Lo rivela il New York Times. È già polemica sulla selezione dei pazienti da salvare
in caso di razionamento forzoso delle prestazioni sanitarie d'emergenza
Usa, piano shock per la pandemia
"Niente cure ad anziani e disabili"
dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI
NEW YORK - Barack Obama ha già decretato da sabato l'emergenza sanitaria nazionale, l'influenza A colpisce ormai 46 Stati Usa con milioni di pazienti contagiati, 20.000 casi ricoverati, mille morti. E gli approvvigionamenti di vaccini stentano a tener dietro alla domanda. In questo contesto il New York Times rivela un retroscena che fa rabbrividire. In molti Stati le autorità sanitarie si stanno preparando all'eventualità più tragica: il razionamento forzoso delle cure. In vista di uno scenario estremo, simile all'epidemia dell'influenza spagnola nel 1918, bisogna avere pronti i criteri e le regole per una selezione crudele, la decisione su chi va salvato e chi sarà abbandonato al suo destino. Perché se il contagio oltrepassa una certa soglia, le strutture sanitarie esploderanno e i reparti di rianimazione dovranno per forza fare delle scelte.
Le linee-guida per questa terribile discriminazione ora vengono alla luce. Quattro categorie di pazienti saranno le prime a essere sacrificate: i "Do Not Resuscitate", come vengono chiamati coloro che hanno dato disposizione nel testamento biologico di volersi sottrarre a ogni accanimento terapeutico; gli anziani; i pazienti in dialisi; infine quelli con severe patologie neurologiche. In questi casi - se l'epidemia supera una soglia di guardia - le autorità sanitarie potranno "negare il ricovero nelle strutture ospedaliere, o negare l'uso dei respiratori artificiali", secondo quanto rivela il New York Times. Lo Stato dello Utah inoltre ha stabilito una tabella di marcia precisa: questo tipo di razionamento e di rifiuto delle cure partirà anzitutto dagli ospizi per anziani non-autosufficienti, dai penitenziari e dagli istituti per disabili, fino a estendere gli stessi criteri selettivi alla totalità della popolazione.
È una terrificante logica darwiniana, di selezione dei più forti, o dei più adatti a sopravvivere. Ma è inevitabile, sostengono i responsabili delle task-force anti-influenza, perché in uno "scenario 1918" sarebbe ipocrita fare finta di poter curare tutti.
Lo Stato di New York ha codificato queste regole estreme, che sono accessibili al pubblico, e corredate da 90 pagine di commenti raccolti dallo Health Department. "Triage", ovvero "smistamento", è la parola-chiave che affiora in mezzo a quel documento, la foglia di fico che nel gergo tecnico sta per razionamento. Mary Buckley-Davis, una specialista di rianimazione con 30 anni di esperienza alle spalle, ha denunciato pubblicamente alle autorità sanitarie quelle regole. "Ci saranno sommosse per le vie di New York - scrive la Buckley-Davis - non appena si viene a sapere che gli ospedali staccano la maschera respiratoria ad alcuni pazienti. Non c'è campagna di comunicazione che possa fare accettare alle famiglie la decisione di cessare le cure ai loro cari". Le autorità statali si difendono spiegando che il peggio è lasciare queste scelte - inevitabili - all'improvvisazione del personale sanitario travolto da un'emergenza. Sarebbe ingiusto, oltre che inefficiente. "La prospettiva cambia - spiega la dottoressa Ann Knebel del Department of Health - se anziché pensare al paziente individuale si guarda alla comunità degli ammalati".
La Knebel porta il titolo di ammiraglio, perché proviene dai servizi medici delle Forze armate. Non a caso. I piani di razionamento infatti sono stati studiati e sperimentati inizialmente proprio sul fronte di guerra, dove gli ufficiali medici possono essere costretti a scelte crudeli: chi curare per primo quando i mezzi scarseggiano. E le direttive che ora vengono rispolverate per l'influenza A hanno avuto il loro battesimo dopo l'11 settembre: per uno scenario di attacco terroristico con armi biologiche o nucleari, e una strage a Manhattan.
©La Repubblica (26 ottobre 2009)
Oltre al fatto che nella riduzione fetale (aborto di un feto su tre) di solito si elimina un "feto" sano come gli altri, resta da domandarsi cosa penseranno i due feti sopravvissuti quando sapranno che poteva toccare a loro! Sembra una cosa di poco rilievo, ma a sentire chi studia la psicologia umana non è uno scherzo. già: pensate se toccasse a voi scampare per fortuna ad un incidente in cui muore vostro fratello. E se questo poi non è stato un incidente... pensate a cosa passerebbe nella vostra mente.
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Uno dei tre non deve nascere
Fecondazione assistita, molte donne costrette a una gravidanza multipla sacrificano un feto | |
MARCO ACCOSSATO | |
Almeno quattro future mamme sottoposte nell’ultimo anno a fecondazione assistita hanno deciso di selezionare i loro feti, facendo venire al mondo soltanto due dei figli di una gravidanza trigemellare. E’ successo al Sant’Anna, l’ospedale torinese dellemammee dei bambini, maprobabilmente è quanto accade anche altrove. La tecnica si chiama embrioriduzione, generalmente praticata entro il primo trimestre per non mettere a rischio la sopravvivenza di tutti i nascituri in caso di minaccia di aborto. Ma qui la scelta di eliminare uno dei bimbi è avvenuta non per un rischio clinico per il feto o per la madre, ma sulla base del «verdetto» di una consulenza psichiatrica: «La gravidanza trigemellare rappresenta un grave pericolo per la salute psichica della futura madre», si legge in una di queste consulenze. Basta una minaccia di depressione. Non serve arrivare all’ipotesi estrema di suicidio, che potrebbe essere classificata come un rischio potenziale per la sopravvivenza della madre. Sono numerose le gravidanze gemellari e trigemellari in caso di fecondazione assistita. Il fatto è che a Torino la scelta di queste mamme sta mettendo in crisi più d’uno, nel principale ospedale ginecologico, tra chi - medici, infermieri e ostetriche - accompagna queste donne verso il parto. Un caso destinato a sollevare più di un interrogativo, anche etico. Storie di bambini mai nati: quello che viene soppresso è in genere il feto più facilmente raggiungibile con l’ago di una siringa che inietta nel cuore cloruro di potassio: un metodo rapido, che nel giro di pochi secondi ferma il battito. Oppure si sceglie il più piccolo dei tre, dopo un’ecografia. Si adotta una tecnica simile a quella utilizzata per l’amniocentesi, ma in questo caso la siringa e l’ago non prelevano liquido amniotico per essere analizzato alla ricerca di eventuali malformazioni. L’iniezione intra-cardiaca ferma all’istante lo sviluppo di uno dei tre feti. Tra chi, all’ospedale Sant’Anna, ora dice di disapprovare una scelta comunque drammatica, c’è anche chi non ha scelto l’obiezione di coscienza. Chi, cioè, ha finora dato il consenso a praticare senza preconcetti interruzioni volontarie di gravidanza. «Ma in questo caso - dicono - siamo di fronte a tutt’altra questione: donne che hanno fatto di tutto per diventare madri, che hanno speso denaro ed energie fisiche ed emotive, decidono di sopprimere una vita diventata improvvisamente di troppo». Un paradosso. In Italia, il numero delle coppie che si sottopongono a fecondazione assistita è in costante crescita, con percentuali di successo tra il 22 e il 35 per cento per ciclo, malgrado nel 2007 il dato risultasse in netto calo, a tre anni dalla legge 40 sulla fecondazione artificiale: dal 24,8 per cento del 2003 al 21,2 per cento di successi del 2005, con una riduzione di 3,6 punti percentuali. In tutte le relazioni psichiatriche indispensabili per autorizzare le embrioriduzioni, al Sant’Anna le difficoltà della donna ad accettare l’idea di essere madre di tre gemelli sono state determinanti. In nessun caso la «selezione» era motivata da problemi clinici. L’eliminazione selettiva di un feto che viene effettuata solitamente a 10-12 settimane di gestazione, «è associata con una riduzione del rischio di aborto e di morte perinatale nelle gravidanze plurigemellari con più di tre gemelli », dice la letteratura. La stessa pratica è controversa, per le gravidanze trigemine, dallo stesso mondo medico. La questione sollevata al Sant’Anna è destinata ad aprire una serie di interrogativi non solo sul diritto a una scelta simile, ma soprattutto sulla preparazione delle coppie ad affrontare una gravidanza dopo la fecondazione in vitro. Molte si rivolgono all’estero. «Più che una consulenza psichiatrica per decidere di eliminare uno dei futuri figli, occorrerebbe una consulenza più attenta prima di sottoporre la donna a Fivet», sostiene chi potrebbe presto trovare una nuova forma di obiezione. «Bisogna spiegare più chiaramente alle donne qual è la relazione tra embrioni impiantati e possibilità di sviluppare gravidanze multiple». C’è un altro aspetto etico della questione: una delle pazienti che si è sottoposta al Sant’Anna all’embrioriduzione, ha perso tutti i gemelli, in seguito alla rottura delle membrane. Un rischio collegato alla tecnica stessa. marco.accossato@lastampa.it |