DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

17 SETTEMBRE 2016


LA SENTINELLA

"Cercate di assecondare Dio, che già si introduce prima ancora del vostro arrivo" (Papa Francesco)

Una parola per tutti noi, preti e pastori, padri e madri, mariti e mogli, fidanzati e fidanzate, fratelli, amici, colleghi, vicini, conoscenti e perfino sconosciuti per chi ci è posto accanto dal provvidente disegno di Dio. Assecondare, essere cioè secondi a Lui, discernere la sua opera in ciascuno, perché Lui è già nel cuore di chi stiamo per avvicinare. Che libertà, che pace, che fonte di amore gratuito e maturo. Ma per credere che sia proprio così abbiamo bisogno di sperimentarlo innanzitutto in noi...

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IL MAGISTERO DEL PAPA


IL BRIVIDO DELL'AMORE DI CRISTO

Sì! Dio vi precede nella sua amorevole conoscenza! Egli vi ha “pescato” con l’amo della sua sorprendente misericordia. Le sue reti sono andate misteriosamente stringendosi e non avete potuto fare a meno di lasciarvi catturare. So bene che ancora un brivido vi pervade al ricordo della sua chiamata arrivata attraverso la voce della Chiesa, Sua Sposa. Non siete i primi ad essere percorsi da tale brivido. Lo è stato anche Mosè, che si credeva solo nel deserto e si scoprì invece rintracciato e attirato da Dio che gli affidò il proprio Nome, non per lui, ma per il suo popolo (cfr Es 3). Gli affida il Nome per il popolo, non dimenticare questo. E continua a salire a Dio il grido di dolore della sua gente, e sappiate che questa volta è il vostro nome che il Padre ha voluto pronunciare, perché voi pronunciate il suo Nome al popolo. Lo è stato anche Natanaele, che, visto quando era ancora “sotto il fico” (Gv 1,48), con stupore si ritrova custode della visione dei cieli che definitivamente si aprono. Ecco, la vita di tanti è ancora priva di questo varco che dà accesso all’alto, e voi siete stati visti da lontano per guidare verso la meta. Non accontentatevi di meno! Non fermatevi a metà strada! Lo è stata anche la Samaritana, “conosciuta” dal Maestro al pozzo del villaggio, che poi chiama i compaesani all’incontro di Colui che possiede l’Acqua Viva (cfr Gv 4,16-19). È importante essere consapevoli che nelle vostre Chiese non c’è bisogno di cercare “da un mare all’altro” perché la Parola di cui la gente ha fame e sete può trovarla sulle vostre labbra (cfr Am 8,11-13). Percorsi da tale brivido sono stati anche gli Apostoli quando, svelati “i pensieri dei loro cuori”, con fatica hanno scoperto l’accesso alla segreta via di Dio, che abita nei piccoli e si nasconde a chi basta a sé stesso (cfr Lc 9,46-48). Non vergognatevi delle volte in cui pure voi siete stati sfiorati da tale lontananza dai pensieri di Dio. Anzi, abbandonate la pretesa dell’autosufficienza per affidarvi come bambini a Colui che ai piccoli rivela il suo Regno. Perfino i farisei sono stati scossi da tale brivido, quando spesso sono stati smascherati dal Signore che conosceva i loro pensieri, così pretenziosi da voler misurare il potere di Dio con la ristrettezza del proprio sguardo e così blasfemi da mormorare contro la sovrana libertà del suo amore salvifico (Mt 12,24-25). Dio vi scampi dal rendere vano tale brivido, dall’addomesticarlo e svuotarlo della sua potenza “destabilizzante”. Lasciatevi “destabilizzare”: questo è buono, per un vescovo. Servono persone che sappiano far emergere dagli sgrammaticati cuori odierni l’umile balbettare: «Parla, Signore» (3,9). Servono ancora di più coloro che sanno favorire il silenzio che rende questa parola ascoltabile. Dio non si arrende mai! Siamo noi che, abituati alla resa, spesso ci accomodiamo preferendo lasciarci convincere che veramente hanno potuto eliminarlo e inventiamo discorsi amari per giustificare la pigrizia che ci blocca nel suono immobile delle vane lamentele. Le lamentele di un vescovo sono cose brutte.


L'AMORE GRATUITO CHE RENDE DEGNA LA DEBOLEZZA CHE CI DEFINISCE

È bello lasciarsi trafiggere dalla conoscenza amorevole di Dio. È consolante sapere che Egli davvero sa chi siamo e non si spaventa della nostra pochezza. È rasserenante conservare nel cuore la memoria della sua voce che ha chiamato proprio noi, nonostante le nostre insufficienze. Dona pace abbandonarsi alla certezza che sarà Lui, e non noi, a portare a compimento quanto Egli stesso ha iniziato. Tanti oggi si mascherano e si nascondono. Amano costruire personaggi e inventare profili. Si rendono schiavi delle misere risorse che racimolano e a cui si aggrappano come se bastassero per comprarsi l’amore che non ha prezzo. Non sopportano il brivido di sapersi conosciuti da Qualcuno che è più grande e non disprezza il nostro poco, è più Santo e non rinfaccia la nostra debolezza, è buono davvero e non si scandalizza delle nostre piaghe. Non sia così per voi: lasciate che tale brivido vi percorra, non rimuovetelo né silenziatelo.


IL CARICO SOAVE DI UN VESCOVO, DI UN PRETE, DI UNO SPOSO, DI UN CATECHISTA E FORMATORE

Varcando Cristo, la sola Porta, ponete il vostro sguardo nel Suo sguardo. Lasciate che Egli vi raggiunga “miserando atque eligendo”. La più preziosa ricchezza che potete portare da Roma all’inizio del vostro ministero episcopale è la consapevolezza della misericordia con la quale siete stati guardati e scelti. Il solo tesoro che vi prego di non lasciare arrugginire in voi è la certezza che non siete abbandonati alle vostre forze. Poiché ormai non potete più andare da soli da nessuna parte, perché portate la Sposa a voi affidata come un sigillo impresso sulla vostra anima, nell’attraversare la Porta Santa, fatelo caricando sulle spalle il vostro gregge: non da soli!, col gregge sulle spalle, e portando nel cuore il cuore della vostra Sposa, delle vostre Chiese. E’ un compito non facile. Domandate a Dio, che è ricco di misericordia, il segreto per rendere pastorale la sua misericordia nelle vostre diocesi. Bisogna, infatti, che la misericordia formi e informi le strutture pastorali delle nostre Chiese. Non si tratta di abbassare le esigenze o svendere a buon mercato le nostre perle. Anzi, la sola condizione che la perla preziosa pone a coloro che la trovano è quella di non poter reclamare meno del tutto; la sua unica pretesa è suscitare nel cuore di chi la trova il bisogno di rischiarsi per intero pur di averla. Non abbiate paura di proporre la Misericordia come riassunto di quanto Dio offre al mondo, perché a nulla di più grande il cuore dell’uomo può aspirare. Qualora ciò non fosse abbastanza per “piegare ciò che è rigido, scaldare ciò che è gelido, drizzare ciò che è sviato”, cos’altro avrebbe potere sull’uomo? Allora saremmo disperatamente condannati all’impotenza. Forse le nostre paure avrebbero il potere di contrastare i muri e dischiudere varchi? Per caso le nostre insicurezze e sfiducie sono in grado di suscitare dolcezza e consolazione nella solitudine e nell’abbandono? Come ha insegnato il mio venerato e saggio Predecessore, è «la misericordia che pone un limite al male. In essa si esprime la natura tutta peculiare di Dio – la sua santità, il potere della verità e dell’amore». Essa è «il modo con il quale Dio si oppone al potere delle tenebre con il suo potere diverso e divino», appunto «quello della misericordia» (Benedetto XVI, Omelia, 15 aprile 2007). Dunque, non vi lasciate spaventare dalla prepotente insinuazione della notte. Conservate intatta la certezza di questo potere umile con il quale Dio bussa al cuore di ogni uomo: santità, verità e amore. Rendere pastorale la Misericordia non è altro che fare delle Chiese a voi affidate delle case dove albergano santità, verità e amore. Albergano come ospiti venuti dall’alto, di cui non si può impadronirsi, ma si devono sempre servire e ripetere: «Non passare oltre senza fermarti dal tuo servo» (Gen18,3): è la richiesta di Abramo.


ICONE DELLA MISERICORDIA DI CRISTO 

Fate del vostro ministero un’icona della Misericordia, la sola forza capace di sedurre ed attrarre in modo permanente il cuore dell’uomo. Anche il ladro all’ultima ora si è lasciato trascinare da Colui in cui ha “trovato solo bene” (cfr Lc 23,41). Nel vederlo trafitto sulla croce, si battevano il petto confessando quanto non avrebbero mai potuto riconoscere di sé stessi se non fossero stati spiazzati da quell’amore che non avevano mai conosciuto prima e che tuttavia sgorgava gratuitamente e abbondantemente! Un dio lontano e indifferente lo si può anche ignorare, ma non si resiste facilmente a un Dio così vicino e per di più ferito per amore. La bontà, la bellezza, la verità, l’amore, il bene – ecco quanto possiamo offrire a questo mondo mendicante, sia pure in ciotole mezze rotte. Non si tratta tuttavia di attrarre a sé stessi: questo è un pericolo! Il mondo è stanco di incantatori bugiardi. E mi permetto di dire: di preti “alla moda” o di vescovi “alla moda”. La gente “fiuta” – il popolo di Dio ha il fiuto di Dio – la gente “fiuta” e si allontana quando riconosce i narcisisti, i manipolatori, i difensori delle cause proprie, i banditori di vane crociate. Piuttosto, cercate di assecondare Dio, che già si introduce prima ancora del vostro arrivo.


"CONTAGIARE" LA DIGNITA'

Mi ha sempre colpito che la nostra dignità sia appunto quella di essere figli di Dio, e nel corso della Scrittura tale relazione si manifesta nel fatto che Lui ci guida come un Padre fa con un figlio. Nel secondo racconto della creazione, appare come Dio ci abbia fatto in modo “artigianale”, plasmando del fango dalla terra, cioè le mani di Dio si sono compromesse con la nostra vita. Ci ha creato non solo con la sua parola, ma anche con le sue mani e il suo soffio vitale, quasi a dire che tutto l’essere di Dio si è coinvolto nel dare vita all’essere umano. Esiste però la possibilità che questa dignità, conferitaci da Dio, possa degradarsi. Per dirla in termini calcistici, l’uomo ha la capacità di fare “autogol”. Ciò avviene quando negoziamo la dignità, quando abbracciamo l’idolatria, quando facciamo posto nel nostro cuore all’esperienza degli idoli. Durante l’esodo dall’Egitto, quando il popolo era stanco perché Mosè tardava a scendere dal monte, fu tentato dal demonio e si costruì un idolo (cfr Es 32). E l’idolo era d’oro. Tutti gli idoli hanno qualcosa d’oro! Questo fa pensare alla forza attrattiva delle ricchezze, al fatto che l’uomo perde la propria dignità quando nel suo cuore le ricchezze prendono il posto di Dio. Invece Dio ci ha dato la dignità di essere suoi figli. Da qui deriva anche una domanda: come posso condividere questa dignità, così che si sviluppi in una reciprocità positiva? Come posso fare in modo che l’altro si senta degno? Come posso “contagiare” dignità? Quando qualcuno disprezza, segrega, discrimina, non contagia dignità, ma il contrario. Ci farà bene domandarci spesso: come assumo la mia dignità? Come la faccio crescere? E ci farà bene anche esaminarci per scoprire se e quando non contagiamo dignità nel nostro prossimo (Papa Francesco. Udienza all'Associazione Biblica Internazionale, 15 settembre 2016)

SOTTO IL MANTO DELLA MADRE DOVE NON SIAMO MAI ORFANI
Ai piedi della Croce c’è Maria, la Madre di Gesù: tutti – afferma il Papa – la guardavano dicendo: “Quella è la madre di questo delinquente! Quella è la madre di questo sovversivo!”: “E Maria sentiva queste cose. Soffriva umiliazioni terribili. E anche sentiva i grandi, alcuni sacerdoti, che lei rispettava, perché erano sacerdoti: ‘Ma Tu che sei tanto bravo, scendi! Scendi!’. Con suo Figlio, nudo, lì. E Maria aveva una sofferenza tanto grande, ma non se ne è andata. Non rinnegò il Figlio! Era la sua carne”. Papa Francesco ricorda quando a Buenos Aires si recava nelle carceri a visitare i detenuti e vedeva sempre una fila di donne che aspettavano di entrare: “Erano mamme. Ma non si vergognavano: la loro carne era lì dentro. E queste donne soffrivano non solo la vergogna di essere lì – ‘Ma guarda quella! Cosa avrà fatto il figlio?’ – ma anche soffrivano le più brutte umiliazioni nelle perquisizioni che venivano fatte loro prima di entrare. Ma erano madri e andavano a trovare la propria carne. Così Maria, era lì, col Figlio, con quella sofferenza tanto grande”. Gesù – afferma il Papa – ha promesso di non lasciarci orfani e sulla Croce ci dona sua Madre come nostra Madre: “Noi cristiani abbiamo una Madre, la stessa di Gesù; abbiamo un Padre, lo stesso di Gesù. Non siamo orfani! E Lei ci partorisce in quel momento con tanto dolore: è davvero un martirio. Col cuore trafitto, accetta di partorire tutti noi in quel momento di dolore. E da quel momento Lei diventa la nostra Madre, da quel momento Lei è nostra Madre, quella che si prende cura di noi e non si vergogna di noi: ci difende”. I primi mistici russi – ricorda Francesco – consigliavano di rifugiarsi sotto il manto della Madre di Dio nel momento delle turbolenze spirituali: “Lì non può entrare il diavolo. Perché Lei è Madre e come Madre difende. Poi l’Occidente ha preso questo consiglio e ha fatto la prima antifona mariana ‘Sub tuum praesidium’ – ‘Sotto il tuo mantello, sotto la tua custodia, oh Madre!’. Lì siamo sicuri”. “In un mondo che possiamo chiamare ‘orfano’ – conclude il Papa – in questo mondo che soffre la crisi di una grande orfanezza, forse il nostro aiuto è dire ‘Guarda a tua Madre!’. Ne abbiamo una che ci difende, ci insegna, ci accompagna; che non si vergogna dei nostri peccati. Non si vergogna, perché lei è Madre. Che lo Spirito Santo, questo amico, questo compagno di strada, questo Paraclito avvocato che il Signore ci ha inviato, ci faccia capire questo mistero tanto grande della maternità di Maria”. (Papa Francesco. Omelia a Santa Marta, 15 settembre 2016)

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UNA MUCCA SI, UNA PERSONA NO. LA PRIVACY SECONDO FACEBOOK

Una mucca fotografata a Cambridge ha ricevuto da Google street view lo stesso trattamento degli esseri umani: il suo volto è stato offuscato per questioni di privacy. David Shariatmadari, giornalista del Guardian, si è accorto della curiosità e ha pubblicato la foto con un tweet diventato virale commentando: "Bello vedere Google prendere sul serio la privacy di una mucca". I responsabili del motore di ricerca hanno replicato ammettendo che a volte la loro tecnologia "è davvero un po' troppo zelante". (LA REPUBBLICA)

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L'ABBANDONO DEL PADRE 

Colate di piombo e fiumi di parole sul cyberbullismo, il sexting, il sex estorsion, la sicurezza sui social e chi più ne ha più ne metta. Quando per capire la verità basta ascoltare con attenzione la mamma: "È inutile nasconderlo. La mia povera Tiziana ha sempre sofferto per l'abbandono di suo padre. Non lo ha mai visto. E per qualche periodo, quando era intorno al vent'anni, è stata schiava dall'alcol". "Mia figlia era fragile. Non aveva mai accettato di essere stata abbandonata dal padre. Tanto che era sua intenzione abbandonare il cognome Cantone, che lei non aveva mai sentito suo, per prendere il mio".

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AUGURI AUTENTICI AGLI STUDENTI CHE INIZIANO LA SCUOLA
Quando un amico, un figlio, una persona cara compiono gli anni, abbiamo il desiderio di porgere loro con grande affetto i più sinceri auguri. Questo accade anche per altre occorrenze come il Natale, l’inizio di un anno nuovo, più in generale quando comincia una nuova avventura. Che cosa descrive l’espressione «augurio»? L’etimo latino ci aiuta a cogliere la bellezza del termine. Il verbo latino augere significa «aumentare»«accrescere»: l’augurio è la sincera speranza che l’esperienza che sta per iniziare possa migliorare la tua persona, farla crescere, permetterle di diventare più pienamente umana. Credo, quindi, che non ci sia modo più bello e vero per iniziare un anno scolastico che quello di augurare ai propri studenti un buon anno partendo da un pensiero, da una citazione, da un auspicio.... «È bello vivere perché vivere è ricominciare, sempre, ad ogni istante» scrive Cesare Pavese nel Mestiere di vivere. La frase di Pavese descrive lo spirito giusto con il quale è possibile riprendere  l’affascinante avventura della scuola. Per tutti, insegnanti e studenti, non è possibile ricominciare, varcare la soglia della classe, incontrare compagni e colleghi, professori e alunni, senza essere animati dal desiderio che possa accadere qualcosa di grande nelle giornate. Il desiderio. Questa è la chiave perché i docenti possano affrontare le lezioni, l’incontro con nuovi studenti animati da quello stesso entusiasmo e da quella trepidazione che provavano il primo giorno di insegnamento. Altrimenti, come non farsi prendere dalla monotonia, dal cinismo, dal sentimento comune che tanto non cambierà mai nulla? Come si può costruire qualcosa di grande e di bello, come far sì che l’anno scolastico sia un’occasione di costruzione di umanità, di incontri di umanità? La scuola non è un luogo di semplice trasmissione di informazioni e di cultura, di disciplina e di discipline. La scuola deve essere un luogo in cui l’io del ragazzo si sente fiorire, crescere, germogliare nel desiderio che la propria persona possa scoprire i propri talenti e metterli al servizio di tutti. Perché ciò avvenga è indispensabile che si rimetta al centro la persona, che si viva l’avventura dell’insegnamento come scoperta. Sì, scoperta di sé e scoperta dell’altro, scoperta di un cuore che accomuna il ragazzo di dieci o diciotto anni all’insegnante che si avvicina per la prima volta alla cattedra o, viceversa, sta per andare in pensione. Tra i corridoi delle scuole già a settembre, si vedono spesso volti stanchi, disillusi, spesso senza speranza. Prima ancora che ai giovani, la speranza manca troppo spesso a noi adulti. Scrive Papa Benedetto XVI: «Alla radice della crisi dell’educazione c’è […] una crisi di fiducia nella vita». La sfida di un nuovo anno scolastico sia allora quella di domandare che sia rianimato e vivificato quel desiderio di insegnare e di imparare che avevamo il primo giorno di scuola. Come fare allora? Il metodo è questo: non avere risposte preconfezionate, ma camminare in una compagnia piena di entusiasmo e di desiderio di vita. L’uomo cresce, diventa più vivo e intenso laddove incontra altri uomini che ardono nel desiderio di conoscere e affrontare la vita. In questo modo nasce una compagnia. Non fidiamoci dal fatto che la cultura e la società di oggi ci dicano che essere adulti significhi essere autonomi e fare da soli. Non fidatevi, ragazzi, dell’istinto che avete ora di fare da soli perché vi sentite grandi. Cammina davvero e apprezza il cammino compiuto solo chi ha un maestro e una compagnia, ragazzo o adulto che sia. La bellezza che si incontra nella vita deve essere condivisa con gli altri: non è un imperativo morale astratto, ma una necessità innata del nostro cuore. Lo capiamo nell’esperienza quando siamo in un luogo bellissimo o facciamo un’esperienza stupenda e sentiamo l’urgenza di comunicarlo alle persone che ci sono più vicine e amiche. Ho, poi, chiesto a ciascuno studente, singolarmente, di porgere un augurio ad alta voce a sé e ai propri compagni. Ho chiesto ai ragazzi di scrivere su un foglio gli auguri di tutti gli altri, così come venivano formulati. La bellezza di questo inizio anno è stata per me evidente nel cuore dei ragazzi che si spalancava in tutta la sua grandezza a desiderare per sé e per gli altri qualcosa di grande. Quando entriamo in classe con questa domanda che possa accadere qualcosa di bello nelle giornate, possiamo essere insegnanti o studenti, ma l’ora di lezione trascorre con un’intensità maggiore. Quando ripartiamo da questa aspettativa, gli incontri che facciamo nelle giornate e le lezioni non diventano obiezione, ma occasione. Tutto il dramma del lavoro e dello studio risiede in questa prospettiva duplice con cui possiamo affrontare la vita: se quanto accade è per noi un fastidio da scansare quanto prima oppure una circostanza con cui il mistero della realtà ci educa, ci fa crescere, ci chiama sempre più a riconoscere la bellezza, la bontà e l’amore «che move il sole e l’altre stelle». (GIOVANNI FIGHERA, TEMPI.IT)



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UN PREMIO ALLE DONNE CHE NON HANNO FIGLI

Il Club di Roma, think-tank nato nel 1968 e noto per le sue “profezie” apocalittiche puntualmente smentite dai fatti, continua a ritenere che la popolazione mondiale vada drasticamente ridotta. Ci sarebbero – questo l’assunto di base – troppi esseri umani che, continuando a riprodursi con i ritmi attuali, saranno la causa della distruzione del pianeta Terra. Ecco perché due giorni fa il suddetto Club ha lanciato un nuovo studio in cui propone ai governi di ricompensare con 80.000 dollari le donne che, arrivate a 50 anni di età, non hanno avuto figli o, al massimo, ne hanno avuto uno solo. Il titolo di questa ultima pubblicazione è Reinventing Prosperity” [Reinventando la prosperità. Gestire la crescita economica per ridurre la disoccupazione, la disuguaglianza e il cambiamento climatico]. Gli autori, Graeme Maxton e Jorgen Randers, elencano alcune proposte “per migliorare il nostro mondo”, come la riduzione dei giorni lavorativi e l’aumento dell’età pensionabile. Ma l’idea di fondo è sempre la stessa da quarant’anni: bisogna risolvere il problema della “bomba demografica”. Pertanto, i governi dovrebbero retribuire le donne che si sono impegnate a non procreare. È del tutto evidente come una simile iniziativa miri ad incoraggiare l’uso della contraccezione, della sterilizzazione e dell’aborto per ridurre drasticamente i tassi di fertilità in tutto il mondo, in base ai principi delle fallimentari teorie neo-malthusiane. Da notare inoltre che l’incentivo di 80.000 dollari sarebbe molto più appetibile nei Paesi in via di sviluppo, dove – guarda caso – la popolazione è in aumento. L’Occidente, invece, si è auto-condannato a morte e al massimo spende la stessa cifra per fabbricare e comprare un bambino con l’utero in affitto… Ebbene, se venisse perseguita una politica come quella proposta dal Club di Roma, in futuro non vi sarebbe più chi si prenda cura della generazione attuale e lo sviluppo dei Paesi più poveri sarebbe gravemente compromesso. Ma per i fondamentalisti dell’ecologia e dell’animalismo questo sarebbe un bene, perchél’uomo è il cancro del pianeta ed è forse meglio che scompaia del tutto per lasciare in pace piante ed animali. (Federico Catani. Fonte: AgendaEurope)



MENTRE UNO DEI PROBLEMI PIU' GRAVI PER LE COPPIE IN OGNI PARTE DEL MONDO E' PROPRIO NON AVERE I FIGLI CHE VORREBBERO

Da mezzo secolo abbiamo assistito al diffondersi delle idee neomalthusiane: frenare la crescita della popolazione, diffusione della contraccezione e dell’aborto, sono necessità globali, esigenze da soddisfare per il progresso, il benessere, lo sviluppo sostenibile dell’umanità e la felicità degli individui… E oggi, invece l’Economist scopre che il principale problema delle coppie moderne è il bisogno insoddisfatto di figliThe Economist ha condotto la sua inchiesta in 19 paesi,  chiedendo alla gente quanti bambini avevano e quanti ne avrebbero voluti. I risultati sono stati sorprendenti. “Per un numero sempre maggiore di coppie, la più grande fonte di angoscia è che l’avere meno figli di quello che volevano – o di non averne affatto. Sia nei paesi ricchi che in quelli in via di sviluppo le coppie si ritrovano ad essere meno fertili di quanto avrebbero voluto“. “Il dolore di non avere figli o di averne meno di quello che si desidera è spesso estremo. Nei paesi ricchi è causa didepressione, in quelli poveri è anche una vera catastrofe sociale. La gente si rovina economicamente per tentare la fecondazione artificiale (senza successo), le donne sterili è più facile che siano divorziate e spesso soffrono di una sorta di stigma sociale“. Cook si augura – e noi con lui – che i dirigenti della Marie Stopes International, della Planned Parenthood, ilFondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA) e tutte le altre associazioni che a livello mondiale perseguono gli ideali malthusiani di controllo della popolazione  (tipo la fondazione dei Gates) leggano l’articolo dell’Economist in questione, soprattutto dove dice: “I governi e le agenzie umanitarie hanno trasformato la pianificazione familiare in una campagna del tutto unilaterale: per  ridurre le  gravidanze in età adolescenziale e le nascite indesiderate, hanno di fatto ridimensionato la famiglia. Invece, pianificazione familiare dovrebbe significare aiutare le persone ad avere il numero di figli che desiderano“. (PROVITA)


MA NON PREOCCUPATEVI, I ROBOT METTERANNO D'ACCORDO TUTTI...

Entro il 2021 il 6% dei lavoratori americani saranno sostituiti dai robot. Se fino ad ora le teorie e le previsioni legate all'intelligenza artificiale apparivano più un capriccio filosofico da nerd, i dati del rapporto della Forrester ripreso dal Guardian sono lo schiaffo che catapulta, con irruenza, alla realtà. Il rapporto. "Nei prossimi cinque anni - si legge nelle pagine redatte daForrester - gli agenti intelligenti, da semplici, diventeranno robot sofisticati. Le aziende potranno puntare su questi strumenti per ridurre il costo del lavoro". L'impatto negli Stati Uniti, tra i Paesi tecnologicamente più avanzati, si preannuncia devastante: sei lavoratori americani su cento saranno sostituiti dalle macchine Assistenti vocali. Interroghiamo con leggerezza Siri, l'assistente virtuale degli iPhone, sul meteo del prossimo fine settimana o sul percorso per raggiungere l'hotel più vicino. Lo si fa come se fosse un gioco, alterando la voce e facendo facce strane, spesso stupide, convinti che quella vocina metallica e accomodante sia rinchiusa in un pozzo troppo profondo per rispondere alle nostre provocazioni. Su internet o sulle riviste di tecnologia leggiamo che Google e Uber costruiscono automobili senza pilota, per un futuro che immaginiamo non proprio prossimo. Manca la consapevolezza, a tal punto dallo stentare nel crederci, che tra cinque anni questi strumenti possano evolversi e sostituire l'uomo in attività molto complesse, a partire dal lavoro. Nel rapporto Forrester si citano i rappresentanti dei servizi clienti, gli addetti dei call center e gli autisti di taxi e camion come le figure professionali a rischio estinzione. Se in un lustro le prospettive sono queste, molti altri impieghi saranno affidati completamente all'intelligenza artificiale entro la metà del secolo. Oltre al fatto che donne e uomini saranno costretti a reinventare se stessi (o una nuova professone) per trovare un impiego, un aumento (ulteriore) della disoccupazione potrebbe portare a disordini sociali. Non si tratta di una visione catastrofica: i padri delle nuove tecnologie hanno più volte messo in guardia sulla pericolosità di un utilizzo scorretto o sproporzionato delle proprie creature. "Prima le macchine faranno un sacco di lavoro per noi - parola di Bill Gates - e non saranno super intelligenti. Sarà positivo, se saremo capaci di maneggiarle bene. Un paio di decenni più tardi questa intelligenza diventerà un problema". Toni più apocalittici sono stati usati dal fondatore di Tesla e SpaceX, Elon Musk: "Affidare l'intelligenza ai computer è come invocare il demonio". Tra i problemi del futuro, dunque, dovremmo aggiungere anche il 'controllo della tecnologia', una minaccia che al momento pare trascurata: "I politici preferiscono parlare di lauree e di formazione tecnica, riferendosi a strumenti vecchi di almeno cinque o dieci anni. Non ci rendiamo conto - ha detto Andy Stern, ex presidente della Service Employees International Union - di quanto velocemente il futuro sta arrivando". Cinque anni passano in un lampo, meglio iniziare a riflettere. (LA REPUBBLICA, 16 SETTEMBRE 2016)

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E' MORTO PADRE AMORTH, ESORCISTA

UN ARTICOLO INTERVISTA DI PAOLO RODARI


Un giorno padre Gabriele Amorth, l’anziano sacerdote paolino divenuto esorcista della diocesi di Roma nel 1986 per mandato firmato dal cardinale vicario di allora Ugo Poletti – da poco ha dato alle stampe “L’ultimo esorcista” (Edizioni Piemme, 266 pagine, 16,50 euro) –, viene ricevuto da un’eminenza importante della Santa Sede.
“Buon giorno eminenza, sono padre Gabriele Amorth. Sono un sacerdote paolino. Abito a Roma. Sono anche l’esorcista ufficiale della…”.
“So chi è lei. Ho sentito parlare di lei. Mi dica. Cosa vuole?”.
“Avrei bisogno di incontrarla”.
“Per quale motivo?”.
“Be’, vede, ho messo insieme un’associazione di esorcisti. Ci riuniamo a Roma per confrontarci e aiutarci. Sa, nel mondo siamo talmente pochi”.
“Senta. Adesso non ho tempo. Se vuole può venire a casa mia domani. Così mi dice quello che vuole. Saluti”.
Il cardinale chiude la telefonata piuttosto bruscamente. O almeno così pare a padre Amorth. Qualcosa gli dice che non gli sta simpatico. Il giorno dopo si fa annunciare in casa sua all’orario stabilito. Un pretino ossequioso entra in una stanza in fondo a un corridoio. Esce pochi istanti dopo senza guardare Amorth. Entra in un’altra stanza senza dire nulla.
“Avanti!”, urla una voce roca che Amorth intuisce provenire dalla stanza in fondo al corridoio. Entra. Sua eminenza è seduta su una poltrona. Davanti a sé ha un televisore acceso. In mano il telecomando. Gli fa cenno di sedersi su una poltrona. Quindi, una volta sedutosi, spegne la tv.
“Lei voleva vedermi. Dunque eccomi qua. Mi dica”.
“Ecco, eminenza. Ci tenevo a informarla del fatto che, in qualità di esorcista della diocesi di Roma, ho pensato di convocare un piccolo raduno di esorcisti. Siamo in pochi nel mondo e in pochissimi in Italia. Ho pensato che vederci ci avrebbe aiutato. E’ un mestiere difficile. Così sono venuto qui soltanto per informarla di questa iniziativa”.
“Ma deve informare Ruini – il cardinale Camillo Ruini è, nel momento in cui avviene questo colloquio, ancora il vescovo vicario per la diocesi di Roma, il successore di Poletti, ndr –, non me. Io dirigo un ufficio vaticano che sulla carta potrebbe avere competenza in materia ma soltanto sulla carta. Chi deve essere informato è Ruini”.
“Eminenza, Ruini è già informato. Gli ho scritto personalmente. Mi sembrava buona cosa avvisare anche lei…”.
“Sì, sì, per carità. Ha fatto bene. Ma tanto questa storia del diavolo…”.
“Come scusi?”.
“Sto dicendo, lei fa l’esorcista, ma lo sappiamo entrambi che Satana non esiste, no?”.
“Come sarebbe a dire ‘sappiamo che non esiste’”.
“Padre Amorth. Per favore. Lei lo sa meglio di me che è tutta superstizione. Non mi vorrà mica far credere che lei ci crede davvero?”.
“Eminenza, mi stupisce sentire queste parole da una personalità così importante come lei”.
“La stupisce? Ma come? Non mi dica che lei davvero ci crede!”.
“Io credo che Satana esiste”.
“Davvero? Io no. E spero che nessuno ci creda. Diffondere certe paure non è buona cosa”.
“Be’, eminenza, non deve dirlo a me. Anzi, se posso le suggerirei una cosa”.
“Mi dica pure”.
“Lei dovrebbe leggere un libro che forse può aiutarla”.
“Ah sì? Quale libro, padre Amorth?”.
“Lei dovrebbe leggere il Vangelo”.
Un silenzio glaciale cala nella stanza. Il cardinale guarda Amorth serio senza rispondere. Amorth lo incalza.
“Eminenza, è il Vangelo che parla del demonio. E’ il Vangelo che racconta di Gesù che scaccia i diavoli. Non solo, è il Vangelo che dice che tra i poteri che Gesù ha dato agli apostoli c’è quello di scacciare i demoni. Cosa vuole fare, buttare a mare il Vangelo?”.
“No, ma io…”.
“Eminenza, voglio essere franco con lei. La chiesa commette un grave peccato a non parlare più del demonio. Le conseguenze di questo atteggiamento sono gravissime. Cristo è venuto e ha combattuto la sua battaglia. Contro chi? Contro Satana. E l’ha vinto. Ma lui è ancora libero di tentare il mondo. Oggi. Adesso. E lei cosa fa? Mi dice che sono solo superstizioni? Anche il Vangelo allora è solo superstizione? Ma come può la chiesa spiegare il male senza parlare del demonio?”.
“Padre Amorth, Gesù scaccia i demoni è vero. Ma è solo un modo di dire per mettere in evidenza la potenza di Cristo! Il Vangelo è un’espressione continua di parabole. Sono tutte parabole. Gesù ha sempre insegnato per parabole”.
“Ma eminenza, quando Gesù vuole usare una parabola lo dice chiaramente. Il Vangelo dice: ‘Gesù riferì loro questa parabola’. Mentre il Vangelo distingue nettamente fatti storici realmente accaduti, le guarigioni, gli insegnamenti, i rimproveri, gli esorcismi distinguendo questi ultimi dalle guarigioni. Quando Gesù scaccia i demoni non si tratta di una parabola, ma di una realtà. Non ha combattuto un fantasma, ma una realtà, altrimenti si sarebbe trattato di una farsa. Tanti santi hanno combattuto col demonio, tanti santi sono stati tentati dal demonio, pensi ad esempio alle esperienze dei padri del deserto, tanti santi hanno operato esorcismi. Allora sarebbero stati tutti falsi, tutti nevrotici? Come si fa a non credere all’esistenza di Satana?”.
“Va bene, ma anche ammesso che fossero fatti reali, anche ammesso che Gesù davvero ha scacciato i demoni, resta il fatto che Gesù, con la sua risurrezione, ha vinto tutto, e quindi ha vinto anche il demonio”.
“Sì, è vero, ha vinto tutto. Ma questa vittoria si deve applicare e deve essere incarnata nella vita di ognuno di noi. Cristo ha vinto ma la sua vittoria per noi deve essere riaffermata giorno dopo giorno. La nostra condizione di uomini ce lo impone. L’azione del demonio non è stata completamente annullata. Il demonio non è stato distrutto. Il Vangelo dice che il demonio esiste e che ha tentato persino Cristo. Gesù ha dato le armi, le ha date anche a noi, per vincerlo. Il demonio può ancora tentarci, tutti possiamo essere tentati, come dimostra la preghiera contro il maligno che Gesù stesso ci ha insegnato, nel Padre nostro. Fino al Vaticano II al termine della messa si diceva la preghiera a san Michele Arcangelo, il piccolo esorcismo composto da papa Leone XIII e si leggeva il Prologo del Vangelo di san Giovanni proprio in chiave liberatoria”.
Sua eminenza non sa più che dire. Non parla e non reagisce. Amorth si alza, saluta e se ne va. E pensa: “Fino a qui siamo arrivati?”.

Non è facile parlare di esorcismi, possessioni malefiche, insomma di Satana. E’ un tema che anche la chiesa cattolica cerca sempre di prendere con le pinze. Non tutti credono nell’esistenza di Satana all’interno della chiesa, ma si tratta di una minoranza. La paura, legittima, è più che altro paura del sensazionalismo, di un tema delicato trattato spesso con caratteri troppo forti. Poi, certo, c’è il timore dell’ignoto, del male che diviene presenza, spirito esistente. Anche Amorth, quando il cardinale Poletti gli ha chiesto di diventare esorcista, ha avuto paura.
Dice: “Mi trovo nell’appartamento del cardinale Ugo Poletti, vescovo vicario di Roma. Come tutti sanno il vescovo di Roma è il Papa. Ma il Pontefice, dal sedicesimo secolo in poi, ne ha delegato il governo pastorale a un vicario. E’ l’11 giugno 1986. Poletti usa ricevere i preti senza fissare un appuntamento. Anche io, quel giorno, ho seguito la prassi. Mi sono presentato senza appuntamento. E sono stato immediatamente ricevuto. Non ho qualcosa di particolare da chiedere al mio vescovo, voglio soltanto scambiare con lui quattro chiacchiere. Spesso è di questo che i preti hanno bisogno. Poletti lo sa e non pretende mai che si debba avere una motivazione importante per bussare alla sua porta. Mi chiede del mio lavoro all’interno della Società San Paolo. Sono, infatti, un prete paolino, giurista, appassionato di mariologia, giornalista professionista e direttore del mensile Madre di Dio. Non so spiegare per quale motivo, ma a un certo punto la conversazione cade su padre Candido Amantini, e cioè su colui che da trentasei anni è l’esorcista ufficiale della diocesi di Roma.
‘Lei conosce padre Candido?’, mi chiede Poletti sorpreso. ‘Sì’, rispondo. ‘Mi sono avvicinato al luogo dove fa esorcismi, il Santuario della Scala Santa che si trova a pochi passi da qui, per curiosità. L’ho conosciuto e ogni tanto vado a trovarlo’.
Poletti è un cardinale capace di governare. E di decidere. Quando prende una decisione la mette subito per iscritto, con tanto di firma leggibile e timbro in calce al foglio. Rimango sorpreso quando, senza dare spiegazioni, apre un cassetto della scrivania, tira fuori un foglio con la carta intestata della diocesi e si mette a scrivere a mano. Scrive per un minuto. Poche righe vergate con inchiostro nero. Quindi tira fuori un timbro, un solo colpo secco in basso a destra. Non oso chiedere nulla. Un presentimento si affaccia alla mia mente ma subito lo scaccio in attesa che sia lui a parlare. ‘Benissimo’, dice il cardinale chiudendo il foglio in una busta che lascia aperta prima di porgermela. ‘Questa busta è per lei. Complimenti. So che farà bene’. Per qualche istante non so che dire. Mentre ricevo la busta mi viene in mente quello che sempre mi diceva il mio padre spirituale ai tempi del seminario. ‘Come si fa a sapere se si sta facendo la volontà di Dio? Solo se si obbedisce al proprio vescovo si è sicuri di essere sulla giusta strada’.
Decido di aprire la busta davanti al cardinale. Ne leggo il contenuto e vi trovo esattamente quanto avevo immaginato. Poche parole piuttosto eloquenti.
‘Roma, 11 giugno 1986
Io, il cardinale Ugo Poletti, arcivescovo vicario della città di Roma, con la presente nomino esorcista della diocesi padre Gabriele Amorth, religioso della Società San Paolo. Egli si affiancherà a padre Candido Amantini fino a quando sarà necessario.
In fede, card. Ugo Poletti, arcivescovo vicario di Roma’.
‘Eminenza, io…’.
‘Caro padre Gabriele, non occorre che dica nulla. Così ho deciso e così deve essere. La chiesa ha un disperato bisogno di esorcisti. Roma soprattutto. Ci sono troppe persone che soffrono perché possedute e nessuno è incaricato di liberarle. Padre Candido da tempo mi ha chiesto un aiuto. Io ho sempre tergiversato. Non sapevo chi mandargli. Quando lei mi ha detto che lo conosceva ho capito che non potevo indugiare oltre. Lei farà bene. Non abbia paura. Padre Candido è un maestro speciale. Saprà come aiutarla’.
Rimango senza parole. Il Vangelo lo conosco bene. So che il potere di scacciare i demoni Cristo l’ha dato agli apostoli e ai loro successori, i vescovi, i quali, a loro volta, possono delegarlo a dei semplici preti. So che la chiesa non può stare senza esorcisti, tante sono le persone possedute nel mondo. Ma, mi domando, sarò capace? E poi, perché io?
Esco dall’ufficio del cardinale Poletti con il foglio di nomina in mano e tante domande e qualche paura nella mente. Dopo pochi passi capisco che c’è una sola cosa sensata da fare. E la faccio subito. La basilica di San Giovanni in Laterano è la più antica e nobile di Roma. Una delle sue cappelle laterali ha sempre presente il Santissimo, il corpo di Cristo. Entro. M’inginocchio su una delle tante panche di legno. E qui faccio la mia richiesta al cielo, o meglio alla Madonna.
‘Madre di Dio, accetto questo incarico, ma tu proteggimi col tuo manto’. E’ una supplica semplice. Un giorno, parecchio tempo dopo aver fatto quella supplica, mi trovo a esorcizzare un posseduto. Attraverso la sua voce è Satana che mi parla. Mi sputa addosso insulti, bestemmie, accuse e minacce. Ma a un certo punto mi dice: ‘Prete, vattene. Lasciami stare’.
‘Vattene tu’, gli rispondo.
‘Ti prego, prete, vattene. Contro di te non posso fare nulla’.
‘Dimmi, nel nome di Cristo, perché non puoi fare nulla?’.
‘Perché tu sei troppo protetto dalla tua Signora. La tua Signora col suo manto ti circonda e io non posso raggiungerti’”.

Beninteso, a volte Satana ha raggiunto Amorth, almeno a parole. Così fu in occasione del suo primo esorcismo.
Lo racconta lo stesso Amorth: “L’Antonianum è un grande complesso situato a Roma in via Merulana, poco distante da piazza San Giovanni in Laterano. Lì, in una stanza poco accessibile ai più, faccio il mio primo grosso esorcismo. E’ il 21 febbraio 1987. Un frate francescano di origine croata, padre Massimiliano, ha chiesto aiuto a padre Candido per il caso di un contadino dell’agro romano che, secondo il suo parere, ha bisogno di essere esorcizzato. Padre Candido gli dice: ‘Non ho tempo. Ti mando padre Amorth’.
Entro nella stanza dell’Antonianum da solo. Sono arrivato con qualche minuto d’anticipo. Non so cosa aspettarmi. Il primo a entrare nella stanza è padre Massimiliano. Dietro di lui, un’esile figura. Un uomo di venticinque anni, magro. Si notano le sue umili origini. Si vede che tutti i giorni ha a che fare con un lavoro bellissimo ma anche molto duro. Le mani sono ossute e grinzose. Mani che lavorano la terra. Prima ancora che inizi a parlargli, entra una terza persona, inaspettata.
‘Lei chi è? chiedo.
‘Sono il traduttore’, dice.
‘Il traduttore?’.
Guardo padre Massimiliano e chiedo spiegazioni. So che ammettere nella stanza dove si svolge un esorcismo una persona non preparata può essere fatale. Satana durante un esorcismo attacca i presenti se impreparati. Padre Massimiliano mi rassicura: ‘Non gliel’hanno detto? Quando va in trance parla solo in inglese. Serve un traduttore. Altrimenti non sappiamo cosa vuole dirci. E’ una persona preparata. Non commetterà ingenuità’.
Indosso la stola, prendo in mano il breviario e il crocifisso. A portata di mano tengo l’acqua benedetta. Inizio a recitare l’esorcismo in latino. Il posseduto è una statua di sale. Non parla. Non reagisce. Rimane immobile seduto sulla sedia di legno dove l’ho fatto accomodare. Recito il salmo 53.
È a questo punto che, di colpo, il contadino alza la testa e mi fissa. E nello stesso istante esplode in un urlo rabbioso e spaventoso. Diventa rosso e inizia a urlare invettive in inglese. Rimane seduto. Non si avvicina a me. Sembra temermi. Ma insieme vuole spaventarmi.
‘Prete finiscila! Zitto, zitto, zitto!’.
E giù bestemmie, parolacce, minacce. Accelero col rituale. Il posseduto continua a urlare: ‘Zitto, zitto, stai zitto’. E sputa per terra e addosso me. E’ furioso. Sembra un leone pronto al grande balzo. E’ evidente che la sua preda sono io. Capisco che devo andare avanti. E arrivo fino al Praecipio tibi – Comando a te. Ricordo bene quanto mi aveva detto padre Candido le volte che mi aveva istruito sui trucchi da usare: ‘Ricordati sempre che il Praecipio tibi è spesso la preghiera risolutiva. Ricordati che è la preghiera più temuta dai demoni. Credo davvero sia la più efficace. Quando il gioco si fa duro, quando il demonio è furioso e sembra forte e inattaccabile, arriva in fretta lì. Ne trarrai giovamento nella battaglia. Vedrai quanto è efficace quella preghiera. Recitala a voce alta, con autorità. Buttala addosso al posseduto. Ne vedrai gli effetti’.
Il posseduto continua a urlare. Adesso il suo lamento è un ululato che sembra venire dalle viscere della terra. Insisto: ‘Esorcizzo te, immondissimo spirito…’. L’urlo diviene ululato. E diviene sempre più forte. Sembra infinito. Gli occhi gli vanno all’indietro. La testa penzola dietro lo schienale della sedia. L’urlo continua altissimo e spaventoso. Padre Massimiliano cerca di tenerlo fermo mentre il traduttore arretra spaventato di qualche passo. Gli faccio segno di indietreggiare ulteriormente. Satana si sta scatenando. Continuo con le preghiere: ‘Perché stai lì e resisti, mentre sai che Cristo Signore ha distrutto i tuoi disegni…’. Il demonio sembra non cedere. Ma il suo grido ora si attenua. Adesso mi guarda. Un po’ di bava gli esce dalla bocca. Lo incalzo. So che devo costringerlo a svelarsi, a dirmi il suo nome. Se mi dice il suo nome è segno che è quasi sconfitto. Svelandosi, infatti, lo costringo a giocare a carte scoperte.
‘E ora dimmi, spirito immondo, chi sei? Dimmi il tuo nome! Dimmi, nel nome di Gesù Cristo, il tuo nome!’. E’ la prima volta che faccio un grosso esorcismo e, dunque, è la prima volta che chiedo a un demonio di rivelarmi il suo nome. La sua risposta mi raggela. ‘I’m Lucifer’, dice con voce bassa e cadenzando lentamente tutte le sillabe. ‘Io sono Lucifero’”. (blog di Paolo Rodari)

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