Tratto da Il Foglio del 29 ottobre 2009
Ne “Il dittatore dello stato libero di Bananas” di Woody Allen, Castrado decretava che la lingua ufficiale era lo svedese, che la biancheria intima andava portata sopra ai vestiti e che tutti i minori di 18 anni li avrebbero avuti all’istante.
In Venezuela, già dal primo gennaio del 2008 si iniziava la giornata a un orario che non trova corrispondenza in nessun’altra parte del mondo, e che differisce da quello di Greenwich non di un intervallo tondo, ma di tre ore e mezza. “E’ una questione di metabolismo, il cervello umano è condizionato dalla luce solare”, spiegò Hugo Chávez. Ora ci sono altre importanti disposizioni sulle primissime cose che il vero rivoluzionario dovrà fare subito dopo essersi alzato: la doccia in 180 secondi. “Mi sono cronometrato – ha detto il presidente venezuelano – tre minuti sono più che sufficienti, e non resto puzzolente. Un minuto per bagnarsi, un minuto per insaponarsi e un minuto per sciacquarsi. Il resto è spreco”.
Le stringenti direttive del presidente venezuelano hnascono dalla scarsità micidiale di acqua e elettricità: un po’ per colpa di un’impietosa siccità, molto di più per l’assoluta mancanza di manutenzione e investimenti. “Chiudete l’aria condizionata”, è stata dunque la prima disposizione. Dopo essersi definito “bolivariano” e aver poi inventato l’etichetta del “socialismo del XXI secolo”, il caudillo ha scelto questa occasione per cancellare infine anche il fattore K. Lui è comunista, il comunismo è il suo modello, e all’etica comunista non può sperare di conformarsi chi non segue le sue sempre più stringenti prescrizioni. “C’è gente che si mette a cantare sotto la doccia per mezz’ora. Che razza di comunismo è questo?”.
Fatta la doccia in tre minuti, il vero rivoluzionario dovrà poi vestire rigorosamente di rosso. Nei posti di lavoro pubblici, ad andare in azzurro o in bianco si rischia il licenziamento in tronco. Poi il vero rivoluzionario deve stare attento a cosa mangia a colazione. Mentre aumentava in patria il giro di vite su McDonald’s e Coca Cola, l’ambasciata venezuelana in Libano – in collaborazione con Hezbollah – ha lanciato a Beirut un ristorante “Hugo” con i camerieri in basco rosso, e menu conformi all’etica bolivariana. Shawarma de chigüire, che sarebbe un kebab di capibara (un roditore gigante sudamericano). Chicha andina: birra di mais, orzo e ananas. Guayoyo: caffè annacquato con succo di canna da zucchero. Una catena “Ristoranti Popolari Chávez” è stata annunciata anche in Venezuela: per permettere ai militanti bolivariani di “festeggiare il giorno di San Valentino” senza arricchire “i nemici della Rivoluzione”.
Il vero rivoluzionario, poi, non gioca a golf. Non guarda in tv le telenovelas o i Simpson, ma “Aló Presidente” e i cartoni animati con gli eroi dell’epopea di Bolívar. Può ancora imparare l’inglese, ma è pure meglio che cominci a impratichirsi in uno dei corsi di farsi che stanno aprendo in tutto il Venezuela, in onore dell’“Alleanza tra rivoluzioni” con l’Iran. Il vero rivoluzionario non regala ai bambini Big Jim ma il pupazzo di Chávez parlante, doppia versione borghese e in divisa: e lo fa portare da Gesù Bambino, non da quel “gringo” di Babbo Natale.