Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 28 ott.
L'auspicio che "possa crescere l'amicizia con il popolo cinese e possano rafforzarsi i vincoli di comunione con i cattolici di questo grande Paese come auspicato da Benedetto XVI nella Lettera del maggio 2007, dove viene citato ripetutamente padre Matteo Ricci ricordando il suo stile e il suo metodo" e che, "in questo contesto, possa procedere in modo spedito e positivo anche il riconoscimento del suo cammino di santita'", e' stato formulato oggi dal vescovo di Macerata, mons. Claudio Giuliodori, chiamato a presentare in Vaticano la mostra che si apre domani nell'atrio dell'Aula Nervi sul grande missionario gesuita marchigiano, morto a Pechino l'11 maggio 1610, al quale l'imperatore Wanli, per la prima volta nella storia della Cina, concesse un terreno per la sepoltura di uno straniero.
"Abbiamo voluto dedicare una mostra qui a Roma, a ridosso della Basilica di San Pietro, nel cuore della cristianita', ad un missionario vissuto in Cina per ventotto anni, morto e sepolto a Pechino, per sottolineare che tutta la sua opera e' scaturita dalla fedelta' a quel mandato missionario di Gesu' di cui P. Matteo Ricci si e' fatto testimone secondo l'innovativo carisma di Sant'Ignazio di Loyola", ha spiegato Giuliodori, che ha accostato a quella narrata da "Il Milione" di Marco Polo "l'impresa straordinaria" compiuta da padre Ricci, una figura ha osservato, "restata per tre secoli un po' nell'ombra a causa delle note vicende dei cosiddetti 'riti cinesi', a lui per altro sostanzialmente estranee perche' successive, possa trovare il riconoscimento e l'apprezzamento che merita per il suo genio missionario, per la sua statura spirituale e morale, per la sua apertura e lungimiranza culturale".
"Grazie al suo slancio missionario e sostenuto da una formidabile intelligenza, Matteo Ricci riusci' - ha ricordato mons. Giuliodori - a superare la diffidenza e la chiusura del popolo cinese guadagnando stima e prestigio fino ad essere accolto e ospitato a corte per desiderio dell'imperatore della grande dinastia Ming che ne apprezzera' la saggezza e i doni portati dall'Occidente". Matteo
Ricci, ha elencato il vescovo di Macerata e presidente della Commissione Cei per la Cultura e le Comunicazioni Sociali, "ha disegnato mappamondi che hanno fatto conoscere ai cinesi il resto del mondo a loro sostanzialmente ignoto, evidenziando su queste grandi carte geografiche i luoghi piu' importanti della cristianita'.
Ha tradotto in cinese libri di filosofia, di matematica e di astronomia e ha fatto conoscere in Occidente i testi di Confucio. Ha stabilito un dialogo intensissimo con i letterati e gli uomini di cultura piu' illustri della Cina trasformando questi colloqui in libri, finalizzati anche a preparare il terreno per la semina del Vangelo". L'ex portavoce della Cei ha anche citato un brano della lettera indirizzata da Matteo Ricci nel 1608 al fratello Antonio, canonico a Macerata, il cui originale sara' esposto nella Mostra: "Io mi ritrovo ancora nella Corte di Pachino da otto anni in qua che venni e vi sono bene occupato, et qua penso finir la mia vita, poiche' cosi' desidera questo re. Si son fatti molti christiani in quattro case che habbiamo in quattro luoghi piu' principali del regno: e molti vengono alle Messe e si confessano e comunicano le feste principali, et odono con gran gusto la parola di Dio, con che si fa gran frutto; ma molto piu' con i libri che si stampano in lingua cinese, et quest'anno se ne e' stampato uno, che e' stato molto accetto, et e' stato ristampato in due o tre altre provincie". Nel messaggio inviato alla Diocesi di Macerata per l'avvio delle celebrazioni nella ricorrenza del IV centenario, Papa Ratzinger sottolinea "l'innovativa e peculiare capacita' che egli ebbe di accostare, con pieno rispetto, le tradizioni culturali e spirituali cinesi nel loro insieme".
Un atteggiamento valso, secondo il Pontefice, "a contraddistinguere la sua missione tesa a ricercare la possibile armonia fra la nobile e millenaria civilta' cinese e la novita' cristiana, che e' fermento di liberazione e di autentico rinnovamento all'interno di ogni societa', essendo il Vangelo, universale messaggio di salvezza, destinato a tutti gli uomini, a qualsiasi contesto culturale e religioso appartengano".
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:LOMBARDI,GESUITI GRATI A GIULIODORI PER ANNUNCIO
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 28 ott.
A nome della Compagnia di Gesu', della quale e' consigliere generale, il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, ha voluto pubblicamente ringraziare mons. Claudio Giuliodori, vescovo di Macerata, per aver chiesto la riapertura del processo canonico del gesuita Matteo Ricci, missionario in Cina.
Padre Lombardi ha anche anticipato che la richiesta del vescovo - evidentemente gia' ufficializzata nei giorni scorsi alla Congregazioen delle Cause dei Santi - e' stata gia' accolta dalla Santa Sede, in quanto ha detto testualmente: "ringrazio mons. Giuliodori per l'annuncio della ripresa della Causa di Beatificazione".
Il processo diocesano per la beatificazione di padre Matteo Ricci si e' tenuto a Macerata dall'aprile 1984 all'aprile 1985, quando e' stata dichiarata chiusa la fase diocesana e padre Ricci e' divenuto "Servo di Dio".
Padre Lombardi ha anche auspicato che la diocesi di Pechino possa avviare rapidamente il processo di beatificazione del primo cinese convertito da Ricci, Xu Guangqui, che al battesimo assunse il nome di Paolo ed e' ritratto con il missionario in gran parte dell'iconografia originale.
"Sarebbe importante - ha detto Lombardi - che queste due figure ritratte insieme non siano mai piu' separate e possano entrambe salire all'onore degli altari".
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Presentata in Vaticano la mostra su padre Matteo Ricci: intervista col prof. Paolucci
“Ai crinali della storia. Padre Matteo Ricci (1552-1610) fra Roma e Pechino” è la mostra, presentata stamani in Sala Stampa vaticana, per ricordare il missionario gesuita nel quarto centenario della sua morte. Un allestimento, composto da 5 sezioni e visitabile presso il Braccio di Carlo Magno, in Vaticano, a partire da venerdì fino al 24 gennaio 2010. Alla presentazione ha partecipato anche mons. Claudio Giuliodori, vescovo di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia, che ha auspicato un’accelerazione del percorso di santità di padre Ricci, partito da Macerata e fattosi “cinese tra i cinesi” fino alla sua morte. Scienziato, sinologo e missionario: tanti aspetti ma come condensarli in una mostra? Benedetta Capelli lo ha chiesto al prof. Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani e curatore della mostra:
R. – Devo dire che ha avuto un grosso merito l’allestitore e lo scenografo Pierluigi Pizzi, il quale ha giocato la mostra su due colori: uno è un azzurro ghiacciato e luminoso, e questo è il colore dominante nella sezione dell’Occidente - l’Italia, Roma, l’Europa dalla quale veniva Matteo Ricci - l’altro invece è il colore rosso imperiale, il colore delle lacche cinesi, e questa è la parte che riguarda il nuovo mondo che Matteo Ricci ha abitato, ha scoperto e ha assorbito. Quindi, due mondi che si confrontano e hanno il loro “trait d’union” proprio in Matteo Ricci negli anni che vanno dal 1580 al 1610. E siccome Pizzi è molto bravo ha messo due fuochi che dominano il primo e secondo settore. In quello cinese c’è il grande altare di Confucio, che viene dal Museo etnografico missionario vaticano, e di fronte c’è l’immagine di Buddha, compassionevole e sorridente. Mentre invece il fuoco della “pars occidentis” è un grande e bellissimo quadro di Pier Paolo Rubens, con la glorificazione di Ignazio di Loyola, che viene dalla Chiesa del Gesù di Genova.
D. – Cinque sono le sezioni dell’allestimento, l’ultima è l’eredità e l’inculturazione...
R. – Per quanto riguarda l’eredità ho scritto, con una certa ironia, che ci voleva un Paese comunista e ateo come la Repubblica popolare cinese di oggi per esaltare il ruolo di Matteo Ricci. Infatti, per la Cina di oggi, Matteo Ricci è uno dei padri fondatori della civiltà cinese. Nel Millennium Center di Pechino, che è il luogo cerimoniale del partito di governo, c’è un fregio in marmi policromi di grandi dimensioni, che racconta in sintesi la storia cinese. Sono tutti cinesi, non ci sono stranieri, ad eccezione di due italiani: uno è Marco Polo e l’altro è Matteo Ricci. I cinesi hanno scelto dalle culture del mondo due soli stranieri e tutti e due sono italiani. Questo per dire chi è oggi per i cinesi padre Ricci o Li Madou, come lo chiamano loro.
D. – Abbiamo parlato della figura e del peso di Matteo Ricci nel passato. Oggi cosa rappresenta ancora questo gesuita?
R. – Matteo Ricci ha dimostrato con grande anticipo sui tempi, secondo me, che quando si entra a contatto con una cultura diversa bisogna diventare mimetici di quella cultura, bisogna farsi liquidi, flessibili, bisogna farsi penetrare in qualche modo dalla sensibilità, dallo spirito del popolo che ti ospita.
D. – A chi non conosce padre Matteo Ricci cosa consegna questa mostra?
R. – Questa capacità seduttiva e coinvolgente della cultura, perché lui non va in Cina a predicare il cristianesimo, questo lo fa in modo obliquo: lui porta lì la cultura di Occidente, porta la modernità occidentale di tipo scientifico e tecnologico e lui seduce il popolo, e soprattutto la corte imperiale con queste cose.
D. – Se lei dovesse scegliere un’immagine che questa mostra contiene per raccontare Matteo Ricci quale sarebbe?
R. – Io sceglierei l’Atlante della Cina. Matteo Ricci si fa anche cartografo. Per l’imperatore di Cina rappresenta il Paese asiatico e lo fa con grande abilità, perché fa capire in modo graduale che al mondo non c’è solo la Cina, ci sono anche le altre nazioni, gli altri continenti. Non era facile farlo accettare dalla cultura cinese e lui ci riesce. Fa un’operazione scientifica, introduce qualcosa di nuovo e riesce a farlo accettare.
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