DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Aborto: la sindrome del sopravvissuto

di Carlo Bellieni

Una bella mattina di primavera, una mattina come le altre, vi alzate,
andate a lavoro e aprite il giornale: per uno strano caso notate
una notizia che vi attira.
Leggete meglio e trasecolate: il giornale riporta chiaramente
che voi avete avuto un fratello che quando era molto piccolo è morto.
E nessuno ve ne aveva parlato.
Fate fatica a crederci, ma l'articolo è dettagliato, e leggendolo
vi rendete anche conto che vostro fratello non è morto proprio
per caso, ma che qualcuno - e proprio qualcuno cui voi volete
molto bene - ha avuto a che fare con la sua morte.
Quali sentimenti genera questa scoperta, quali ambivalenze,
quali conflitti o domande? Strampalata situazione?
Non tanto: è quello che può succedere quando qualcuno scopre,
per qualche motivo, che un suo fratellino è stato abortito.

Già nel 1983, lo psicologo PG Ney riportava che i sopravvissuti
ad aborto possono sviluppare sentimenti di ostilità, trattenuti
dalla necessità di continuare a sentirsi voluto; può essere oggetto
di sovra-protezione, per i sensi di colpa dei genitori, e su di lui
si possono riversare attese impossibili, se è vissuto come
«figlio-sostituto».

Benoit Bayle, noto psichiatra francese, ha parlato dell'argomento
in un libro: L'embrione sul lettino. Psicopatologia del concepimento
umano (Koiné Edizioni).
In un'intervista (Avvenire, 22 marzo 2005) così si esprime:
«Quando si impiantano tre embrioni e uno solo sopravvive; quando
i biologi scongelano gli embrioni e circa il 40% di essi perisce;
quando i medici praticano un "feticidio" su una gravidanza multipla.
Quando in altre parole il bambino appartiene a un gruppo di pari
che è stato decimato prima della sua nascita, si osservano talvolta
problemi psicologici paragonabili a quelli osservati nei sopravvissuti
a catastrofi di tipo diverso. Tali traumi si orientano in tre direzioni.
L'essere umano concepito può pensare: «perché sono in vita io
e non gli altri?». Inconsciamente, può provare un senso di colpa notevole.
Ma può avvertire anche, a seconda delle circostanze, una sensazione
di onnipotenza o di megalomania: "Sono più forte degli altri, più
forte della morte", "sono indistruttibile dal momento che sono
sopravvissuto.". Questi sentimenti di colpa e di onnipotenza talora
coesistono paradossalmente e si accompagnano ad un'esposizione
al rischio,diretta (mettersi in situazioni di pericolo) o indiretta
(ad esempio, sviluppando malattie psicosomatiche). ».

Insomma, cosa passa per la mente di una ragazza, di un uomo
che viene a sapere che uno o più suoi fratelli concepiti con lui
o prima di lui sono stati volontariamente scartati/eliminati?
Possiamo solo immaginarlo, ma quello che non crediamo opportuno
è disinteressarsene: la scoperta di un fatto così personale ed intimo
non lascia indifferenti. Esistono libri per aiutare i genitori a far
accettare un aborto spontaneo ai fratellini già nati (per esempio
No Smile Cookies Today di K Kennedy Tapp o Molly's Rosebush
di J. Cohn) proprio perché non è un passaggio facile, che anzi
potrebbe essere sbagliato censurare.

Immaginiamoci allora quando l'aborto non è spontaneo, come
sottolineano nel 2006 Philip Ney e collaboratori dell'Università
della British Columbia, parlando chiaramente di Sindrome
del sopravvissuto all'aborto, che mostra segni diversi da chi
ha avuto fratelli morti per aborto spontaneo. Per questo
è importante ricordarsi che il dramma dell'aborto non interessa solo
le persone che direttamente lo subiscono, cioè il bimbo e la donna.

E non riguarda solo la famiglia. E' il dramma della generazione
dei nati nell'epoca in cui abortire è lecito, e che sanno che,
se si fossero presentate le condizioni, avrebbe potuto succedere a loro.

Si dirà che questa è un'esagerazione e che tante coppie mai
penserebbero ad abortire, ed è vero. Ma la possibilità teorica c'è;
e, anche senza saperlo, oggi quasi tutte le donne che stanno
per diventare mamme vengono in contatto con esami che saggiano
la «normalità del feto».
Alcuni esami sono invasivi (l'amniocentesi, per esempio), altri
guardano nel sangue materno se c'è un rischio, altri infine
si basano sull'esame ecografico di certe caratteristiche (per esempio
la famosa «plica nucale» o l'osso nasale) per valutare il rischio
di sindrome Down. E ormai siamo diretti verso uno screening
generalizzato. Insomma, chi nasce oggi sa di essere nato dopo
aver superato l'esame. Alcuni sono nati «perché» lo hanno superato,
altri sarebbero nati comunque. Ma tutti hanno fatto l'esame.
E questo essere esaminati non è una cosa da poco, se è il modo
che la società ha, e spesso anche i genitori, per avvicinarsi la prima
volta al figlio. Passati i secoli dello stupore per una nuova vita,
oggi si «accerta» la normalità e poi si «accetta» il figlio.

Ma quello che è più importante è che questo coincide con
una particolarità ben nota ai sociologi: la generazione dei ragazzi
di oggi viene chiamata da loro come la generazione degli
«echo-boomers», nome difficile, ma che nasce dalla fusione
del termine «baby-boomer» (cioè i figli del boom economico
nati negli anni '60) e del termine echo (eco) che insieme stanno
a dire che questi ragazzi oggi vivono solo di riflesso dei sentimenti,
delle speranze deluse, dei desideri frustrati dei loro genitori.
Non hanno più desideri propri, ma vivono per soddisfare i desideri
di chi li ha messi al mondo e lasciati nascere. Forse perché sanno
che sono nati proprio perché hanno adempiuto da feti i desideri
dei genitori. Pensavamo che fosse finita l'epoca del padre-padrone,
ma ora torniamo ancora più indietro.

Sia che siano sopravvissuti ad un aborto, sia che siano passati
attraverso l'analisi genetica prenatale, la generazione dei nostri figli
è una generazione di sopravvissuti, per accedere alla quale perlomeno
ti domandano prima se hai certe caratteristiche.
L'aborto è il trauma finale, ma ci preoccupa anche l'aria
che i nostri figli respirano e di cui sono ben consci: quella
in cui «chi non è desiderato è indesiderabile».