DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Clima, ora arrivano i “tribunali del popolo”

di Anna Bono


Tratto dal sito Svipop il 19 ottobre 2009

È difficile individuare il momento esatto in cui il global warming si è trasformato da problema incombente in fenomeno in atto, con danni già accertati e quantificati.

Fatto sta che, ormai, nei sempre più frequenti summit internazionali dedicati ai cambiamenti climatici, si dà per scontato che la temperatura del pianeta stia aumentando, che questo avvenga a causa di fattori antropici e che il fenomeno da tempo provochi eventi atmosferici che nuocciono all’uomo e alla natura.

Nessuna di queste “certezze” è provata, anzi innumerevoli fonti scientifiche le smentiscono, ma il fatto si direbbe tutto irrilevante agli occhi di chi guida l’attuale campagna contro il global warming e che sembra animato da una allarmante voglia di inquisizione.

Gli imputati, colpevoli senza prove e senza appello, sono i paesi più industrializzati e da più tempo: quindi, in sostanza, quelli che comunemente si identificano con l’espressione “Occidente”.

Ad essi si chiede innanzi tutto una piena ammissione di colpevolezza. Quindi si devono assumere l’onore di ridurre, letteralmente a qualsiasi costo, le emissioni inquinanti ritenute responsabili del riscaldamento globale (si parla addirittura del 40% rispetto agli anni 90 del secolo scorso), di finanziare le tecnologie necessarie a contenere l’inquinamento atmosferico nei paesi in via di sviluppo, di risarcire questi stessi paesi dei danni causati finora dal fenomeno e di impegnarsi a fare altrettanto negli anni a venire.

In 17 stati diverse organizzazioni non governative hanno allestito dei “tribunali speciali” per raccogliere le testimonianze degli abitanti del cosiddetto sud del mondo, ritenuti le maggiori vittime del global warming, e portarle a dicembre a Copenhagen alla Conferenza internazionale sui cambiamenti climatici organizzata dalle Nazioni Unite che dovrà decidere il dopo Kyoto, il protocollo in scadenza nel 2012.

Eccone un esempio, riportato dall’agenzia di stampa missionaria MISNA il 6 ottobre: “Non siamo ricchi e dipendiamo dall’agricoltura per sopravvivere: prima riuscivamo a fare anche più di due raccolti all’anno, ma ora si alternano periodi di siccità e gravi inondazioni, i campi sono spesso incoltivabili e non abbiamo niente da mangiare”. A dichiararlo è un contadino dell’Uganda, Constance Okollet, che, se illustra una situazione generale, confermata da numerose altre testimonianze, solleva due interrogativi fondamentali.

Il primo: servivano davvero tanti aiuti umanitari in Africa se prima si ottenevano di norma anche più di due raccolti all’anno? Il secondo: come mai, allora, la memoria storica di centinaia di etnie africane si organizza in un susseguirsi infinito di carestie dovute a siccità o a piogge eccessive, il ricordo delle quali, insieme a quello degli altrettanto frequenti conflitti armati a scopo di conquista e di razzia, scandiva il tempo quando ancora non si contavano anni e secoli?

Sono domande che nessuno pone in Africa. Il continente ha già quantificato in 65 miliardi di dollari all’anno il costo futuro del global warming per i propri governi e, per la prima volta parlando all’unisono, ne chiede il risarcimento ai “grandi inquinatori”. La richiesta avanzata nelle scorse settimane è stata ribadita durante il vertice organizzato il 14 ottobre a Nairobi, Kenya, dalla Conferenza parlamentare pan-africana per i cambiamenti climatici in vista del summit di Copenhagen: per colpa della desertificazione e delle alluvioni causate dai cambiamenti climatici di cui sono responsabili i paesi industrializzati – ha affermato il presidente del Kenya, Mwai Kibaki, a conclusione dei lavori – l’Africa sta ingiustamente pagando un prezzo altissimo che deve essere risarcito.

Al danno economico dei costi immensi che si vorrebbero far sostenere all’Occidente si aggiunge inoltre quello, per niente secondario, di un ennesimo misfatto ad esso attribuito. Da decenni potenti forze politiche, economiche e sociali descrivono la civiltà occidentale come la peggiore mai concepita dal genere umano, capace solo di violenza e sfruttamento e forte unicamente della propria supremazia militare e della propria determinazione a farne uso senza limiti: per la maggior parte degli ambientalisti, è anche la civiltà che sta portando la Terra alla rovina producendo e consumando in eccesso.

Chissà perchè nulla o assai poco si rimprovera, invece, alla Cina, ad esempio, il più “grande inquinatore” del pianeta, e neanche ai paesi produttori di petrolio, che devono la loro ricchezza, peraltro assai male distribuita e reinvestita, a un elemento ritenuto tra i maggiori fattori inquinanti.