Testo del 22 ottobre 2009
Dedicazione della Chiesa Cattedrale
in Cattedrale
1. Cari fratelli sacerdoti, la solenne celebrazione della Dedicazione della nostra Chiesa Cattedrale ci aiuta, in questo anno sacerdotale, ad avere una più profonda intelligenza del nostro ministero sacerdotale.
«Ma egli parlava del tempio del suo corpo». E’ in Gesù morto e risorto, nel suo corpo glorificato, che Dio si rende presente fra noi. Alla domanda di Salomone, «ma è proprio vero che Dio abita sulla terra?», Dio stesso ha dato risposta, quando «inviò il suo figlio, nato da donna», quando «il Verbo si fece carne, e venne ad abitare in mezzo a noi».
La conseguenza più grandiosa di questo fatto è che la relazione dell’uomo col Mistero, dell’uomo con Dio, è profondamente mutata, come ci rivela la seconda lettura. Il cambiamento consiste tutto in questo: «voi vi siete accostati al monte di Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste».
La Gerusalemme celeste è la dimora eterna di Dio. Noi vi possiamo entrare poiché Cristo vi è entrato col suo corpo glorificato, e noi in Lui. La nostra condizione è mutata poiché «la nostra patria … è nei cieli» [Fil 3,20]. Dal momento che «Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati … ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù» [Ef 2,4.6].
La terra e il cielo non sono più insuperabilmente separati, perché nel Corpo di Gesù, che è la Chiesa, si sono indissolubilmente incontrati.
2. La nostra persona si pone precisamente nel punto di incontro fra la terra e il cielo, in quanto la ragione del nostro ministero è di introdurre l’uomo nel Mistero di Dio e Dio nel mistero dell’uomo: rendere presente Dio all’uomo e l’uomo a Dio. Non abbiamo altra ragione d’essere: la “causa” di Dio davanti all’uomo e la “causa dell’uomo davanti a Dio.
E’ questa la vera ragione per cui il nostro ministero si svolge oggi in una condizione di particolare drammaticità; possiamo dire di scontro decisivo. Per la prima volta infatti nella sua storia, l’uomo ha provato e continua a provare a costruirsi un’esistenza privandola della presenza di Dio, ritenendola superflua quando non dannosa. Quando Paolo giunge ad Atene, può dire: «cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto timorati degli dei» [At 17,22]. Nella polis attuale, il riferimento a Dio è stato soppresso.
Come vedete, l’estraneità della nostra missione alla città degli uomini è oggi completa, nel senso che di essa missione contesta il fondamento. E’ la “costruzione del tempio” che viene rifiutata, come simbolicamente e dolorosamente abbiamo non raramente finito anche noi per accettare, costruendo chiese prive di qualsiasi identità sacra. Ma noi siamo gli “architetti del tempio” sempre, anche oggi.
Ma come? L’Anno sacerdotale ci è stato donato per ritrovare la vera risposta a questa domanda. In questo momento mi limito solo ad una considerazione.
3. «I discepoli si ricordarono che sta scritto: lo zelo per la tua casa mi divora». I discepoli vedono nel comportamento di Gesù l’espressione della sua passione per la gloria del Padre, per la difesa del suo onore, per la custodia degli atrii del Signore nella santità loro dovuta.
Cari fratelli, lo Spirito Santo infonda nel nostro cuore lo “zelo per la casa del Signore”, perché diveniamo instancabili costruttori del tempio di Dio.
Sia il nostro cuore abitato dalla passione divorante per la “causa di Dio” e per la “causa dell’uomo”, consapevoli che e il nostro Dio è un Dio che vuole il bene dell’uomo e che l’uomo senza la presenza di Dio è destinato alla rovina.
Mi piace allora concludere con la parola di un grande poeta: Senza ritardi, senza fretta / costruiremo l’inizio e la fine di questa strada. / Noi costruiremo il senso: / una Chiesa per tutti / e una mansione per ognuno / ogni uomo al suo lavoro. [T. S. Eliot, La roccia, BvS, Milano 2004, pag. 35]
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