in Pennsylvania. Le loro stime, pubblicate sulla rivista Environment Systems and Decisions, dimostrano infatti che le diete vegetariane e quelle più salutiste (che privilegiano frutta, verdura e pesce) hanno un impatto ambientale più pesante rispetto a quanto ipotizzato finora. Prendendo in esame le tipiche abitudini a tavola degli americani, i ricercatori hanno provato a calcolare le risorse necessarie per la produzione, il trasporto, la vendita e la conservazione casalinga dei prodotti alimentari, in termini di acqua, consumo energetico ed emissione di gas serra. Quindi hanno provato a rifare i conti, per vedere cosa potrebbe accadere seguendo le raccomandazioni per una dieta più sana elaborate dal Dipartimento dell'agricoltura degli Stati Uniti (Usda): un maggior consumo di frutta, verdura, latticini e pesce finirebbe con l'aumentare i consumi energetici del 38%, mentre l'acqua utilizzata salirebbe del 10% e le emissioni di gas serra del 6%.''C'è una complessa relazione tra alimentazione e ambiente'', spiega la ricercatrice Michelle Tom, dottoranda in ingegneria civile e ambientale. ''Ciò che è buono per la nostra salute - aggiunge - non è sempre buono per l'ambiente ed è importante che ne siano consapevoli quei decisori che elaborano le linee guida per l'alimentazione''. (Ansa)


PRESEPE

Il Presepe è il Mondo. Dio fece il Presepe del Mondo perché suo Figlio un giorno vi abitasse. L’uomo, creando il presepe, ricrea se stesso e scopre l’essenza di quel mondo che è chiamato ad abitare, coltivandolo e custodendolo. (Alessandro D’Avenia. Avvenire)


IL PASTORE ADDORMENTATO

Vorrei soffermarmi su altri due pastori del presepe siciliano, posto che nei personaggi del presepe è l’uomo di tutti i tempi che si rivela, con i suoi pregi e i suoi difetti. Così troviamo adagiato da qualche parte il pastore addormentato, detto Susi Pasturi (susirisi è il verbo siciliano che indica lo svegliarsi e levarsi), e ben dritto da qualche altra il cosiddetto Sbaundatu/Scantatu ra stidda, il pastore a bocca aperta che guarda o indica la Stella, colto da una meraviglia incontenibile (in altre tradizioni è un personaggio femminile di nomeMeraviglia). Mi piace pensare a questi due personaggi come a uno solo, colto in due momenti diversi. Il sonno tranquillo del primo, meritato riposo notturno di chi ha lavorato tutto il giorno e che proprio in quel riposo cerca la cura di una vita spesso piena di dolore, noia, ripetitività, quella che il pastore di Leopardi conosceva bene: «Se tu parlar sapessi, io chiederei: / Dimmi: perché giacendo /A bell’agio, ozioso, / S’appaga ogni animale; / Me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale?». Il pastore dormiente sa che quel riposo non basta mai, gli manca sempre qualcosa capace di riempire di meraviglia la vita, di gioia e di riposo il lavoro stesso, tanto da risolvere il grande enigma dell’esistenza: esiste qualcosa capace di rendere il lavoro riposo, la fatica gioia, le ore del giorno pace? Quel pastore ci rappresenta quando vorremmo fuggire dall’agone del mondo che si è fatto troppo arduo, quando nel cuore non c’è pace, l’amore degli altri non ci raggiunge, e ci sentiamo soli anche in mezzo alla folla. Gli altri ci toccano, ma la nostra parte più intima non è toccata dalla grazia, dalla bellezza, dalla gioia. Meglio dormire e aspettare il sonno eterno («poi stanco si riposa in su la sera: / Altro mai non ispera», rincara Leopardi), morire o dormire? Entrambe sono esperienze che si fanno in orizzontale, dormire ci prepara alla posizione definitiva. Eppure nella notte oscura del nostro cuore, della nostra vita quotidiana può levarsi una stella, una novità, una notizia che rinnova tutto, che accende una speranza dentro la paura. (Alessandro D’Avenia. Avvenire)


IL PASTORE STUPITO

Ai primordi della letteratura occidentale Omero ci regala una delle sue più belle similitudini, che sembrano descrivere il nostro pastore 'spaventato', 'meravigliato', dalle stelle: «Come quando le stelle nel cielo, intorno alla luna che splende, / appaiono in pieno fulgore, mentre l’aria è senza vento; / e si profilano tutte le rupi e le cime dei colli e le valli; / e uno spazio immenso si apre sotto la volta del cielo, / e si vedono tutte le stelle, e gioisce il pastore in cuor suo» ( Iliade, VIII, 555-560). Il pastore trova un motivo per essere verticale, attraverso la gioia del cuore, provocata dalla meraviglia del dispiegarsi del firmamento, si sente chiamato a essere verticale, c’è una forza di gravità che spinge al contrario, chiama verso l’alto, riempie di bellezza la fatica quotidiana. Non è forse quello che Dio fa sperimentare ad Abramo, quando lo invita a uscire dalla sua tenda per mettersi in viaggio, gli dice: «Esci fuori, guarda il cielo». La sua discendenza sarà superiore al numero delle stelle. Abramo viene risvegliato dal suo sonno, dal suo ristretto giro di cose e chiamato a una pienezza nuova, a testimonianza della quale Dio gli mostra il cielo stellato, nulla più («E quando miro in cielo arder le stelle; /Dico fra me pensando: /A che tante facelle»?). Allora il pastore Abramo si mette in viaggio, la volta celeste lo invita al volo, non folle e non frutto di semplice immaginazione: «Forse s’avess’io l’ale / Da volar su le nubi, / E noverar le stelle ad una ad una... / Più felice sarei, dolce mia greggia, / Più felice sarei, candida luna». Quel 'forse' viene messo da parte e si fa certezza, il pastore si sveglia e veglia, attende qualcosa e diventa attento, attenzione e attesa hanno la stessa radice, si mette in cerca dei segnali che facciano scoprire l’antidoto al tedio, alla noia, alla fatica, che diano senso anche alla fatica, alla noia e al tedio. La vita del pastore è rinnovata da dentro e costantemente, il piccolo diventa immenso.  (Alessandro D’Avenia. Avvenire)


STELLE DI NATALE

L’avvento è l’annuale occasione che ci è data per scoprire il segreto delle stelle, vero fondamento (firmamento vuol dire questo) della gioia stabile del cuore, promessa scritta nelle cose: c’è una Stella in arrivo, per cui vale la pena essere verticali. E riposare è necessario solo per essere più pronti al cammino del giorno dopo. Camminare e riposare saranno un unico gesto festivo, e la ferita della noia, del tedio, della paura, della stanchezza, si rimarginerà poco a poco, grazie alla Stella. E sapere definitivamente che non «è funesto a chi nasce il dì natale». (Alessandro D’Avenia. Avvenire)


NEUTRALIZZARE

Di tutti gli strumenti e tecniche immaginati per educare alla “cittadinanza”, arginare i conflitti, neutralizzare certi cosiddetti “ideali divisivi” (come per esempio la ricerca di “Ragione” e “Verità” con la maiuscola), individuare una “religione civile” in funzione coesiva della società, il “politicamente corretto” è il tentativo più universalmente riuscito e strutturato. Il politicamente corretto non è solo la neolingua orwelliana che divide selettivamente ciò che si può pensare (in privato) e dire (pubblicamente) da ciò che è tabù. È una vera e propria “religione” che, attraverso mezzi di comunicazione, scuole, accademie, istituzioni, plasma gli esseri heideggerianamente “gettati” nel mondo globalizzato. Con quale risultato? Il disordine e la violenza dominanti dovrebbero già darci un’idea del fallimento a cui è pervenuto, dopo la caduta del Muro, il più grande progetto di riscrittura del mondo secondo utopia. Ci troviamo di fronte a nient’altro che a un’evoluzione del nichilismo. Ancora una volta, dopo i “cimiteri sotto la luna” del secolo scorso, il tentativo di produrre “cristianesimo dall’esterno”, cioè una civiltà universale con “codici” nel cristianesimo ma ignorante o addirittura rinnegante Cristo, ottiene esattamente il contrario degli ideali di pace, giustizia, tolleranza eccetera, diuturnamente quanto utopisticamente affermati, sbandierati, martellati in ogni piega della società. Eppure, non sono forse gli stessi ideali introdotti nel mondo da Lui, “la Tigre”, secondo Eliot, “Buona Novella” che aprì uno squarcio di speranza sotto un cielo cupo, dominato da poteri disperati e divinità crudeli? Purtroppo, la chiesa universale di Cristo-senza-Cristo non è una realtà storica, una compagnia tra uomini, un’esperienza di vita. Purtoppo è solo un teatro idiota, pieno di tecniche e strumenti, e che non significa nulla. (Luigi Amicone. Tempi.it)


RIVOLUZIONI 

Il sociologo Giuliano Guzzo ha giustamente ricordato alcune analogie tra il Regime del Terrore francese e il terrore moderno promosso dall’ISIS. La decapitazione a cui assistiamo oggi, promossa dagli uomini del Califfato, conobbe infatti notevole diffusione proprio durante gli anni della Rivoluzione francese (18.000 decapitati almeno, al ribasso). Un altro parallelo è la distruzione delle opere d’arte e la discriminazione delle donne: ricordiamo che l’avvocato Sylvain Marechal (1750-1803), illuminista, propose nel 1801, durante la Rivoluzione, di vietare alle donne di imparare a leggere, e la stessa autrice della “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”, Olympe De Gouges, venne decapitata per «per aver dimenticato le virtù che convenivano al suo sesso».
Il celebre storico Pierre Chaunu, professore di Storia Moderna alla Sorbonne e membro dell’Institut de France ha spiegato che la considerazione altamente positiva da parte dei nostri intellettuali (anticattolici, in gran parte) verso il passato della Francia, «è una visione della storia assolutamente falsa, scritta da vincitori o comunque, in larga misura, da ricercatori con spiccate simpatie per l’ideologia rivoluzionaria. La rivoluzione è stata, in tutti i campi, una regressione della nazione». Fortunatamente, molti coraggiosi studiosi «hanno mostrato l’ampiezza straordinaria dei massacri compiuti sotto la Rivoluzione. Se si sommano le perdite della guerra e le perdite anteriori, si arriva per un Paese di 27 milioni di abitanti qual’era allora la Francia ad un totale che è nell’ordine di milioni. Sono perdite notevolissime, ancora maggiori di quelle subite dalla Francia nella Prima Guerra Mondiale. Per tutte queste ragioni, il bilancio della Rivoluzione è largamente negativo». Il mondo senza Rivoluzione francese sarebbe «molto migliore». Perfino Vito Mancuso, ha riconosciuto: «nei dieci anni della sua durata (1789-1799) si registra un numero di vittime variamente stimato dagli storici ma comunque enorme, visto che nei diciassette mesi del Terrore tra il 1793 e il 1794 si ebbero centomila vittime, una media di quasi 200 morti al giorno. E tutto questo nel nome di “liberté, égalité fraternité”».
Altro che Liberté, Égalité e Fraternité. A proposito di questo motto, la nota scrittrice Rosetta Loy, autrice “della memoria” per i suoi libri di denuncia contro la tragedia dell’Olocausto, ha commentato pochi giorni fa: «questa triade ha perso buona parte del suo valore quando i loro propinatori nel XIX secolo hanno rivolto i loro interessi verso gli altri continenti; e dimenticando Liberté, Fraternitè, Egalité, hanno brutalmente sfruttato le popolazioni che li abitavano da millenni. A volte in maniera orrenda e inaccettabile».
Mentre, ha proseguito Chaunu, «la libertà non è caduta dal cielo con la Rivoluzione, si è costruita nel nostro Paese attraverso i contadini del Medio Evo, coi Comuni, con il Parlamento, con tutta la costituzione giuridica: ebbene, occorre il coraggio di dirlo, lo Stato di diritto nel quale viviamo attualmente non è figlio della Rivoluzione, è figlio della storia, di San Luigi come di Luigi XVI. Tutti i principi che si trovano nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino erano già formulati, più o meno intelligentemente nella dichiarazione di Jefferson del 1783, e non sono altro che principi giudeo-cristiani. Che tutti gli uomini sono liberi è un principio del Deuteronomio». (http://www.uccronline.it/)


ARTE CONTEMPORANEA

Hanno visto una donna sanguinante, ferita da un'arma da taglio, ma in un primo momento nessuno dei visitatori dell'Art Basel di Miami si è davvero allarmato: «Credevamo fosse un'installazione e che il sangue fosse finto» ha raccontato un testimone. Invece il sangue era vero, e quella donna era stata accoltellata sul serio. È accaduto ieri sera tra le sculture e i quadri esposti in una delle più importanti fiere dell'arte contemporanea negli Stati Uniti. A sferrare il colpo era stata un'altra donna. Né la vittima né colei che l'ha aggredita erano artisti: si è trattato di una lite personale, presumibilmente tra due visitatrici dell'esibizione. In quel momento all'Art Basel di Miami erano presenti molti artisti e divi dello spettacolo, compresa l'attrice Katie Holmes, che però si trovava in un'altra area e non si è neppure accorta dell'incidente. (Il Messaggero)


PAURA DA SMARTPHONE 

Alla lunga lista di effetti collaterali, effettivi o presunti, associati agli smartphone – dall’alienarsi dal mondo a perdere il sonno a causa degli schermi luminosi – si è aggiunto da tempo quello della cattiva postura mantenuta mentre si consulta il cellulare, e dei riflessi che questa può avere sul nostro umore. Sul New York Times Amy Cuddy dell’università di Harvardscrive che gli smartphone “stanno trasformando la nostra postura, contorcendo i nostri corpi in quello che il fisioterapista neozelandese Steve August definisce iGobba (‘iHunch’)”. Una posizione innaturale che viene assunta più volte al giorno, tante quante sono le volte che controlliamo il telefono, e che può avere conseguenze per la nostra salute e per come ci sentiamo. In media la testa di un adulto pesa tra i 4,5 e i 5 chilogrammi. Quando incliniamo la testa in avanti di 60 gradi – come si fa quando si legge qualcosa sullo smartphone – il peso cui viene sottoposto il collo è pari a circa 27 chilogrammi. August dice che trent’anni fa iniziò a trattare un numero crescente di pazienti con la gobba: di solito persone anziane che in decenni di postura scorretta dovuta ad attività come la lettura e la scrittura avevano sviluppano la deformazione. Il problema è che ora lo stesso fenomeno inizia a essere osservato tra gli adolescenti, che manifestano quindi molto precocemente un inarcamento anomalo della schiena dovuto alla postura sbagliata. Cuddy spiega che il problema non è solamente di tipo meccanico. Inconsapevolmente, infatti, tendiamo a inarcarci su noi stessi quando siamo impauriti o ci sentiamo inermi. Diversi studi hanno mostrato come una postura di questo tipo sia diffusa tra le persone che soffrono di depressione, per esempio. Nel 2010 una ricerca scientifica condotta in Brasile ha notato che le persone depresse tendono a piegare in avanti il collo, a tenere le spalle in dentro e le braccia verso la parte centrale del corpo.
Il fatto è che in alcune circostanze è la postura stessa a causare, o amplificare, il proprio stato emotivo. In un esperimento condotto presso l’Università di Auckland, Nuova Zelanda, a un gruppo di volontari è stato chiesto di “stare dritti sulla sedia”, come dicevano le nonne, o di assumere una posizione più accasciata e ripiegata a sé stessi, rispondendo poi ad alcune domande di un finto colloquio di lavoro. Nel complesso, i volontari cui era stato chiesto di assumere la postura tipica delle persone depresse hanno dimostrato di avere meno stima verso loro stessi e di essere più impauriti e pessimisti. Al contrario, quelli con una corretta postura hanno mostrato di reggere meglio lo stress.
Un altro studio, questa volta condotto dalla Università di Hildesheim, Germania, ha evidenziato come la postura possa influire sulla nostra memoria. A un gruppo di persone con depressione sono state sottoposte liste di parole positive e negative, da leggere mantenendo una postura adeguata o richiusa su se stessi. I depressi ingobbiti hanno ricordato in media più parole negative. Un precedente studio condotto in Giappone, invece, aveva dimostrato che gli alunni cui era stato richiesto di svolgere un compito mantenendo una postura corretta avevano svolto in media un lavoro migliore, rispetto agli altri.
Sulla base di queste esperienze Cuddy ha predisposto un test, nel quale a ogni partecipante veniva offerto di interagire per 5 minuti con uno smartphone, un tablet, un laptop o un classico computer da scrivania. I ricercatori hanno poi misurato quanto tempo passava, dalla fine dei cinque minuti, prima che ogni partecipante chiedesse se poteva allontanarsi, visto che il test era terminato. Cuddy dice che a seconda delle dimensioni del dispositivo la reazione dei partecipanti – che consisteva nel farsi coraggio e chiedergli se se ne potesse andare – è cambiata sensibilmente: “Ciò suggerisce che la posizione ingobbita, quella che assumiamo quando usiamo i nostri smartphone, ci rende meno determinati, riducendo la probabilità di farci avanti quando la situazione lo richiede”.
Più è piccolo lo schermo del dispositivo, più ci si contorce per leggerlo e più aumenta l’influenza della postura sull’umore. Cuddy spiega nell’articolo che molti di noi usano ogni giorno smartphone e dispositivi simili per aumentare la loro efficienza e produttività, ma in realtà un loro uso anche per brevi periodi di tempo potrebbe sortire l’effetto contrario, riducendo la propria determinazione. (Il Post)


LA RADICE (CHANNUKKAH)

“Il Signore faccia splendere il Suo volto verso di te e usi grazia nei tuoi confronti”. Il secondo verso della benedizione sacerdotale (Numeri 6:25) è una possibile allusione ai lumi di Chanukkah. La luce che splende dal volto divino non è altro che la “luce nascosta” che emana dai lumi di Chanukkah e il termine “wichunnekkà-usi grazia nei tuoi confronti” ha in sé la stessa radice della festa. Inoltre, nel brano della Torah che in genere si legge nello Shabbat di Chanukkah (Miketz), quando Giuseppe rivede il fratello Beniamino dice: “Il Signore yochnekhà-ti faccia grazia, figlio mio” (Genesi 43:29). Nel senso, ti conceda la grazia della saggezza. Ecco perché nei giorni di Chanukkah acquisiamo il merito di una porzione maggiore di saggezza, capacità necessaria per saper distinguere la giusta luce. Specialmente in un periodo di presenza di tante luci estranee. (Adolfo Locci, rabbino capo di Padova. Moked.it)





SCHIAVISMO. Rino Cammilleri

“La schiavitù non è qualcosa che permanga nonostante il successo delle tre rivoluzioni liberali; al contrario, essa conosce il suo massimo sviluppo in seguito a tale successo: il totale della popolazione schiava nelle Americhe ammontava a circa 330mila nel 1700, a quasi tre milioni nel 1800, per raggiungere infine il picco degli oltre 6 milioni negli anni ’50 dell’Ottocento. A contribuire in modo decisivo all’ascesa di questo istituto sinonimo di potere assoluto dell’uomo sull’uomo è il mondo liberale. A metà del Settecento è la Gran Bretagna a possedere il maggior numero di schiavi (878mila). (…) A occupare il secondo posto è il Portogallo, (…) che però è sua volta una sorta di semicolonia della Gran Bretagna”. (cfr. Domenico Losurdo, “Controstoria del liberalismo”, Laterza, p. 37).

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Capo Verde La prima chiesa degli schiavi

Cdi Chiara Zappa
amminare per le viuzze assolate di Cidade Velha vuol dire fare quattro passi nella Storia. Tra le antiche Rua Carreira e Rua Banana, su cui si affacciano le basse casette in pietra dalla tipica architettura capoverdiana, sorge ancora oggi il nucleo di quella che fu la prima città costruita dagli europei nell’Africa sub- sahariana. Al centro della grande Praça Velha, la piazza acciottolata del municipio, è ancora in piedi il
pelourinho , la colonna a cui venivano legati gli schiavi per essere venduti o puniti: osceno monumento a quattro secoli di fiorente commercio di esseri umani. Non è solo per i suoi panorami mozzafiato a picco sull’oceano che il centro storico di quella che fu la prima capitale di Capo Verde, nota un tempo come Ribeira Grande, è stata inclusa quest’anno dall’Unesco nella lista degli angoli di mondo degni del titolo di patrimonio dell’umanità.
Erano gli anni Sessanta del 1400 quando due esploratori europei, l’italiano Antonio da Noli e il portoghese Diego Gomes, al servizio della Corona del Portogallo, gettarono le ancore davanti a questa baia, dando inizio alla scoperta e al popolamento delle isole di Capo Verde. Ancora non potevano immaginare che la città che ne sarebbe nata ( a una dozzina di chilometri da dove oggi sorge Praia, attuale capitale dell’arcipelago), grazie alla sua posizione strategica sarebbe diventata il punto di riferimento imprescindibile per secoli di navigazioni sulle rotte tra l’Europa, l’Africa e il Nuovo mondo. Non a caso da qui sarebbero passati tutti i grandi navigatori dell’epoca, da Vasco de Gama nel 1497, a Cristoforo Colombo, che vi fece sosta l’anno seguente durante il suo terzo viaggio verso le Americhe, fino a Magellano e Amerigo Vespucci. Nel giro di pochi decenni, il minuscolo agglomerato di Ribeira Grande – per popolare il quale la Corona, nel 1466, aveva pubblicato la « Carta dei privilegi » che garantiva agevolazioni ai nuovi abitanti – si trasformò così in un centro floridissimo, paragonabile per ricchezza alle grandi capitali del tempo. Nel 1549, un funzionario portoghese scriveva addirittura che « al di fuori di Lisbona nessun’altra città del reame è così prospera » perché « tutte le navi dal Brasile, dal Perù, dalle Antille e dall’isola di São Tomé fanno scalo a Ribeira Grande » .
A testimoniare questa ricchezza restano oggi le rovine dei numerosi forti eretti intorno alla città per respingere i continui attacchi dei pirati. La costruzione più importante, la fortezza di São Felipe, iniziata nel 1587 e terminata nel 1593, domina ancora oggi la valle verdeggiante. Tra i primi ad accorgersi delle potenzialità della nuova città, ci furono anche le autorità ecclesiastiche: è del 1495 la costruzione di Nossa Senhora do Rosário, la prima chiesa di culto cristiano sorta sul suolo africano.
Questa piccola cappella in stile gotico manuelino, in seguito ampliata e ricoperta di
azulejos ( conservata perfettamente, tanto che ancora oggi vi si celebra settimanalmente la messa), fu eretta per facilitare l’evangelizzazione e l’ordinazione di clero locale. Pochi decenni più tardi, nel 1533, il papa Clemente VII decise, per mezzo della bolla Pro Excellenti , di elevare Ribeira Grande alla categoria di « Cidade » , capitale della diocesi di Capo Verde e « Signora della Guinea » , separandola dalla diocesi di Funchal. Laboratorio di incontro e scambio per eccellenza, Ribeira Grande fu un centro di fondamentale importanza per i primi esperimenti di acclimatamento di moltissime specie di piante, essenze e animali che, portate fin qui dall’Europa, da altre regioni dell’Africa e dall’America, venivano poi scambiate da un continente all’altro, e reintrodotte in nuove zone del mondo, fino in Oriente. Un anonimo navigatore, che fece scalo su questi lidi intorno al 1550, riferiva di « infiniti giardini di aranci, limoni, melograni e fichi di tutti i tipi » , mentre Valentim Fernandes, capitano di Vila de Conde, all’inizio del 1500 testimoniava la recente introduzione di « palme che producono noci di cocco » provenienti dall’India. E proprio da Ribeira Grande sarebbero giunti i primi bovini e ovini introdotti in Argentina. Ma la prima capitale di Capo Verde non fu solo il fulcro di una rete di distribuzione di prodotti, piante e animali. Ad essere smerciati sulla piazza del municipio furono, per quattro secoli, anche centinaia di migliaia di uomini. Un censimento del 1582 contava non meno di 13.700 schiavi presenti nella città. Uomini importati dalla Guinea inizialmente per il popolamento e lo sfruttamento della terra, furono ben presto destinati anche alla vendita in altri Paesi: cominciò così un traffico fiorente verso le Canarie, l’Europa e le Antille che fece di Ribeira Grande il principale centro della tratta negriera del tempo, fino alla metà del XVII secolo. Eppure, anche se all’insegna di una vergogna incancellabile, qui avvennero, cinque secoli fa, i primi contatti tra europei e popolazioni della costa africana, e questo incontro generò una cultura nuova e originale: quella creola, che poi sarebbe stata esportata, attraverso le navi negriere, fino ai Carabi. All’inizio del Settecento, le sempre più frequenti e violente incursioni dei pirati anticiparono il declino di Ribeira Grande, finché, nel 1770, la capitale fu definitivamente trasferita a Praia e quello che era stato il primo, splendido insediamento dell’arcipelago venne ribattezzato « Cidade Velha » , la città vecchia. Ma il suo incredibile patrimonio culturale, nato e sviluppatosi nel segno del meticciato, resta un’eredità viva che unisce alla radice l’Africa, l’Europa e le Americhe.
Fu la prima città costruita dagli europei sotto il Sahara e divenne un fiorente centro, ambìto dai pirati e usato come scalo dalle navi tra Vecchio e Nuovo mondo. Verso cui esportava uomini: nella piazza principale c’è ancora la colonna a cui venivano legati i neri per essere venduti




LA CHIESA DI NOSSA SENHORA DO ROSÁRIO A CIDADE VELHA, ANTICA CAPITALE DI CAPO VERDE

La terra dannata e il patto con il diavolo per cacciare i francesi. Nel 179 gli haitiani s’accordarono con Satana. Leggenda e rivolta degli schiavi

New York. Anche questa volta Pat Robertson,
il televangelista più famoso d’America,
ha trovato una giustificazione all’ira
di Dio espressa sotto forma di terremoto
ad Haiti. Dopo l’11 settembre, il fondatore
della Christian Coalition aveva accusato
“pagani, abortisti, femministe, gay
e lesbiche e tutti quelli che hanno cercato
di laicizzare l’America” di aver contribuito
con i loro comportamenti peccaminosi
a irritare il Signore e quindi a far meritare
a New York gli attacchi islamisti del
2001 (successivamente s’è scusato). Qualcosa
del genere aveva detto anche dopo
l’uragano Katrina che ha colpito la città
creola di New Orleans. La negazione di
Dio, secondo Robertson, c’entra anche con
il terremoto di Haiti. Nell’edizione di martedì
del suo programma televisivo “The
700 Club”, visto quotidianamente da un
milione di persone, Robertson ha detto
che c’è una ragione storica a spiegare la
devastazione sismica di Haiti: nel 1791 i
suoi abitanti fecero un patto col diavolo
per liberarsi dall’oppressione francese e
da allora subiscono la maledizione di Dio.
Da due secoli, storici, predicatori, missionari,
uomini religiosi e gente comune
credono a questo patto spirituale con Sa-
tana, malgrado non sia nemmeno sicuro
che la cerimonia in questione ci sia stata.
La leggenda dell’isola dannata di Dio ovviamente
è pura fantasia, ma continua a
circolare. Come spiegare, altrimenti, che
guerre, fame, disperazione e ora il terremoto
abbiano colpito soltanto la metà haitiana
dell’isola di Hispaniola e non quella
occupata dalla Repubblica dominicana timorata
di Dio? Non c’è altra ragione che il
diavolo, secondo Robertson: “L’isola di Hispaniola
è una sola. E’ divisa perfettamente
a metà. Da una parte c’è Haiti, dall’altra
la Repubblica dominicana. La Repubblica
dominicana è ricca, in salute, un
paradiso delle vacanze. Haiti è in una situazione
di povertà disperata. Eppure è la
stessa isola”.
La tesi di Robertson è costruita intorno
all’avvio della rivolta indipendentista degli
schiavi haitiani alla fine del Settecento.
L’isola era stata spagnola e poi francese.
Gli indigeni erano stati convertiti al
cattolicesimo con la forza e sostituiti come
manovalanza dagli schiavi arrivati
dall’Africa. Nel 1791 è cominciata la rivolta
degli schiavi, terminata con la vittoria,
unico caso al mondo in cui un movimento
rivoluzionario di schiavi sia riuscito
a sconfiggere i loro proprietari, il colonialismo
e anche a costruire un nuovo
paese indipendente.
Sarebbe cominciato tutto a Bois Caïman,
nell’agosto del 1791, grazie a una cerimonia
officiata dal prete vudu Dutty
Boukman, che ha ispirato gli haitiani alla
resistenza antifrancese e ancora adesso è
presente nello spirito degli isolani. “Saremo
tuoi servitori – avrebbero detto gli
haitiani al diavolo – se ci aiuterai a liberarci
dai francesi”. La risposta del diavolo,
secondo Robertson, è stata “ok, ci sto”.
Tredici anni dopo, i francesi sono stati
davvero sconfitti, si sono rifugiati nella zona
orientale dell’isola e Haiti è diventata
indipendente.
La leggenda del patto col diavolo nasce
dalle parole attribuite al leader vudu durante
la cerimonia a Bois Caïman: “Il Dio
bianco chiede ai suoi di commettere crimini.
Il nostro Dio, invece, predica il bene.
Il nostro Dio, che è buono e giusto, ci ordina
di vendicare i torti subiti. Sarà lui a guidare
i nostri eserciti e a condurci alla vittoria.
Ci assisterà. Spetta a noi spazzare
via l’immagine dello spietato Dio dell’uomo
bianco”. Per i cattolici bianchi francesi
e per gli schiavisti di Haiti, ha scritto
Matthew Yglesias dell’Atlantic, si capisce
perché quella preghiera di Boukman sia
stata considerata un’offerta al diavolo. Loro
credevano a un solo Dio, mentre gli haitiani
parlavano di due divinità, una per i
bianchi e una per i neri e lo veneravano
durante una cerimonia vudu. Non potevano
che essere riti satanici, non potevano
che aver siglato un patto col diavolo.
Più seriamente, la rivolta degli schiavi
potrebbe avere a che fare con l’estrema
povertà di Haiti, ma per motivi più terreni.
Haiti probabilmente ha tagliato i legami
con le colonie troppo presto, rispetto
alle altre nazioni caraibiche. Altre ex colonie
francesi, come Martinica e Guadalupe,
ancora oggi contano sugli aiuti francesi
per una buona parte del proprio pil.
Un’altra spiegazione della povertà haitiana,
secondo l’economista Tyler Cowen, potrebbe
essere un altro tipo di maledizione,
quella dell’abbondanza delle risorse non
rinnovabili. Così come oggi i paesi produttori
di petrolio tendono ad avere una crescita
inferiore e dati di sviluppo peggiori
rispetto a chi ha meno risorse, tra il Settecento
e l’Ottocento anche Haiti è stata colpita
dalla maledizione dell’abbondanza.
Nel suo caso, di canna da zucchero.

Il Foglio 15 gennaio 2010

NOTIZIE STORICHE SULL' ORDINE DELLA MERCEDE

dal Dizionario degli Istituti di Perfezione)
MERCEDARI - Ordo B.V.M. de Mercede, O. de M. - Ordine della B.V.M. della Mercede, per la redenzione degli schiavi cristiani, fondato a Barcellona (Spagna) il 1O.8.1218 da s. > Pietro Nolasco che ricevette l'abito, con un gruppo di giovani, dalle mani del vesc. di quella città, Berenguer de Palau, nella cattedrale di S.Eulalia; il re Giacomo I di Aragona prese sotto la sua protezione la nuova istituzione e s. Raimondo di Penafort l'aiutò con il suo consiglio nei primi anni di vita. Il 17.1.1235 Gregorio IX concesse la bolla di approvazione dell'Ordine, permettendo l'adozione della Regola di s.Agostino quale norma fondamentale. Insieme con questa, fin dall'inizio, l'Ordine ebbe anche un breve statuto che, più tardi, subì un notevole aumento, finché, nel 1272, furono emanate le prime vere costituzioni, queste, a loro volta, nel corso dei secoli, ebbero varie revisioni e adattamenti, dei quali più importanti furono quelli effettuati nel 1327 e nel 1895. Alessandro VII, il 26.7.169O, annoverò l'Ordine dei M. tra gli Ordini mendicanti. A partire dai primi anni del sec. XVII (e ultimamente da J.W. Brodman, The Origins of the Mercedarian Order: A Reassessment, in StudMon 19 (1977) 353-60) sono state proposte altre date che posticipano di alcuni anni, al massimo una decina, la fondazione dell'Ordine, ma esse non trovano fondamento a un esame attento e critico di tutta la documentazione conosciuta (cf per maggiori particolari lo studio di F. Gazulla, La Orden de la Merced se fundò en 1218?, Barcellona 1918).Lo scopo dell'Ordine è così delineato nel prologo delle costituzioni del 1272: "Come Dio Padre di misericordia e Dio di ogni consolazione e datore di conforto in ogni tribolazione, per sua grande misericordia inviò Gesù Cristo suo Figlio in questo mondo per visitare tutto il genere umano che si trovava in questa terra schiavo e incatenato in potere del demonio e dell'inferno (...), così il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, le cui operazioni non hanno divisioni, ordinarono per loro misericordia e grande pietà di fondare e stabilire quest' Ordine, chiamato Ordine della Vergine Maria della Mercede della redenzione degli schiavi di s. Eulalia in Barcellona del quale Ordine crearono loro fedele messaggero fondatore e promotore fr. Pietro Nolasco... I religiosi professi di quest'Ordine - con fede in Gesù Cristo con speranza nella salvezza e con vera carità di Colui che in questo mondo prese carne dalla gloriosa santa Vergine Maria - lavorino di buon cuore e di buona volontà e con ogni opera buona nel visitare e liberare quei cristiani che sono in schiavitù e in potere dei saraceni e di altri nemici della dottrina di Cristo e siano sempre allegramente disposti, se necessario, a dare vita per essi come Gesù Cristo la diede per noi".Se il motivo immediato e occasionale dell'Ordine della Mercede era il riscatto dei cristiani schiavi il motivo ultimo o il fine specifico era la preservazione del gran dono della fede nei credenti in Cristo. A questo fine si giungeva comprando lo schiavo a prezzo d'oro o, quando questo mancasse e d'altronde fosse necessario riscattare lo schiavo perché in pericolo di rinnegare la fede, sostituirlo con la propria persona. A questo fine il Mercedario si obbliga, oggi come ieri, con un quarto voto: il voto di redenzione.Tenendo conto della scomparsa della schiavitù, già nel 1880 l'Ordine, tramite il suo generale Pietro Armenegaudio Valenzuela, pur conservando il primitivo scopo della redenzione, si votava espressamente alle missioni e alla formazione della gioventù. Il capitolo generale speciale per l'aggiornamento voluto dal Concilio ecumenico Vaticano II, precisò che l'Ordine doveva lottare contro le nuove forme di schiavitù di carattere sociale politico e psicologico dei nostri giorni e precisava che "per nuove forme di schiavitù si deve intendere qualunque situazione che si oppone al messaggio del Vangelo e che, a giudizio dell'Ordine, pone i cristiani in grave pericolo di abbandono e di indebolimento della vita di fede" (Cost., 3-5). L'Ordine ha così esteso il suo apostolato ai carcerati o ex carcerati e ai loro familiari. In più ha dato particolare impulso all'opera della educazione della gioventù, alle missioni e all'apostolato parrocchiale nonché all'aiuto ai cristiani perseguitati o oppressi per la fede.Inizialmente l'Ordine era composto prevalentemente di laici; ma, col tempo, questi diminuirono ei chierici crebbero, così che l'Ordine divenne clericale, pur conservando le due classi: chierici e laici, detti fratelli cooperatori.

La suprema autorità dell'Ordine è il Maestro Generale, eletto a vita fino al 1574, quando il suo ufficio fu ridotto a 6 anni. Le costituzioni del 1895 prevedevano la durata di 12 anni, ma presto si tornò alla formula giuridica dei 6 anni (1919).La spiritualità dell'Ordine è caratterizzata dall'imitazione di Gesù nella sua qualità di Redentore del genere umano. All'imitazione di Gesù Redentore va unita la devozione alla Madonna, quale debito di riconoscenza verso Colei che ispirò il fondatore alla realizzazione dell'Ordine.

1. Le origini. - La primitiva casa dell'Ordine fu un appartamento attiguo al palazzo reale di Barcellona che il re aveva regalato al fondatore, dov'era una piccola infermeria e una cappella intitolata a S.Eulalia. In questa casa di via Canonja dimorarono i religiosi detti di S.Eulalia o di S.Maria della Mercede per la redenzione degli schiavi fino al 1232, quando Raimondo de Plegamans, governatore generale della Catalogna, acquistò un terreno sulla spiaggia di Barcellona e lo donò al Nolasco che vi costruì un ospedale con una cappella intitolata ancora a S.Eulalia, che, ampliata e rimodernata, divenne la casa-madre dell'Ordine sotto il titolo di S. Maria della Mercede.

L'Ordine era sorto con carattere prevalentemente laico e militare, dato che, per redimere i cristiani in potere dei pagani, si doveva spesso prendere parte a fatti d'armi incompatibili con la professione di chierici (Militari, Ordini). Tuttavia non mancarono i sacerdoti che attendevano al governo spirituale dei religiosi. Perciò le costituzioni del 1272 raccomandano che il compagno del maestro generale nella visita alle case "possibilmente sia sacerdote, per poter ascoltare le confessioni dei religiosi" (c. X.). Perché poi l'opera della redenzione degli schiavi fosse più proficua, il Nolasco assegnò a ogni convento e questuante una propria circoscrizione nella quale effettuare la raccolta dei fondi per la redenzione senza che altri religiosi la intralciassero (Cost. del 1272, c. XIII); istituì confraternite per raccogliere le offerte dove non potevano arrivare i religiosi, mentre i benefattori dell'opera della redenzione venivano resi partecipi di speciali benefici spirituali concessi all'Ordine dalla S. Sede; e una volta realizzata la redenzione, gli schiavi liberati venivano condotti per città e villaggi, per rendere testimonianza degli orrori della schiavitù e del buon impiego dell'elemosina raccolta; poi rivestiti a nuovo e riforniti "di tutto il necessario, senza mormorazione e taccagneria" (Cost. del 1272, c. XXI), venivano rimandati alle loro case. I religiosi che andavano in terra dei saraceni per redimere schiavi, dovevano essere "temperati nel mangiare e nel bere, savi in teologia e prudenti nella compera degli schiavi", missione che nessuno poteva intraprendere arbitrariamente, ma soltanto "se fosse stato scelto dal capitolo generale (che allora si celebrava ogni anno) o dal maestro" (Cost. del 1272, c. XX). Tutti, comunque, erano impegnati a raccogliere, mediante questue, il denaro necessario per la redenzione e a pregare per la conservazione della fede negli schiavi. A circa 100.000 si fa ascendere il numero dei cristiani liberati dal potere dei Turchi dai M. nelle 345 redenzioni di cui si memoria, fino all'ultima effettuata a Tunisi nel 1798 in cui furono liberati 830 schiavi catturati dai Mori nell'isola di Carloforte (Sardegna).

Mentre organizzava l'opera della redenzione, il Nolasco pensò anche a estendere l'Ordine: vivente lui, l'Ordine contava 18 case sparse negli stati di Aragona e nel sud della Francia, come risulta dalla bolla di Innocenzo IV Religiosam vitam (3.4.1245), con poco meno di 100 religiosi, mentre, alla fine del sec. XIII, questo numero si era quasi raddoppiato.

2. La clericalizzazione dell'Ordine. - Nel capitolo generale celebrato a Puig (Valencia) nel 1317, l'Ordine, che fin allora era sempre stato governato da cavalieri laici, ebbe come maestro generale il Sac. Raimondo Albert (+1330), non senza contrasto da parte dei laici, che elessero per proprio conto un generale laico. Lo scisma ebbe breve durata, perché Giovanni XXII, annullate le due elezioni, nominò il medesimo Albert Maestro Generale, decidendo una volta per sempre le sorti dell'Ordine che prese un carattere più tipicamente clericale. La nuova giurisdizione clericale dette maggiore impulso alla famiglia del Nolasco che possedeva allora 8 case in Catalogna, 11 in Aragona, 7 in Valencia, 8 Francia, 20 in Castiglia e Portogallo, 2 nella Navarra e 1 nelle Baleari: in totale 57 case con 26 chiese. Dal nuòero dei conventi si fa ascendere approssimativamente a 300 il numero dei religiosi. Il p. Albert, nel 1327, promulgò nuove costituzioni in armonia con la bolla di Giovanni XXII che divideva l'Ordine in province religiose, governate in un primo tempo da vicari generali nominati dal generale e poi da veri provinciali eletti in capitolo; emanò più precise e opportune norme sia per la vita interna, spirituale e amministrativa delle case che per l'opera dei religiosi; potenziò l'opera della redenzione degli schiavi, nonostante che le condizioni sociali e politiche ne intralciassero il compimento; dette anche maggior impulso alla cultura , specialmente ecclesiastica, nella quale ben presto si rese illustre il convento di Montpellier dove insegnò il p. Domenico Serrano, in seguito generale (1345-8). La peste del 1348 causò grandi vuoti fra i M., fino a far pensare a una fusione coi >Trinitari. Tra alterne vicende l'Ordine dette segno di ripresa sotto il generalato di Antonio Caxal (1404-17), a cui si deve la realizzazione di importanti redenzioni, e si consolidò per opera del generale Natale Gaver (1452-74) che ottenne l'esenzione dalla giurisdizione dei vescovi, con la conseguenza della permanenza in Roma del procuratore generale presso la S, Sede, e lo aumentò numericamente fino a 550 religiosi sparsi nelle 62 case, sicché poteva scrivere dei M.: "Noi facciamo tutto quello che gli altri fanno e per di più liberiamo i nostri fratelli dai pagani con l'elemosina dei fedeli. Anche noi predichiamo, celebriamo i divini uffici, ascoltiamo le confessioni, lodiamo Dio con canti e con salmi; anche fra noi ci sono molti letterati" (Speculum Fratrum), Sotto il generalato di Lorenzo Company (1474-9), si ebbero non lievi contrasti con i Trinitari sulla raccolta delle elemosine per la redenzione degli schiavi, mentre, col generale p. Antonio Morell (1480-92), l'Ordine si estese e si consolidò nella Francia.

3 . In America Latina. - Durante gli anni che seguirono la scoperta del nuovo mondo, l'Ordine indirizzò la sua opera anche all'America latina. Al p. Giovanni Zolòrzano che aveva accompagnato Cristoforo Colombo nel suo secondo viaggio al nuovo mondo, ben presto seguirono altri M., che andarono a stabilirsi nei paesi colonizzati dai conquistatori spagnoli; e la loro opera ebbe un duplice indirizzo: moderare gli eccessi dei conquistatori e propagare la fede. Il convento di Santo Domingo (Rep. Dominicana), fondato nel 1514, costituì il centro di irradiazione mercedaria nell'America latina, così che, nel 1560, venne costituita la provincia di Lima, nel 1563, quelle del Guatemala e del Cuzco, nel 1566, quella del Cile, nel 1593, quella del Tucumàn-Rìo de la Plata con tutti i conventi esistenti nell'Argentina, Paraguay e Uruguay, nel 1615, quelle dell'Ecuador e del Messico.

I sec. XVI-XVII-XVIII segnarono un periodo di singolare splendore, di cui sono testimoni eloquenti non solo le suntuose chiese dedicate alla Madonna della Mercede, ma anche i monumentali conventi tra i quali spiccano quelli di Cuzco e di Lima.

Ritemprato e vivificato nella disciplina voluta dal Concilio di Trento e anche in seguito a visite apostoliche, accresciuto di numero, l'Ordine intensificò il suo apostolato, compiendo un gran numero di redenzioni, ed ebbe una magnifica fioritura di opere e di studi. A grande importanza pervenne il Collegio di Salamanca nella cui università insegnarono, quasi per diritto di successione, numerosi teologi e filosofi mercedari, a volte assurti a grande fama. Nel 1775 l'Ordine aveva nell'America latina 112 case con oltre 2.000 religiosi, mentre in Europa (Spagna, Francia, Italia e Portogallo), nel medesimo periodo, le case erano 116 e i religiosi ascendevano a circa 2.500.

4. Sec. XIX-XX. - La rivoluzione francese, le guerre napoleoniche, i soprusi dei governi civili, con le leggi di confisca dei beni ecclesiastici e di soppressione degli istituti religiosi, costituirono un duro colpo per l'Ordine in America, ma molto più in Europa. Dalla morte del generale p. Giovanni Battista Granell (24.4.1834), l'Ordine, nella impossibilità di riunire il capitolo generale, fu governato da vicari generali (quattro) nominati dalla S. Sede, fino al 31.7.1880, quando dalla S. Sede fu nominato, come generale, il commendatore del convento di Valparaìso, il cileno p. Pietro Armengaudio Valenzuela (1843-1922), che pose la sua residenza a Roma.

Egli trovava in Europa una trentina di religiosi a custodia delle chiese dell'Ordine, tutti gli altri dispersi; in America la situazione era un poco più confortante, ma, anche qui, il numero dei religiosi si era notevolmente ridotto: complessivamente poteva contare su 300 religiosi. Dopo molti studi egli potè far approvare dalla S. Sede nuove costituzioni (1895), in forza delle quali l'Ordine, pur conservando il suo primitivo carattere redentivo a favore degli schiavi e dei perseguitati per la fede, si votava in modo speciale alla istruzione della gioventù, alle opere di misericordia, alla predicazione sia ai fedeli che agli infedeli, alla catechesi e altri ministeri sacerdotali. Quando il p. Valenzuela, nominato vesc. di Anchud (Cile), lasciò il governo dell'Ordine nel 1911, questo era in piena rinascita: 3 province e 2 vice province nell'America latina per un totale di circa 60 conventi con 450 religiosi. In questi ultimi tempi l'Ordine ha cercato di riprendere le antiche posizioni; ha intrapreso opere di apostolato parrocchiale, educativo e carcerario; ha accettato la cura di tre prelature: due nel Brasile e una nel Cile, e lavora anche in altre terre di missioni; sta dando forma, nello spirito di rinnovamento voluto dal Concilio, all''Opera redentrice", a beneficio dei perseguitati e oppressi per la fede.

Con la storia dell'Ordine è intimamente connessa l'esistenza di altre istituzioni religiose mercedarie. Al priore di Barcellona, fr. Bernardo da Corbara (1193-1275), si deve l'inizio del Second'ordine mercedario, per aver dato l'abito e ricevuto la professione di Mercedarie che molto contribuirono all'opera della redenzione degli schiavi con l'assistenza ai reduci della schiavitù. L'8.5.1603, a Madrid, < Giovanni Battista Gonzàles iniziò nell'Ordine un movimento di maggiore austerità, fondando conventi di recollezione: sorse così il ramo dei > Mercedari scalzi e, per opera di questi, anche le monache > Mercedarie scalze. Nel secolo scorso cominciò anche una fioritura di congregazioni religiose femminili che, prendendo il nome dall'Ordine e aggregandosi a esso spiritualmente, costituiscono il Terz'ordine regolare mercedario. Nel 1860 sorsero le > Mercedarie missionarie di S. Gervasio; nel 1864, le Suore di > Nostra Signora della Mercede; nel 1878, le > Mercedarie della Carità; nel 1887, le > Mercedarie del Bambino Gesù; nel 1889, le Suore di > Nostra Signora della Mercede del Divino Maestro; nel 1910, le > Mercedarie del SS. Sacramento; nel 1930, le > Mercedarie missionarie di Bérriz; nel 1938, le > Mercedarie missionarie del Brasile; nel 1940, le > Ancelle Mercedarie del SS. Sacramento. Esistono anche altri istituti religiosi, come le suore della > Misericordia e le > Oblate espiatrici del SS. Sacramento, le quali, benchè non abbiano avuto origine mercedaria, professano una devozione speciale per la Vergine della Mercede. Ai fedeli poi che vivono nel secolo è data la possibilità di iscriversi o al Terz'Ordine secolare della Mercede o alla Confraternita della Mercede.

5. Agiografia. - Nei sette secoli e mezzo di storia dell'Ordine, molti religiosi si resero celebri. Ricordiamo: s. > Pietro Nolasco; s. Raimondo Nonnato (1200-40), card., che soffrì il perforamento delle labbra che poi gli vennero chiuse con un lucchetto affinché non predicasse e il cui culto fu approvato nel 1625, restando fissata la festa al 31 agosto; s. Serapio Scott (1175-1240), che compì varie redenzioni fra i Mori, liberando molti schiavi, e morì per gli atroci supplizi che gli furono inflitti dai Maomettani; il suo culto fu approvato nel 1728 con la festa fissata al 14 novembre; s. Pietro Pascasio, vesc. di Jaèn (1227-1300), ch'ebbe la testa mozzata dai Mori, vestito ancora dei sacri paramenti con cui aveva celebrato la Messa; il suo culto fu approvato nel 1670 e la festa fissata al 6 dicembre; s. Pietro Armengaudio (1238-1304), il cui culto fu approvato nel 1686 e la festa fissata al 27 aprile; p. Pietro Urraca, servo di Dio (1583-1657); p. Giuseppe Leone Torres, servo di Dio (1849-1930); fr. Antonino Pisano, servo di Dio (1907-1927); p. Mariano Alcalà e Compagni, servi di Dio, uccisi nella guerra di Spagna nel 1936. Molti altri religiosi ebbero un culto che però non ha avuto mai un riconoscimento ufficiale dalla Chiesa. Ricordiamo tra gli altri: Raimondo de Blans (1185-1235), protomartire mercedario a Granada; Pietro de Amer (1210-1301), maestro generale che dette le prime vere costituzioni all'Ordine; Alessandro di Sicilia (+1316), fu bruciato vivo a Tunisi; Giovanni Gilabert (1350-1417), fondatore del primo ricovero per alienati di mente; Pietro Nolasco Perra (1574-1606).

Nelle altre istituzioni mercedarie, oltre alla ricordata s. Maria de Cervellòn, meritano speciale menzione la b. Marianna di Gesù, la terziaria Colagia (+1295) e Natalia di Tolosa (+1355).

6. Scienze sacre e cultura. - In teologia, i M. non ebbero una scuola con peculiari caratteristiche. C'è però un punto della teologia in cui i M. si scostano compatti dal tomismo: la questione dell'Immacolata Concezione di Maria. A cominciare da s. Pietro Pascasio che presentò, già alla fine del sec. XIII, la dottrina dell'Immacolata Concezione come una vera opinione teologica contenuta nella rivelazione e non soltanto come una pia credenza, almeno una quarantina di mariologi mercedari sostennero questa dottrina, poi definita dogma di fede. Tra questi ricordiamo: Pietro della Serna (1580-1612), che scrisse e difese la tesi secondo cui era martire chi fosse morto per difendere questa sentenza e fu autore della "schiavitù mariana"; Pietro de Ona, vesc. di Gaeta (1560-1626), i cui discorsi sull'Immacolata vennero raccolti e riportati dal più illustre dei mariologi mercedari, Silvestro de Saavedra (1580-1643), nell'opera Razòn del pecado original y preservaciòn del èl en la concepciòm purisima de la Reyna de los Angeles Maria (Siviglia 1615), il quale però deve la sua notorietà alla magistrale opera di mariologia Sacra Deipara sive de eminentissima dignitate Dei Genitricis Immaculatae Mariae (Lione 1655), in cui studia la divina Maternità nei suoi vari aspetti: immacolato concepimento, santità, ecc. La dottrina del Saavedra dette origine, nell'Ordine, al movimento del "voto di sangue", con cui si prometteva di difendere anche a costo della vita l'asserzione dell'immacolato concepimento della Vergine SS.ma.

Nella teologia speculativa ricordiamo: Girolamo Pèerez (1470-1549), primo vero teologo mercedario in ordine di tempo, citato con orgoglio da coloro che lo seguirono; si discusse molto, nel sec. XVII, se egli si dovesse annoverare tra i tomisti puri o tra i precursori di Molina e del molinismo; fa parte dei grandi restauratori della teologia spagnola con meriti non inferiori a quelli di Francesco da Victoria; Dp,emocp do s- Giovanni (1485ca-1540), card. arcv. di Toledo, che scrisse Super universam logicam et philosophiam Aristotelis; Gaspare Torres (1510-84), teologo al concilio di Trento, provinciale di Castiglia e vesc. delle Canarie e di Santo Domingo; Francesco Zumel (1540-1607), professore di Salamanca, chiamato dal Saavedra "princeps thomistarum huius temporis": è la figura più eminente di teologo dell'Ordine; intervenne con autorità nella disputa De auxiliis, nella quale, pur sostenendo la teoria tomista, si distacca da quella rigida posizione sostenuta da Banez e con energia combatte la tesi del Molina; Ambrogio Machin de Aquena (1580-1640) si distingue per originalità di pensiero, specialmente sulla opinione della grazia, sostenendo il concetto di grazia antecedente soltanto moralmente efficace; Giovanni Prudencio (1610-58), professore di arte nell'università di Huesca e di teologia in quella di Alcalà, buon dialettico con vasta conoscenza di teologi antichi e recenti, chiaro nella esposizione del pensiero, merita un posto speciale tra i teologi del suo tempo; Serafino de Freitas (1570-1633), professore nell'università di Valladolid, eccelle nel campo del diritto in generale e di quello internazionale per la sua teoria sostenuta specialmente nella sua opera De iusto imperio Lusitanorum asiatico...(Valladolid 1625); Giovanni Falconi (1596-1638), illustre per la sua teologia mistica; nell'opera Pan nuestro de cada dia, inculca la Comunione frequente e quotidiana, prevenendo di tre secoli quello che la Chiesa sanzionò con s. Pio X; Gabriele Tellez, meglio conosciuto col nome d'arte, Tirso de Molina (1584-1648), primeggia nel campo della letteratura con le sue commedie (oltre un centinaio); Alonso Remòn (1560-1632), scrittore fecondo di teologia, Sacra Scrittura, storia, morale, ascetica e opere drammatiche delle quali il Cervantes (Viaggio al Parnaso) dice che "furono le più degne di lodi dopo quelle del grande Vega".

7. Missioni. - Tra gli evangelizzatori del nuovo mondo ricordiamo: p. Bartolomeo de Olmedo (1485-1524), apostolo del Messico, consigliere e confessore di Hermàn Cortès nella conquista di quella nazione; Francesco de Bobadilla (+1550), pacificatore energico e intelligente tra i conquistatori Pizzarro e Almagro, che seguì nelle loro spedizioni; Luigi de la Pena (+1599), ucciso in Valdivia (Cile) mentre cercava di porre in salvo il SS. Sacramento; Cristoforo de Albarràn (+1584), che evangelizzò molti indigeni nell'Argentina e Perù, dove fu poi assassinato; Antonio Rendòn (1495-1597) e Antonio Correa (1522-76), giunti nel Cile nel 1548 con don Pedro de Valdivia, veri apostoli nella evangelizzazione degli Araucani; Mariano Pèrez, apostolo nel Guatemala; Giovanni de la Guardia, apostolo dell' isola di Santo Domingo; Martino de Victoria (+1602), apostolo dell'Ecuador; Giovanni di s. Lazzaro, apostolo nel Paraguay; Luigi de Valderrama (+1590), apostolo nell'Argentina; Francesco Ponce (1576-1661), apostolo delle tribù limitrofe del fiume Amazzone; Antonio Bravo (+1595), che celebrò la prima Messa nel Perù, di cui divenne apostolo; Alfonso Gòmez de Encinas 8+13.6.1624), martirizzato nell'isola di Puna; Ferdinando de Granada (+1590), primo apostolo di Popayan.

Finora l'Ordine ha avuto 85 Maestri Generali, ha dato alla Chiesa 16 cardinali, 5 patriarchi e oltre 400 tra arcivescovi e vescovi con i suoi primati, nunzi apostolici, vicerè, ambasciatori, consiglieri di re, capi di Cortes e parlamentari.

L'aumento del numero di membri cominciato ai primi del 1900, è continuato, anche se lentamente, nella sua ascesa, così che, quando si celebrò, nel 1968, il 750° anniversario della fondazione, si poteva constatare un costante progresso. Soppresse nel 1953 le vice province e aggregate alle province perché queste fossero più consistenti, l'Ordine era suddiviso (1978) in 8 province con 145 case sparse in 17 nazioni: Argentina, Bolivia, Brasile, Burundi, Cile, Colombia, Ecuador, Guatemala, Honduras, Italia, Messico, Perù, Puerto Rico, Spagna, Stati Uniti, Uruguay e Venezuela. I membri erano 818, di cui 579 sacerdoti.