DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

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Eugenetica ieri e oggi



A proposito di eugenetica, proponiamo ai nostri lettori questo articolo pubblicato sul mensile Notizie Pro Vita, che meritava di essere letto e merita di non essere dimenticato: oggi, come ai tempi del nazionalsocialismo, chi non è perfetto e in salute ha buone probabilità di essere eliminato, sia prima sia dopo la nascita.
 Vi sono cattive idee più pericolose ancora degli uomini cattivi, perché tenacemente sopravvivono, talvolta incipriate di falsa pietà, continuando a circolare pressoché indisturbate nella “buona società” odierna. Una di queste è l’eugenetica, che a detta di Elof Axel Carlson è “la lunga storia di una cattiva idea”, che oggi è passata “da delitto a diritto”, per dirla con Giovanni Paolo II: diritto al figlio perfetto, alla morte dignitosa, alla ricerca scientifica senza paletti. Il tutto ad ogni costo, compreso il costo umano. Talora qualcuno si offende se si fanno riferimenti a tempi poco lontani, se ad esempio si nota la rilevanza del tema nell’ideologia nazionalsocialista.
Forse non consapevoli di tale compagnia, oggi molti non si scandalizzano per le diagnosi prenatali e gli aborti cosiddetti “terapeutici”, trovano giusto pensare a come morire – e far morire – in caso di malattia grave (eutanasia) o di depressione (suicidio assistito), approvano le selezioni degli embrioni (forse) ammalati prima dell’impianto.
Correva l’anno 1920 quando nella società tedesca si teorizzò l’eutanasia di Stato e apparve un libro, “L’autorizzazione all’eliminazione delle vite non più degne di essere vissute”, dello psichiatra Alfred Hoche (1865-1943) e del giurista Karl Binding (1841- 1920). Il primo passo verso l’attuazione delle teorie lì esposte, il famigerato Aktion T4, si ebbe nel 1933 con l’emanazione della “Legge sulla prevenzione della nascita di persone affette da malattie ereditarie”, cui seguì nel 1935 quella per “La salvaguardia della salute ereditaria del popolo tedesco”. Con essa si autorizzava l’aborto nel caso in cui uno dei genitori fosse affetto da malattie ereditarie, ma di fatto si iniziava la sterilizzazione forzata delle persone ritenute portatrici di malattie genetiche. Il risultato fu,in 12 anni, la sterilizzazione di più di 400.000 tedeschi. Oggi abbiamo 147 mila aborti l’anno, in Italia, e senza alcun controllo sull’esattezza della diagnosi per quelli definiti “terapeutici”. Si dice che stanno calando, solo perché non si vuole ammettere l’esistenza del terribile fenomeno del fai-da-te, con pillole varie falsamente definite contraccettive. Nel 2011, secondo The Lancet, la rivista medica inglese, ci sono stati 43,8 milioni di aborti nel mondo, una gravidanza su cinque.
Ma anche a nascere si corrono grandi rischi: in Francia e in Italia, se nasci con la trisomia 21, puoi chiedere il risarcimento da “danno di nascita” perché il dottore non ha detto alla mamma che poteva abortirti. E qualcuno ancora si chiede indignato come mai un tre per cento dei bambini francesi affetti da trisomia ancora nasca e solo il 97% venga abortito. Il protocollo di Groningen, in Olanda, dichiara che “Quando i genitori e i medici sono convinti che ci sia per un bambino una prognosi estremamente negativa, questi possono essere in accordo sul fatto che la morte è più umana della continuazione della vita.”
E, se siete felici di essere nati, non è detto che possiate dormire sonni tranquilli. Se vivete in Gran Bretagna c’è il Lcp, Liverpool Care Pathway: consiste nel sospendere la somministrazione endovena di alimentazione e medicinali al paziente molto anziano o terminale e sostituirla con un’infusione permanente di morfina.
Che cosa è tutto questo, se non eugenetica? Buona razza, buona qualità, buona salute. Altrimenti, meglio togliere il disturbo. Noi invece vogliamo continuare a essere “disturbati” dalla preziosità di ogni persona umana.
Chiara Mantovani
Tratto da NotizieProVita n.12 – Febbraio 2013

Papa Francesco: "Giocare con la vita è un peccato contro Dio creatore"


Buongiorno!

Vi ringrazio della presenza e anche per l’augurio: il Signore mi conceda vita e salute! Ma questo dipende anche dai medici, che aiutino il Signore! In particolare, voglio salutare l’Assistente ecclesiastico, Mons. Edoardo Menichelli, il Cardinale Tettamanzi, che è stato il vostro primo assistente, e anche un pensiero al Cardinale Fiorenzo Angelini, che per decenni ha seguito la vita dell’Associazione e che è tanto ammalato ed è stato ricoverato in questi giorni, no? come pure ringrazio il Presidente, anche per quel bell’augurio, grazie.

Non c’è dubbio che, ai nostri giorni, a motivo dei progressi scientifici e tecnici, sono notevolmente aumentate le possibilità di guarigione fisica; e tuttavia, per alcuni aspetti sembra diminuire la capacità di "prendersi cura" della persona, soprattutto quando è sofferente, fragile e indifesa. In effetti, le conquiste della scienza e della medicina possono contribuire al miglioramento della vita umana nella misura in cui non si allontanano dalla radice etica di tali discipline. Per questa ragione, voi medici cattolici vi impegnate a vivere la vostra professione come una missione umana e spirituale, come un vero e proprio apostolato laicale.

L’attenzione alla vita umana, particolarmente a quella maggiormente in difficoltà, cioè all’ammalato, all’anziano, al bambino, coinvolge profondamente la missione della Chiesa. Essa si sente chiamata anche a partecipare al dibattito che ha per oggetto la vita umana, presentando la propria proposta fondata sul Vangelo. Da molte parti, la qualità della vita è legata prevalentemente alle possibilità economiche, al "benessere", alla bellezza e al godimento della vita fisica, dimenticando altre dimensioni più profonde – relazionali, spirituali e religiose – dell’esistenza. In realtà, alla luce della fede e della retta ragione, la vita umana è sempre sacra e sempre "di qualità". 

Non esiste una vita umana più sacra di un’altra: ogni vita umana è sacra! Come non c’è una vita umana qualitativamente più significativa di un’altra, solo in virtù di mezzi, diritti, opportunità economiche e sociali maggiori.

Questo è ciò che voi, medici cattolici, cercate di affermare, prima di tutto con il vostro stile professionale. La vostra opera vuole testimoniare con la parola e con l’esempio che la vita umana è sempre sacra, valida ed inviolabile, e come tale va amata, difesa e curata. Questa vostra professionalità, arricchita con lo spirito di fede, è un motivo in più per collaborare con quanti – anche a partire da differenti prospettive religiose o di pensiero – riconoscono la dignità della persona umana quale criterio della loro attività. Infatti, se il giuramento di Ippocrate vi impegna ad essere sempre servitori della vita, il Vangelo vi spinge oltre: ad amarla sempre e comunque, soprattutto quando necessita di particolari attenzioni e cure. Così hanno fatto i componenti della vostra Associazione nel corso di settant’anni di benemerita attività. Vi esorto a proseguire con umiltà e fiducia su questa strada, sforzandovi di perseguire le vostre finalità statutarie che recepiscono l’insegnamento del Magistero della Chiesa nel campo medico-morale.

Il pensiero dominante propone a volte una "falsa compassione": quella che ritiene sia un aiuto alla donna favorire l’aborto, un atto di dignità procurare l’eutanasia, una conquista scientifica "produrre" un figlio considerato come un diritto invece di accoglierlo come dono; o usare vite umane come cavie di laboratorio per salvarne presumibilmente altre. 

La compassione evangelica invece è quella che accompagna nel momento del bisogno, cioè quella del Buon Samaritano, che "vede", "ha compassione", si avvicina e offre aiuto concreto (cfr Lc 10,33). La vostra missione di medici vi mette a quotidiano contatto con tante forme di sofferenza: vi incoraggio a farvene carico come "buoni samaritani", avendo cura in modo particolare degli anziani, degli infermi e dei disabili. La fedeltà al Vangelo della vita e al rispetto di essa come dono di Dio, a volte richiede scelte coraggiose e controcorrente che, in particolari circostanze, possono giungere all’obiezione di coscienza. E a tante conseguenze sociali che tale fedeltà comporta. 

Noi stiamo vivendo un tempo di sperimentazioni con la vita. Ma uno sperimentare male. Fare figli invece di accoglierli come dono, come ho detto. Giocare con la vita. Siate attenti, perché questo è un peccato contro il Creatore: contro Dio Creatore, che ha creato le cose così. Quando tante volte nella mia vita di sacerdote ho sentito obiezioni. "Ma, dimmi, perché la Chiesa si oppone all’aborto, per esempio? E’ un problema religioso?" – "No, no. Non è un problema religioso" – "E’ un problema filosofico?" – "No, non è un problema filosofico". E’ un problema scientifico, perché lì c’è una vita umana e non è lecito fare fuori una vita umana per risolvere un problema. "Ma no, il pensiero moderno…" – "Ma, senti, nel pensiero antico e nel pensiero moderno, la parola uccidere significa lo stesso!". Lo stesso vale per l’eutanasia: tutti sappiamo che con tanti anziani, in questa cultura dello scarto, si fa questa eutanasia nascosta. Ma, anche c’è l’altra. E questo è dire a Dio: "No, la fine della vita la faccio io, come io voglio". Peccato contro Dio Creatore. Pensate bene a questo.

Vi auguro che i settant’anni di vita della vostra Associazione stimolino un ulteriore cammino di crescita e di maturazione. Possiate collaborare in modo costruttivo con tutte le persone e le istituzioni che con voi condividono l’amore alla vita e si adoperano per servirla nella sua dignità, sacralità e inviolabilità. San Camillo de Lellis, nel suggerire il metodo più efficace nella cura dell’ammalato, diceva semplicemente: «Mettete più cuore in quelle mani». Mettete più cuore in quelle mani. È questo anche il mio auspicio. La Vergine Santa, la Salus infirmorum, sostenga i propositi con i quali intendete proseguire la vostra azione. Vi chiedo per favore di pregare per me e di cuore vi benedico. Grazie.


Sterilizzazione



«In campo protestante la teologia cosiddetta “dell’ordine della creazione” recepì l’eugenetica molto tempo prima che i nazisti emanassero le leggi sulla sterilizzazione. (…) Nel 1930 la “Missione interiore”, la principale associazione assistenziale protestante con una vasta rete organizzativa ramificata in tutta la Germania, stabilì che la sterilizzazione era legittima dal punto di vista religioso e morale, ed era dunque un dovere morale nei confronti della generazioni future. (…) Queste misure erano rivolte soprattutto a persone il cui comportamento indicava in modo chiaro che avrebbero avuto dei figli “antisociali”» (Michael Burleigh, «In nome di Dio. Religione, politica e totalitarismo», Rizzoli, pp. 130-131).

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La dittatura del desiderio

Autore: Tanduo, Luca e Paolo Curatore: Leonardi, Enrico
Fonte: CulturaCattolica.it
mercoledì 27 ottobre 2010

Due casi di questi giorni ci devono interrogare seriamente su quale società vogliamo costruire e su quali diritti vogliamo tutelare. I due fatti, diversi tra loro, mostrano come i diritti del bambino e il fontale diritto alla vita siano sempre più un arbitrio in mano al relativismo etico.

Un risarcimento di un milione e 600 mila euro è stato riconosciuto ad una coppia di coniugi per un errore diagnostico che non li ha avvertiti della malattia del figlio, e quindi non ha loro consentito di procedere con l'aborto. Come ha scritto il Foglio siamo ormai all'ideologia della "nascita sbagliata". Forse non tutti si rendono conto che questa sentenza ammette e permette che una vita malata possa essere selezionata e impedita. Pur comprendendo le fatiche e i sacrifici cui sono sottoposte le famiglie che devono affrontare una seria malattia del loro figlio, non possiamo arrenderci a questa idea di uomo che ricorda troppo da vicino la Rupe Tarpea. Noi non ci rassegniamo e diciamo che tutte le vite umane hanno uguale valore e tutte arricchiscono l'umanità, tutte sono segno di amore.

Che dire poi della notizia che appare sui giornali, dove si racconta di un disabile (ironia della sorte, proprio quella persona che forse oggi è ritenuta inutile e quindi sarebbe selezionata alla nascita) che vuole offrire il suo sperma per permettere a coppie di lesbiche di avere un figlio: un bambino ha diritto ad avere una mamma ed un papà, anche su questo non si può transigere. L'idea, o meglio l'ideologia, che solo i sani debbano nascere o continuare a vivere (vedi anche l'eutanasia) è completamente disumana, essendo l'uomo per sua natura sottoposto alla malattia e al dolore, ma forse è proprio questo il problema: si vuole disumanizzare l'uomo. Anche i recenti casi sulla fecondazione eterologa e con Fivet o attraverso un ragazzo disabile che si offre ad una coppia di lesbiche per avere un figlio (se si riflette, l'eterologa anche in provetta è simile a questa "naturale" come scrivono i giornali) che per natura non possono avere in quanto dello stesso sesso, rappresenta l'estremizzazione di desideri che non rispettano e non accettano la natura dell'uomo.

EUGENETICA: NASCE UNA RETE SOCIALE PER AVERE FIGLI BELLI Chi perde i propri attributi fisici viene espulso

di Carmen Elena Villa

LOS ANGELES, mercoledì, 15 settembre 2010 (ZENIT.org).- Una rete sociale nella quale “non si accettano i brutti” e in cui di recente 5.000 membri sono stati espulsi per essere aumentati di peso ha lanciato l'offerta di donatori di ovuli e sperma per poter generare figli belli.

Si tratta del sito “Beautiful People” (“Gente Bella”), che cerca di “potenziare le probabilità di avere un bambino bello”, come spiega la sua pagina web.

La rete è nata in Danimarca nel 2002 ed è ora presente in 190 Paesi del mondo.

Chi vi aderisce difende l'idea dei donatori per bambini belli come una “nobile causa”. Il direttore del sito, Greg Hodge, ha detto all'agenzia AFP che si tratta di “un'opportunità che diamo a tutte le coppie e le donne single con problemi di fecondazione”.

Chi aspira ad appartenere a questa rete viene contattato dopo aver inviato una fotografia e aver “creato un profilo in cui le donne verranno votate dagli uomini e gli uomini dalle donne”, ha spiegato Hodge.

Il direttore ha definito il suo sito “molto democratico” perché “riflette il fatto che la bellezza è una cosa soggettiva, perché ci sono tutti i gusti e tutte le origini etniche e culturali”.

ZENIT ha consultato il ginecologo Carlos Alberto Gómez Fajardo, esperto di Bioetica, per il quale iniziative come questa riguardano “la mentalità eugenetica e abortista”, che “cresce in un terreno di ideologia light in cui nessuno sembra volersi interrogare sulla realtà: la condizione personale umana di ciascuno delle migliaia di embrioni che vengono distrutti nei processi”.

Nella sua Enciclica Evangelium Vitae (1995), Giovanni Paolo II ha definito la mentalità eugenetica “ignominiosa e quanto mai riprovevole”, perché cerca di “misurare il valore di una vita umana soltanto secondo parametri di normalità e di benessere fisico”.

Dal canto suo, l'istruzione Dignitas Personae, pubblicata nel 2008 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede su alcune questioni di bioetica, afferma che trattando l'embrione come semplice “materiale di laboratorio” si operano “un’alterazione e una discriminazione anche per quanto riguarda il concetto stesso di dignità umana”.

Il documento afferma che le modalità di selezione genetica “introducono un indiretto stigma sociale nei confronti di coloro che non possiedono particolari doti e enfatizzano doti apprezzate da determinate culture e società, che non costituiscono di per sé lo specifico umano”.

“Se in altri tempi, pur accettando in generale il concetto e le esigenze della dignità umana, veniva praticata la discriminazione per motivi di razza, religione o condizione sociale”, dichiara la Dignitas Personae, “oggi si assiste ad una non meno grave ed ingiusta discriminazione che porta a non riconoscere lo statuto etico e giuridico di esseri umani affetti da gravi patologie e disabilità”, perché non godono delle condizioni fisiche conformi agli attuali parametri di bellezza.

Questo tipo di manipolazioni, avverte il testo, finirà, “prima o poi, per nuocere al bene comune, favorendo il prevalere della volontà di alcuni sulla libertà degli altri”.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

La morte di Nietzsche e il suo disprezzo per i "malriusciti"

Di Francesco Agnoli (del 04/05/2010 @ 12:34:51, in Filosofia, linkato 76 volte)

Alcuni passi dalla cartella clinica di F. Nietzsche, quando fu ricoverato nel manicomio di Jena dal 18 gennaio al 24 marzo 1890: “Nel camminare il paziente alza spasmodicamente in alto la spalla sinistra lascia perdere quella destra. Vacilla nel voltarsi. Eccitabilità idiomuscolare accresciuta. Il malato va nel reparto con molti inchini di cortesia. Con passo maestoso e guardando al soffitto entra nella sua stanza e ringrazia con grandiosa accoglienza. Non sa dove sia. Cerca innumerevoli volte di stringere la mano ai medici. 3 febbraio: imbrattato di escrementi. 10 Marzo: fame da lupo. Designa sempre giustamente i medici; se stesso ora come duca di Cumberland ora come imperatore ecc. 19 aprile: scrive cose illeggibili sulle pareti: ‘ Voglio un revolver, se è vero il sospetto che la granduchessa stessa commette queste porcherie e questi attentati contro di me…’” (Anacleto Verrecchia, La catastrofe di Nietzsche a Torino, Bompiani)

Nietzsche, come noto, "sosteneva una concezione evoluzionistica secondo cui il genere umano deve progredire verso l’Übermensch (l’Oltreuomo) attraverso la selezione dei migliori e l'eliminazione dei deboli e, pertanto, accusava il cristianesimo di essere uno pseudoumanesimo, che si opponeva alla vera filantropia, proprio per avere sempre difeso ogni uomo, nessuno escluso: “i deboli e i malriusciti devono perire, questo è il principio del nostro amore per gli uomini […]. Che cos’è più dannoso di qualsiasi vizio? Agire pietosamente verso tutti i malriusciti e i deboli – il cristianesimo” . Similmente: “l'individuo fu tenuto dal cristianesimo così importante, posto in modo così assoluto, che non lo si poté più sacrificare , ma la specie sussiste solo grazie a sacrifici umani”.

Nietzsche si avvede bene che l’intangibilità della dignità umana dipende dal rapporto dell’uomo con Dio: “Davanti a Dio tutte le «anime» diventano uguali; ma questa è proprio la più pericolosa di tutte le valutazioni possibili! Se si pongono gli individui come uguali, si mette in questione la specie, si favorisce una prassi che mette capo alla rovina della specie; il cristianesimo è il principio opposto a quello della selezione. Se il degenerato e il malato devono avere altrettanto valore del sano […] allora il corso naturale dell’evoluzione è impedito. […] questo amore universale per gli uomini è in pratica un trattamento preferenziale per tutti i sofferenti, falliti, degenerati: esso ha in realtà abbassato la forza, la responsabilità, l’alto dovere di sacrificare uomini. […] la specie ha bisogno del sacrificio dei falliti, deboli, degenerati; ma proprio a questi ultimi si rivolse il cristianesimo […] che cos’è la virtù e l’amore per gli uomini nel cristianesimo, se non appunto questa reciprocità nel sostegno, questa solidarietà dei deboli, questo ostacolo frapposto alla selezione? […]. La vera filantropia vuole il sacrificio per il bene della specie. […] E questo pseudoumanesimo che si chiama cristianesimo, vuole giungere appunto a far sì che nessuno venga sacrificato” .

E ancora: “la legge suprema della vita […] vuole che si sia senza compassione per ogni scarto e rifiuto della vita; che si distrugga ciò che per la vita ascendente sarebbe solo ostacolo, veleno […] – in una parola cristianesimo –; è immorale nel senso più profondo dire «non uccidere»” .

Nietzsche lo rimarca chiaramente: la doverosità di rispettare assolutamente la dignità umana dipende dall’esistenza di Dio, la quale esclude la possibilità di compiere sacrifici umani. Pertanto, la morte di Dio, presto o tardi, spalanca le porte ai sacrifici umani, che il cristianesimo aveva bandito, comporta la deflagrazione della violenza, che il cristianesimo aveva chiaramente condannato in tutte le sue forme (pur non avendola mai potuta cancellare, in quanto essa è la faccia tenebrosa della libertà umana).

La morte di Dio porta alla morte dell’uomo, come dice l’ateo M. Foucault: “la morte di Dio e l’ultimo uomo sono strettamente legati […] l’uomo scomparirà. Più che la morte di Dio – o meglio nella scia di tale morte e in una correlazione profonda con essa – il pensiero di Nietzsche annuncia la fine del suo uccisore” ( Da: Giacomo Samel Lodovici, L’eclissi della bellezza. Genocidi e diritti umani, Fede & Cultura)

L'assurdo destino degli embrioni congelati Intervista al docente di Diritto Brian Scarnecchia

di Andrea Kirk Assaf

ROMA, mercoledì, 21 aprile 2010 (ZENIT.org).- Giovanni Paolo II ha chiesto ai tecnici della fertilità di smettere di produrli. La Donum Vitae, pubblicata nel 1997 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, ha parlato della "sorte assurda" alla quale erano stati condannati. Il programma Baby Snowflake, lanciato nello stesso anno, ne ha facilitato l'adozione o il "riscatto".

Oggi esistono circa 400.000 piccoli embrioni umani creati attraverso la fecondazione in vitro, con le loro vite sospese in recipienti di nitrogeno liquido, che il defunto presidente della Pontificia Accademia per la Vita, il dottor Jerôme Lejeune, chiamava "latte di concentramento".

Visto che la richiesta della Chiesa cattolica di non creare questo dilemma bioetico non è stata rispettata da molte compagnie biofarmaceutiche, il Vaticano si vede ora costretto ad emettere un giudizio morale su centinaia di migliaia di vite congelate.

Brian Scarnecchia, presidente dell'International Solidarity and Human Rights Institute e docente di Diritto presso la Ave Maria Law School, ha pronunciato di recente al Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace una conferenza su questo argomento sempre più complesso.

In questa intervista rilasciata a ZENIT, il docente spiega le complesse questioni morali implicate nel dibattito sul destino degli embrioni congelati.

Com'è giunto ad essere invitato a parlare degli embrioni congelati in Vaticano?

Scarnecchia: Sono stato qui al Forum di Roma, un congresso di organizzazioni non governative cattoliche patrocinato dalla Segreteria di Stato del Vaticano e da vari dicasteri. Avevano previsto un piano di studi che includeva conferenze su economia, sviluppo, diritti umani e bioetica. Dovevo presentare due conferenze sui diritti umani fondamentali.

La segretaria del Forum, la dottoressa Fermina Álvarez, mi ha chiesto di pronunciare una conferenza presso il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, a Palazzo San Calisto, e ha invitato anche varie persone che lavorano in Congregazioni e Pontifici Consigli del Vaticano in questo palazzo. Quando mi sono reso conto che avrei parlato soprattutto a persone che già lavorano nella Santa Sede, ho voluto indagare e ottenere informazioni su un tema che comporta l'analisi di varie questioni dottrinali.

E' tutto ancora sottoposto a dibattito, visto che la questione non è ancora stata chiusa dalla Congregazione per la Dottrina della Fede?

Scarnecchia: No, sicuramente no - da quando la Donum Vitae è stata presentata nel 1987 sono stati condannati il congelamento di embrioni umani, la fertilizzazione in vitro e la maternità surrogata, che è stata anche dichiarata illecita. Si poteva pensare che questo avrebbe risolto il problema, ma naturalmente non si affrontavano tutte le questioni.

Ad esempio, la Donum Vitae si rivolgeva principalmente all'arrivo di un essere umano attraverso un concepimento che non è stato frutto di un atto d'amore coniugale tra marito e moglie, ma è stato prodotto in vitro, cioè in una piastra di Petri di vetro. Questo procedimento è stato chiaramente condannato, come anche il congelamento degli embrioni "extra" o "soprannumerari".

Ad ogni modo, sono state create migliaia di embrioni congelati, e la domanda che parte da molte persone ben intenzionate è se una donna diversa dalla madre possa portare un embrione congelato dentro di sé senza diventare una madre surrogata.

Alcuni esperti di Bioetica fedeli al Magistero, e che non sono assolutamente teologi dissidenti, hanno affermato, preoccupati per il destino di questi embrioni congelati, che il riscatto o l'adozione di un embrione congelato non è maternità surrogata. Una surrogazione, questa è l'argomentazione, sarebbe il caso in cui qualcuno, per amore o per denaro, accoglie un embrione nel suo ventre con l'intenzione di darlo a un'altra persona - "Lo sto facendo per mia sorella, lo sto facendo per mia figlia, lo faccio per 20.000 dollari". Una donna non diventa una madre sostitutiva se non ha l'intenzione di dar via il bambino dopo la nascita, ma lo vuole adottare.

Ho parlato con una monaca che ha detto che, nel caso di approvazione del trasferimento eterologo di embrioni, sarebbe stata tentata di fondare un nuovo Ordine di religiose dedite al riscatto di questi embrioni congelati.

Questo approccio è stato criticato perché farebbe collassare i motivi nell'atto morale. Bioeticisti critici nei confronti dell'adozione di embrioni si sono opposti e hanno detto che più importante della motivazione personale è l'atto morale, che intendono come l'atto di restare incinta del bambino di un'altra persona.

Questi esperti di Bioetica hanno sostenuto che, se il trasferimento di un embrione congelato nel ventre di una donna è una surrogazione in sé, sarebbe intrinsecamente negativo e non potrebbe essere fatto per alcun buon motivo, neanche per salvare la vita dell'embrione congelato.

Nella Chiesa c'è stata qualche risoluzione su questo dibattito?

Scarnecchia: Questo dibattito è andato avanti per vent'anni, dal 1987 al 2008. La Congregazione per la Dottrina della Fede ha poi pubblicato la Dignitas Personae, che nel paragrafo 19 offre una risoluzione del dibattito. Il mio intervento tornava dove la Dignitas Personae si era interrotta e su ciò che ancora non contemplava.

Il paragrafo 19 dice che le persone geneticamente estranee all'embrione, coloro che attraverso il trasferimento eterologo di embrioni rimangono incinta di un bambino che non è geneticamente loro, hanno partecipato ad atti simili alla fecondazione in vitro eterologa e/o all'affitto di uteri, e quindi non si tratta di un atto lecito. Per questo non è lecito adottare un embrione per aumentare la propria famiglia.

Negli Stati Uniti esiste il Programma Baby Snowflake, promosso dal National Right to Life come alternativa alla ricerca distruttiva su questi embrioni. Era sicuramente un movimento dalle buone intenzioni. In quel momento, tra la Donum Vitae e la Dignitas Personae, i cattolici potevano, in buona coscienza, dopo aver soppesato entrambi i lati del dibattito, adottare un embrione congelato. Dopo la pubblicazione della Dignitas Personae, questa non sembra essere più un'opzione che un cattolico può assumere in buona fede.

Alcuni esperti di Bioetica che si sono opposti al trasferimento eterologo di embrioni hanno detto che sarebbe equivalente a un adulterio tecnologico, e che il fatto che una donna resti incinta del figlio di un'altra coppia violerebbe il valore unitivo del matrimonio.

Quali questioni sono rimaste senza soluzione in questi due documenti?

Scarnecchia: Alcuni casi di "riscatto" altruista di embrioni congelati. Al paragrafo 19 si afferma che, nonostante la nobile intenzione di salvarne la vita, riscattare gli embrioni congelati non sarebbe molto diverso dalla fecondazione in vitro eterologa (che combina i gameti dei coniugi) e dalla surrogazione.

Il mio intervento ha riguardato la situazione di una madre che si pente del peccato della fertilizzazione in vitro e vuole recuperare o riscattare i propri embrioni congelati. Quando mi è stato chiesto di esprimermi sulla questione in un caso legale, Evans v. UK, pendente presso il Tribunale Europeo dei Diritti Umani dal 2006, la mia risposta è stata che la madre genetica poteva riscattare i propri embrioni congelati senza che ci fosse una surrogazione, e così i membri cattolici del Parlamento Europeo potevano sostenere questo risultato in buona fede. Non dimentichiamo che già negli anni Novanta il dottor Jerôme Lejeune testimoniò davanti al tribunale che la madre genetica ha il dovere di adottare misure ragionevoli per salvare i suoi "figli piccoli" congelati nelle "latte di concentramento".

Credo che il principio che sottolinea l'obiezione della Donum Vitae alla fertilizzazione in vitro sia il carattere relazionale della persona umana e, in particolare, il dono di sé che gli sposi si fanno reciprocamente e che hanno il dovere di rispettare.

Questa donazione reciproca dei genitori ha tre fasi. In primo luogo, la dedizione reciproca è concessa e garantita nella fase genetica quando i coniugi, con gioia e libertà, si donano l'uno all'altro in un atto di intimità coniugale, che continua attraverso il concepimento naturale: ogni bambino ha il diritto di essere concepito accanto al cuore della madre, in virtù di un atto libero di donazione reciproca dei coniugi. La seconda fase della dedizione dei genitori si produce tra il concepimento e la nascita. Può essere chiamata fase di gestazione: ogni bambino ha il diritto di essere allevato nel grembo materno. La fase finale è quella della formazione: ogni bambino, dopo la nascita, ha il diritto di essere allevato dai propri genitori fino alla maturità.

Nel mio libro di prossima pubblicazione "Bioetica, Diritto e Pensiero Sociale Cattolico" (Scarecrow Press, 2010) si sostiene che quando la madre genetica riprende il suo embrione congelato nel proprio grembo, attraverso il trasferimento omologo dell'embrione, questo atto afferma il diritto del bambino alla paternità gestazionale accanto al cuore della madre. Dall'altro lato, se un estraneo genetico fa questo, il bambino soffre una seconda violazione dei suoi diritti attraverso il trasferimento eterologo di embrioni, che per la Dignitas Personae è chiaramente analoga alla fecondazione in vitro eterologa e alla surrogazione.

Altri esperti di bioetica sostengono, al contrario, che se ogni concepimento deve essere il risultato di un atto coniugale tra marito e moglie, come afferma la Donum Vitae, allora anche ogni gravidanza deve sorgere da un atto di unione coniugale tra gli sposi. Per questo, se la madre genetica resta incinta attraverso atti tecnici, sostengono che questo trasferimento dell'embrione omologo presupporrebbe una seconda violazione dei diritti dell'embrione, e che la madre, paradossalmente, diventerebbe una madre surrogata del proprio figlio.

Mi sembra che se, per analogia, una gravidanza ectopica tubarica si potesse risolvere con successo trasferendo l'embrione dal suo luogo di impianto nelle trombe di Falloppio della madre all'utero materno, pochi obietterebbero che il bambino ha subito una violazione dei suoi diritti, perché la sua vita si sarebbe salvata attraverso una gravidanza uterina iniziata da terzi attraverso un atto di trasferimento embrionale omologo.

Questo aspetto, la liceità del trasferimento omologo dell'embrione, rimane una questione aperta e rappresenta una lacuna importante che la Congregazione per la Dottrina della Fede deve affrontare e risolvere in un modo o nell'altro.







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Gli abusi che non fanno scandalo. di Giulio Meottio

Sperimentazioni di anticoncezionali e pianificazione familiare forzata hanno fatto crollare il tasso di fertilità delle donne di Porto Rico. “Merito” di programmi che dagli anni Venti entusiasmano il New York Times

Per loro non c’è stata alcuna richiesta di risarcimento. Nessuno al New York Times si è stracciato le vesti per quei giovanissimi corpi violati, feriti e marcati per sempre. Nessun grande avvocato liberal ha portato in giudizio gli esecutori e i finanziatori di questa strage silenziosa. A Porto Rico un terzo delle donne in età fertile è stato sterilizzato. È l’isola con il più alto tasso al mondo di donne che non possono avere figli. In America si assiste da settimane a una nuova puntata della “Mani pulite di Dio”. Sono le inchieste sulla pedofilia nella Chiesa cattolica. Ma a fronte degli abusi sessuali sui minori da parte di sacerdoti, che stando alle ultime ricerche indipendenti sarebbero meno dell 0,5 per cento del totale di abusi in tutta l’America, ci sono legioni di donne e bambine americane e caraibiche sterilizzate senza approvazione. Spesso senza neppure che lo sapessero. E di questo capitolo oscuro della medicina contemporanea il New York Times, che oggi tira le fila dell’attacco durissimo alla Chiesa cattolica sulla pedofilia, è stato una bandiera. Lo descrive bene Fatal Misconception, la prima storia globale del controllo della popolazione, pubblicato dalle prestigiose edizioni di Harvard a firma dello storico liberal Matthew Connelly. Il Wall Street Journal ha scritto che per la prima volta uno studio storico serio fa luce sui disastri della “filantropia biologica”.
Nella piccola isola cattolica di Porto Rico arrivarono legioni di umanitaristi, medici, industriali, femministe e progressisti per trasformare la cinquantunesima “stella” degli Stati Uniti in un laboratorio della contraccezione di massa. E il New York Times allora stava orgoglioso dalla parte degli sterilizzatori perché l’editore di famiglia, i gloriosi Sulzberger, erano nel board della Fondazione Rockefeller che finanziava sul campo il malthusianesimo a Porto Rico. Quando negli anni Venti dall’Inghilterra piovvero critiche sui programmi statunitensi di sterilizzazione degli “inadatti a vivere”, il quotidiano se la prese con l’“attacco inglese alla nostra eugenetica”. Eugenetica che il New York Times non esitò a definire una fantastica “nuova scienza” (come denunciò anche lo scrittore G. K. Chesterton) e che era foraggiata dalla Rockefeller Foundation. L’ultimo stato che ha rimosso le leggi eugenetiche è stata la Virginia nel 1979. E proprio il New York Times aveva descritto le sterilizzazioni della Virginia come “estinzioni graziose”. Sul numero del 22 gennaio del 1934 i consulenti del ministero dell’Interno nazista lodavano il «buon esempio fornito dagli Stati Uniti». Era l’anno in cui Hitler avviava la sua politica di eugenetica di massa, che avrebbe portato alla morte di 70 mila persone in diciotto mesi. Malati di mente, “promiscui”, albini, alcolizzati, talassemici, epilettici, tantissimi immigrati, dagli irlandesi agli italiani del sud, afroamericani e messicani.

Centomila persone sacrificate
Eccole le vittime della sterilizzazione negli Stati Uniti. E parliamo di 100 mila esseri umani. Donne afroamericane, donne indioamericane, donne sudamericane e donne bianche povere inglobate in programmi di sterilizzazione obbligatori. Un vero e proprio asse del male composto da organizzazioni umanitarie, filantropiche, educative, scientifiche e demografiche. La divisione del lavoro è stata geografica e funzionale: la sezione demografica dell’Onu ha fatto della “popolazione mondiale” un fatto politico, la Fondazione Rockefeller ha fornito ricercatori e fondi, il Population Council ha creato nuovi contraccettivi e insieme alle università e alle Nazioni Unite ha educato nuovi “esperti”, mentre il New York Times tesseva gli elogi dell’eugenetica. Quando Indira Gandhi divenne prima ministro dell’India, nominò suo figlio Sanjay responsabile del controllo delle nascite sotto l’egida dell’Onu e del Population Council di Rockefeller. Le donne venivano sequestrate, deportate in massa, piegate con la forza alla sterilizzazione, in nome di teorie partorite a migliaia di chilometri di distanza, a Washington, a Londra, a Stoccolma. Nel Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite. A Porto Rico la sterilizzazione delle donne era così diffusa che veniva genericamente chiamata “la operacion”. E nessuno al New York Times protestò quando si scoprì che il dottor Pincus scelse proprio Porto Rico come laboratorio per la sperimentazione della pillola anticoncezionale. Si scoprirà che un terzo delle donne portoricane non era a conoscenza della sterilizzazione. Il New York Times non ha mai smesso di strizzare l’occhio all’eugenetica. Pochi mesi fa in un’eloquente intervista al quotidiano Ruth Bader Ginsburg, l’unico giudice donna della Corte Suprema degli Stati Uniti, ha detto: «Francamente ero convinta che ai tempi della decisione Roe (sentenza che legalizza l’aborto in America, ndr) vi fosse preoccupazione per la crescita demografica e in particolare per la crescita della parte più indesiderata della popolazione». Nel board of trustees della Rockefeller Foundation l’editore del New York Times, il signor Arthur Sulzberger, è stato una voce importante dal 1939 al 1957, negli anni in cui l’eugenetica ha mostrato il suo volto più sanguinario e totalitario. Si dà il caso che la fondazione Rockefeller abbia finanziato gran parte delle campagne per la sterilizzazione in America.

La sintonia col nazismo
Non furono i nazisti infatti a ideare le camere a gas. Fu (prima della conversione al cristianesimo) il premio Nobel Alexis Carrel (1873-1944), autore di L’homme, cet inconnu, il quale diceva che «criminali e malati di mente devono essere umanamente ed economicamente eliminati in piccoli istituti per l’eutanasia, forniti di gas. L’eugenetica è indispensabile per perpetuare la forza. Una grande razza deve propagare i suoi migliori elementi. L’eugenetica può esercitare una grande influenza sul destino delle razze civilizzate ma richiede il sacrificio di molti singoli esseri umani». Ricercatore presso il Rockefeller Institute for Medical Research, Carrel abbracciò l’eugenetica nazista in una lettera del 7 gennaio del 1936, quando alla Rockefeller siedevano già i membri della famiglia Suzlberger: «Il governo tedesco ha preso energiche misure contro la propagazione dei difettosi, contro le malattie mentali e i criminali. La soluzione ideale sarebbe la soppressione di questi individui non appena abbiano dimostrato di essere pericolosi».
La Rockefeller Foundation finanziò anche molti ricercatori tedeschi. Tra di essi il dottor Ernst Rudin, che avrebbe organizzato lo sterminio medico degli handicappati ordinato da Adolf Hitler. E uno dei direttori del New York Times, Eugene Black, da membro della Rockefeller divenne cofondatore del Population Council, l’organizzazione americana di ricerca che ha portato avanti molte campagne per la sterilizzazione di popolazioni indigene nel mondo. Compresa Porto Rico. La famiglia Sulzberger era generosamente impegnata a finanziare anche le attività di Margaret Sanger, la quale venne così incensata da Orson Wells nel 1931: «Quando la storia della nostra civiltà sarà scritta, sarà una storia biologica e Margaret Sanger la sua eroina». Il nome Sanger è il collante fra eugenetica e femminismo. Fondatrice della American Birth Control League (1916) e della International Planned Parenthood Federation (1952), diresse una rivista, The Birth Control Review, che divenne col tempo il più importante laboratorio teorico per la selezione della specie, al grido di slogan come «noi preferiamo la politica della sterilizzazione immediata per garantire che la procreazione sia assolutamente proibita ai deboli di mente». Sanger costruì la sua prima clinica per il controllo delle nascite nel quartiere di Brownsville a New York, uno dei più poveri della città. Così poteva estirpare meglio “il peso morto dei rifiuti umani”. La sua eredità è arrivata fino a noi. Fu Sanger a procurare i finanziamenti a Gregory Pincus per la ricerca anticoncezionale. E Pincus la sua pillola andò a sperimentarla sui “negri” di Porto Rico. Mentre oltreoceano Papa Paolo VI metteva a punto l’enciclica Humanae Vitae che condannava proprio l’antinatalismo praticato nella sperduta isola caraibica. È così che si chiude uno sconosciuto e tragico ciclo che coinvolge il più rispettato giornale d’America, le più note e ricche famiglie della East Coast, interi pezzi della medicina del Novecento e una piccola isola dei Caraibi, che a oggi vanta non soltanto il miglior Pil della regione, ma anche il più alto tasso al mondo di donne sterilizzate.



«Così hanno fatto del mio paese una cavia»

di Giulio Meotti

«Nel 1960 la questione del “controllo delle nascite”, il birth control, era anche politica perché negli Stati Uniti c’era la questione Kennedy e il timore ovunque nel paese che la sua elezione avrebbe significato il potere in America della Chiesa cattolica», spiega a Tempi monsignor Lorenzo Albacete, teologo statunitense originario di Porto Rico. «All’epoca delle sterilizzazioni mi trovavo a Washington, ma la mia famiglia era tutta sull’isola e vissero quei giorni terribili. La sterilizzazione delle donne e i numerosi test delle case farmaceutiche furono eseguiti a Porto Rico perché era molto “facile”. Nessuno avrebbe protestato, non c’era colonialismo perché l’isola era parte degli Stati Uniti. Inoltre usarono la questione della povertà degli abitanti di Porto Rico per legittimare le sterilizzazioni. Nessuno ha mai ricevuto alcun risarcimento, in termini economici o legali, per quanto fecero alle donne portoricane». Albacete è stato anche editorialista del New York Times e sa quanto la stampa liberal per decenni abbia coperto e legittimato le campagne eugenetiche. A proposito dello scandalo pedofilia che in questo periodo proprio il quotidiano liberal sta utilizzando per infangare il Papa, dice: «Nessuno oggi può negare quanto accadde e vedo tanta ipocrisia. Il New York Times è colpevole perché ci fu la connivenza fra la stampa liberal e l’eugenismo, questo però non deve dare ai cattolici alcuna scusa per non essere migliori di loro o per non fare chiarezza su eventuali abusi sessuali. E a sua volta questo non deve impedirci di chiedere giustizia per quanto fu fatto a così tante donne innocenti».


Qualche quesito ai megafoni del Nyt

di Tempi

Ecco le domande che emergono dalla ricostruzione di Meotti e dalla testimonianza del portoricano Albacete: che ne è delle donne che tra la metà del secolo scorso e la fine degli anni Settanta (giusto gli anni oggi rivangati per i casi di pedofilìa nella chiesa cattolica) sono state abusate per sperimentare sui loro corpi gli effetti di ogni genere di anticoncezionale e sterilizzate in massa a loro insaputa? Chi sono gli autori di questa orrenda pagina della storia contemporanea che nella sola Portorico conta almeno 100 mila vittime? Che ruolo ha avuto nel “genocidio” sessuale e riproduttivo di centinaia di migliaia di donne nere e papiste del continente sudamericano l’editore di quel New York Times che oggi dirige l’assalto del circuito mediatico internazionale contro papa Ratzinger? E come si spiega che coloro i quali hanno di fatto imposto alla Chiesa cattolica scotti miliardari (si pensi che solo l’arcidiocesi di Los Angeles ha versato risarcimenti per 774 milioni di dollari), non hanno scucito un solo penny alle centinaia di migliaia di vittime dei programmi genocidari delle fondazioni “liberal”? E ancora, con che faccia quegli stessi “liberal” che chiedono alla chiesa di coprirsi costantemente di cenere non hanno mai osato neppure dubitare della “democraticità” dei loro misfatti a Portorico? Ecco un promemoria per la Bibbia del giornalismo progressista. E per i suoi fan italiani che le campagne del giornale dei Sulzberger copiano e incollano come cagnolini addomesticati che camminano scodinzolando davanti al padrone con il Nyt in bocca.


Biologicamente, ho tre genitori. Giuridicamente, ne ho due. In pratica, non lo so.

E’ stato pubblicato sulla rivista Nature il risultato relativo ad una nuova sperimentazione che consente la creazione di embrioni umani usando il Dna di tre persone diverse: due madri e un padre. Il team di ricercatori, guidati da Douglass Turnbull dell’Università di Newcastle, si sono posti come obiettivo quello di arrivare alla formazione di un bebè “disease-free”, cioè a prova di malattie ereditarie. Insomma, un piccolo geneticamente modificato per eliminare le circa 150 malattie conosciute che sono generate da un difetto del mitocondrio materno, ovvero dalla centrale energetica della cellula. Secondo l’annuncio degli scienziati, un bambino passato attraverso questa manipolazione potrebbe nascere in Gran Bretagna entro tre anni.

Come hanno agito concretamente i ricercatori? Essi hanno utilizzato gli ovociti di due donne. In primo luogo è stato prelevato il nucleo dall'ovocita di una donna non portatrice di malattie mitocondriali: in questo modo si è ottenuto un ovocita che contiene esclusivamente Dna mitocondriale non a rischio. Quindi, dall'ovocita della donna portatrice di malattie mitocondriali è stato prelevato il nucleo, così come è stato prelevato il Dna dell'uomo. I Dna della donna e dell'uomo sono stati così trasferiti nell'ovocita con il Dna mitocondriale sano e in questo ambiente senza rischi ha avuto inizio il processo di fecondazione vero e proprio, con la fusione dei patrimoni genetici dei due genitori. Gli embrioni ottenuti da questa manipolazione, sono poi stati fatti sviluppare dai 6 agli 8 giorni, per testarne la capacità di crescita e per poter eseguire l’esame del Dna, atto a capire a quali persone appartenesse il patrimonio genetico. Secondo quanto ha rilevato il genetista Giuseppe Novelli, dell'università di Roma Tor Vergata “dire che l'embrione ha tre genitori è sbagliato perché il Dna mitocondriale, che è quello donato dalla persona esterna, non ha nessuna influenza sullo sviluppo successivo”; infatti, anche se i Dna sono tre, i genitori restano comunque due, perché il Dna mitocondriale, con appena 37 geni, costituisce davvero una frazione piccolissima, rispetto ai circa 23.000 geni contenuti nel Dna del nucleo.
Insomma, sono trascorsi vent'anni dalla prima nascita con diagnosi genetica preimpianto e questo è il risultato.

Naturalmente tale ricerca ha generato reazioni contrastanti. Da un lato c’è chi sostiene che questa nuova tecnica sia una grandissima opportunità, perché permette a molte donne di mettere al mondo bambini non affetti da patologie ereditarie. “Quello che abbiamo fatto è come cambiare la batteria di un portatile. L'approvvigionamento energetico ora funziona correttamente, ma nessuna delle informazioni sul unità del disco è stata cambiata”, sostiene Turnbull, che ha guidato la ricerca. Dall’altra parte, c’è chi vede questi continui progressi tecnico-scientifici con perplessità, giudicandoli come non leciti e come possibile fonte di derive eugenetiche; e per appartenere a questa categoria non serve essere cattolici, anzi. Già nel marzo del 2007, Giuliano Ferrara aveva pubblicato sulla rivista Panorama un articolo intitolato “Siamo laici: rifiutiamo l’eugenetica”, in cui concludeva con questa riflessione: “E tutti ci domandiamo se valga la pena di costruire un mondo in cui il diritto eguale alla vita, tutelato per tutti, sia sacrificato sull’altare idolatrico della ricerca senza limiti, fino alla creazione di ibridi umanoidi, fino a quella logica diagnostica che non è più usata per curare, e per sradicare la malattia entro i limiti del possibile, ma per sopprimere il malato oltre i limiti di un disegno moralmente impossibile”.

In Italia, Ignazio Marino, presidente della commissione Sanità del Senato, ha commentato così la notizia arrivata dall’Inghilterra: “Nessun problema etico nella creazione di un embrione con tre genitori, perché in realtà i genitori sono due e restano due”.
Di diverso avviso è la deputata del Pdl, Isabella Bertolini: “Tre genitori per un solo bambino? Un'oscenità di cui non pensavo l'uomo fosse capace. Il rischio che la scienza sia ormai preda di un' inaccettabile deriva eugenetica si fa sempre più concreto. La paura del dolore e della sofferenza non giustifica mostruose degenerazioni che intaccano e distruggono il concetto stesso di genitorialità, di famiglia e che rischiano di causare uno smarrimento incurabile nel bambino che nascerà”.
Secondo Claudio Giorlandino, presidente della Societa' italiana di diagnosi prenatale e medicina materno fetale e presidente del Forum delle associazioni di diagnosi, genetica e riproduzione: “Fino a quando queste metodologie si applicheranno in paesi ad alta civiltà democratica, come l'Inghilterra, non ci saranno rischi di mostruosità o derive innaturali e verranno utilizzate ai fini del bene e della cura della malattia con massimo rispetto per l'uomo”.

Ma siamo poi così sicuri che essere tutti perfetti sia meglio? Perché questa società ha così paura della sofferenza, della malattia, di correre dei rischi? Come bisogna reagire di fronte ad un uomo che sempre più spesso vuole sostituirsi a Dio?

Per dirla con Annalena: di questo passo “si eliminano i down, si eliminano le ragazzine, si eliminano gli autistici, fino a che non nascerà più nessuno, nemmeno un nevrotico qualunque” (Il Foglio, 15 febbraio 2008).


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Orrori. Ricavati embrioni dal dna di tre persone, due madri e un padre. In tre anni concepito il primo bambino con tre genitori

MILANO - Un team di ricercatori dell'università di Newcastle è riuscita a produrre embrioni umani con il Dna di tre persone, due madri e un padre, per prevenire la trasmissione di malattie genetiche ereditarie incurabili al nascituro. Secondo quanto riferisce il Times l'equipe del professore Doug Turnbull è riuscita eliminare i mitocondri (i generatori dell'energia della cellula) difettosi dei genitori trasferendo il loro Dna 'ripulitò in un ovocita sano fornito da una donatrice. Secondo Turnbull il primo bambino con tre genitori biologici potrebbe essere concepito entro tre anni. (AGI)


14 aprile 2010



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Bambini Down, la strage silenziosa Di fronte all’esito della diagnosi prenatale, nove donne su dieci scelgono l’aborto

DA M ILANO E NRICO N EGROTTI

O
ggi le reazioni all’assurdo gruppo di Facebook sono perlopiù solidali e in­dignate, ma non sempre la nostra so­cietà mostra sentimenti di accettazione ver­so le persone con sindrome di Down (SD). Senza elencare un lungo elenco di discrimi­nazioni più o meno palesi che queste perso­ne devono spesso sopportare, c’è un dato ab­bastanza significativo: nella stragrande mag­gioranza dei casi di fronte a una diagnosi pre­natale di SD, la gravidanza si conclude in un aborto. Non sono opinioni, ma i dati che e­mergono dalle poche indagini scientifiche condotte sull’argomento, come il recente ar­ticolo pubblicato il 26 ottobre scorso dal Bri­tish Medical Journal ( 2009; 339:b3794) che in­dica come Oltremanica nell’arco di vent’an­ni siano leggermente diminuite (meno 1 per cento) le nascite di bambini con sindrome di Down, mentre l’aumento dell’età materna ne faceva prevedere un incremento significati­vo (più 48 per cento): a essere aumentati al­trettanto sono stati i test prenatali. E anche in Europa, secondo un’indagine del 2003, ve­niva indicato un calo nei nati tra il 1975 e il 1999 statisticamente significativo. In Italia l’incidenza dei bambini con SD è di circa 1 o­gni 1000-1200 nati – secondo diverse valuta­zioni – cioè 500-600 bambini l’anno.
L’indagine condotta da Joan Morris, docen­te di statistica medica all’Università di Lon­dra, e da Eva Alberman, professore emerito,
è significativa nella crudezza dei numeri. Ven­gono presi in esame i nati vivi con sindrome di Down e le diagnosi prenatali in Inghilter­ra e Galles tra il 1989 e il 2008, analizzando i dati del Registro nazionale di citogenetica della sindrome di Down. In un riquadro rias­suntivo si indica che era già noto che le ma­dri più anziane sono maggiormente a rischio di concepire bambini con la sindrome di Down, e che gli screening prenatali per la sin­drome di Down sono più disponibili oggi ri­spetto ai primi anni Novanta. Quello che la ricerca aggiunge è che «il numero di diagno­si di sindrome di Down è cresciuto del 71 per cento (da 1075 nel 1989/90 a 1843 nel 2007/2008), mentre i nati vivi sono diminui­ti dell’1 per cento (da 755 a 743), a causa de­gli screening prenatali e delle conseguenti in­terruzioni di gravidanza». Dal punto di vista demografico si osserva che «in assenza di screening prenatali e conseguenti aborti, il numero di nascite di persone con sindrome di Down sarebbe cresciuto del 48 per cento a causa della scelta dei genitori di far famiglia più tardi».
Analoghi risultati ha ottenuto una ricerca condotta nel 2003 da Daniela Pierannunzio, Pierpaolo Mastroiacovo, Piero Giorgi e Gian Luca Di Tanna che ha preso in esame i dati relativi a 31 registri internazionali delle malformazioni congenite raccolti dall’Inter­national Clearinghouse for Births Defects monitoring Systems nel periodo tra 1974 e 2000. I risultati generali indicano che la pre­valenza
alla nascita totale è pari a 9,07 per 10mila nascite con un calo nel corso degli an­ni statisticamente significativo. In particola­re si passa da 16,10 bambini con SD ogni 10mila nati nel 1975 a 6,09 nel 1999: un ri­sultato «dovuto al corrispondente aumento di interruzioni di gravidanza a sua volta do­vuto alla diffusione generalizzata della dia­gnosi prenatale». Si tratta di risultati che devono far riflettere ma che non possono stupire, se solo si ricor­da il dibattito che ha preceduto (e seguito) l’approvazione della legge sulla procreazio­ne medicalmente assistita e la campagna re­ferendaria. Il ritornello di chi sosteneva la ne­cessità di effettuare la diagnosi preimpianto era per eliminare «alcune gravi patologie», quali appunto sindrome di Down (che non è una malat­tia), fibrosi cistica, talasse­mia. Inutile dire che, sicco­me cure per correggere la sindrome di Down non esi­stono, la «cura» si traduce in una eliminazione dell’em­brione: anche perché – si so­steneva (e si sostiene), la donna poi può sempre abor­tire. E anche se la legge 194 non prevede affatto l’elimi­nazione del feto per motivi di discriminazione genetica, questo avviene spesso. Al punto che il clamoroso caso dell’a­borto «sbagliato» nel 2007 all’ospedale San Paolo di Milano non ha sollevato nessuna on­da di protesta. Era stato deciso di abortire se­lettivamente la gemellina con SD: un errore in fase di intervento portò invece alla morte di quella sana. Ma la bambina con SD fu eli­minata con un secondo aborto. Recente­mente sono stati assolti i medici che aveva­no compiuto l’intervento errato: non per vio­lazione della 194, bensì per l’imperizia dell’o­perazione.
La cultura eugenetica strisciante ha portato troppi genitori a considerare come «cura» l’eliminazione dell’embrione segnato dalla sindrome


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Avvenire 23 Febbraio 2010
di Marina Corradi
Contro i Down non solo un ignobile gioco
"SCOPERTI"E"CANCELLATI"
BEN OLTRE IL FOLLE DI FACEBOOK
Il `gioco` ignobile del tiro al bersaglio sui Down, spuntato su Facebook nei giorni scorsi, è sparito dalla Rete in poche ore: a furor di popolo, nell’onda di una indignazione generale. La forza di questa sollevazione rassicura: siamo ancora in un mondo umano, verrebbe da dire, se a una simile ripugnante caccia al diverso ci ribelliamo. Possiamo magari, e legittimamente, prendercela con la incontrollabilità dei social network, o con la globalizzazione che ha fatto crollare le frontiere e reso impotenti i codici penali.
Certi, però, che quel `gioco` su Facebook è opera solo di un pazzo, o di un idiota. Che la sua logica («I Down sono solo un peso... come eliminarli civilmente?») è del tutto estranea alla gente normale. E, certamente, è così. Tuttavia, nel leggere questa storia, ci torna in mente una ricerca pubblicata dal

British Medical Journal

tre mesi fa, sull’incidenza della sindrome di Down in Gran Bretagna (ne riferiamo a pagina 7). Dove si spiega come l’aumento dell’età media delle madri negli ultimi dieci anni abbia portato a un incremento molto forte della sindrome; compensato, però, dal progresso degli screening prenatali, sempre più estesi, così che il 70% dei bambini Down viene individuato prima della nascita. Una diagnosi? No, una sentenza capitale: il 92 % delle donne raggiunte dal responso abortisce.
D etect

è il verbo usato dalla dottoressa Morris, della Queen Mary University di Lontra, per indicare l’individuazione dei bambini Down. I «detected babies» ben raramente vengono al mondo. «Detected» – in italiano individuati, scoperti. E cancellati, 92 su 100. Questo è il

British Medical Journal.

Come dice invece quel pazzo su Facebook? («I Down sono solo un peso… come eliminarli
civilmente?») Dove la differenza è nel tempo, in un `prima` e in un `dopo`, tra il feto – nella mentalità corrente, un nulla – e il bambino; ma non è nella sostanza delle cose. Quelli lì, non sono desiderati. E se umanamente l’angoscia di una madre di fronte a un figlio handicappato è comprensibile, resta evidente che tutti o quasi, attorno, le dicono o le fanno capire che no, non bisogna avere un figlio così. Così semplice, così indifeso. Così bambino per sempre. La stessa Morris, intervistata da un quotidiano inglese, si è rallegrata dell’affinamento dei test prenatali. Che riconoscono, nel buio del ventre, i figli `sbagliati`.
Chiamandoli al loro breve destino. Allora il delirio di un vigliacco che, nascosto dietro a un soprannome, ha enunciato sulla Rete il suo `gioco` abietto, non sarà come il materializzarsi di un sottopensiero inconscio, indicibile, che però esiste, almeno quando si tratti di nascituri - di non ancora nati, e dunque secondo alcuni di non­uomini? (In quella frontiera del `prima` e del `dopo` stabilita a ferrea barriera, per difenderci da dubbi e inquietudini). Non sarà, quel gioco di vergogna, come il lazzo di un ubriaco, che però riecheggia qualcosa che in qualche modo si è ascoltato dai sobri? («Eliminandoli civilmente»). I «detected babies» non nascono. Scovati. Presi. E `civilmente` respinti. Ma il 30 % sfugge ai controlli. La dottoressa Morris lamenta che c’è uno zoccolo duro di donne, che non accetta lo screening. Che non si sottopone a un esame che è già quasi verdetto. Che si tiene quel bambino, comunque: già figlio, e non clandestino. E questo zoccolo duro di madri ribelli, meraviglia. Forse più questo, che il rigurgito su Facebook di un ubriaco: che si lascia andare, nella sua ubriachezza nella impunità della Rete, a un vergognoso, ben occultato pensiero.



Il Corriere della Sera 22 Febbraio 2010
di Beppe Severgnini
FACEBOOK E BIMBI DOWN
E`L`ORA DI SANZIONI
RAPIDE E MEMORABILI
Bisogna decidere: solo infami o anche pericolosi? Su Facebook esiste un gruppo chiamato «Giochiamo al tiro al bersaglio con i bambini Down». Poiché gli idioti moderni amano illustrare le proprie gesta, ecco cosa si legge: «Perché dovremmo convivere con queste ignobili creature... con questi stupidi esseri buoni a nulla? I bambini Down sono solo un peso per la nostra società... Dunque cosa fare per risolvere il problema? Come liberarci di queste creature in maniera civile? Ebbene sì signori... io ho trovato la soluzione. Consiste nell`usare questi esseri come bersagli, mobili o fissi, nei poligoni di tiro al bersaglio».
Il gruppo di Facebook è stato denunciato da Franco Bomprezzi, neoconduttore del forum «Ditelo a noi» nel nuovo canale Salute/Disabilità di Corriere.it. Nel pomeriggio di ieri «Giochiamo al tiro al bersaglio...» aveva 930 iscritti. Siamo andati a controllare: erano 1.317 alle 19.30, 1.361 alle 19.40, 1.378 alle 20, 1.563 alle 20.30. Aumentano, quindi, certi dell`impunità. Hanno nomi e fotografie. Penso all`orrore di un papà e di una mamma se scoprissero, tra costoro, un figlio. Eppure a qualcuno accadrà. La vicenda è così grave che perfino gli attivissimi immorali italiani, sempre pronti a chiamare «moralismo» il normale uso della coscienza, taceranno. Meglio concentrarsi, quindi, sulla risposta: che dev`essere rapida e memorabile. Per prima cosa, niente piagnistei su internet, che non ha colpe, e per i disabili s`è rivelata una vera benedizione. Allo stesso tempo, chiusura del gruppo; ma non sarà immediata, perché richiede l`intervento dei gestori di Facebook, che stanno negli Usa (così dice la polizia postale). Poi, punizione dei responsabili: chi ha creato il gruppo e chi ha aderito. Sono rintracciabili, e loro azioni violano diversi articoli del codice penale. Ma forse, per gli idioti moderni, occorrono pene moderne. Invece di multe, servizio nelle comunità che si occupano dei piccoli Down. Chissà: forse qualcuno capirà quando hanno da darci, quei bambini.
E se anche fosse un atroce scherzo della Rete, resta la nostra condanna. Senza appello.


Dall'Inghilterra 116 "buoni" motivi per uccidere Sampras, Lincoln e Rachmaninov

martedì 16 febbraio 2010

L’ormai famigerata HFEA (Human Fertilisation & Embriology Authority), l’autorità britannica che si occupa di embriologia, ha reso nota una lista contenente 116 malattie genetiche per le quali è consentito distruggere embrioni con molta più facilità. Il fatto è che all’interno di quel macabro elenchus morborum vi si trovano patologie tutt’altro che gravi. Alcune non mettono affatto a rischio la vita e altre sono addirittura curabili.

Lo stupore aumenta quando si leggono malattie che non hanno assolutamente impedito a personaggi famosi di condurre un’esistenza felice e coronata da successo. La talassemia, ad esempio, è inserita nella lista pur non avendo minimamente influito nella fulgida carriera del sette volte campione di Wimbledon Pete Sampras. Oppure la sindrome di Marfan, causa di una crescita anormale, che non ha impedito ad Abramo Lincoln e Charles de Gaulle di diventare presidenti dei rispettivi Paesi, né al grande Rachmaninoff, noto proprio per le sue mani sproporzionate, di regalare all’umanità le sublimi melodie dei suoi concerti, il senso di appartenenza espresso nei suoi preludi, o la suggestiva armonia corale dei Vespri.

Anche la coroideremia, malattia genetica che colpisce la retina, non ha impedito al quarantenne Siôn Simon di diventare Vice Presidente del partito laburista britannico e Sottosegretario di Stato nel governo Brown. La HFEA, comunque, sta già pensando di allungare l’elenco con altre 24 malattie, tra cui la porfiria, malattia genetica del sangue, che si suppone fosse all’origine della follia di Giorgio III e che, essendo ereditaria, potrebbe interessare l’attuale casa regnante britannica.

Ciò che appare davvero sconvolgente è il dibattito in corso sul risultato delle diagnosi prenatali volte ad accertare simili patologie, perché vi sono genitori disposti ad accettare l’esito dei test e altri che - atterriti dall’idea di essere portatori di tare genetiche non intendono assolutamente conoscere quei dati e pretendono addirittura un “diritto a non sapere”, sul cui esercizio si stanno discutendo due possibili opzioni.

La prima è costituita dal cosiddetto “exclusion testing”, attraverso cui i genitori sottopongono i nascituri a diagnosi prenatale per verificare possibili tare familiari, ma non intendono conoscere la specifica patologia. In questo caso se risultassero embrioni malati ed embrioni sani, questi ultimi verrebbero comunque eliminati per la semplice correlazione con l’anomalia genetica.

Si ripeterebbe la stessa aberrazione dei test eseguiti per scegliere il sesso del nascituro (in Gran Bretagna, al momento, non ancora permessi), quando si scartano gli embrioni sani ma del sesso diverso da quello desiderato. O il caso dei “saviour siblings”, ovvero degli embrioni creati e selezionati in provetta allo scopo di “aiutare” un fratellino malato, attraverso il prelevamento dei tessuti.

La seconda soluzione è rappresentata dal cosiddetto “non-disclosure testing”, attraverso cui gli embrioni sono sottoposti a diagnosi prenatale per verificare possibili anomali genetiche, ma le relative informazioni non vengono fornite ai genitori, proprio in virtù del “diritto a non sapere”. Soltanto i medici che effettuano le analisi sarebbero al corrente del risultato e solo a loro spetterebbe la decisione di quali embrioni impiantare, tenendo sempre all’oscuro i genitori.

Il problema in questo caso sorge quando tutti gli embrioni presentano difetti genetici, perché in tal caso i genitori si accorgerebbero che qualcosa non va. Si suggerisce, allora, che i medici procedano a un trattamento d’impianto simulato (dummy treatment), il quale non implicherebbe, ovviamente, l’utilizzo reale di embrioni e tutelerebbe il diritto dei genitori a non conoscere il risultato del test.

Di fronte a simili ragionamenti si può solo rabbrividire. Siamo già avviati verso una prospettiva di pura eugenetica che punta all’omologazione dell’uomo attraverso lo stereotipo asettico di una perfezione artificiale. Ci avviciniamo all’idea della produzione in serie di esseri umani perfetti, già vaticinata dalle profezie distoniche che Aldous Huxley, nel 1932, affidò al suo romanzo Il Mondo Nuovo.

Già si intravede la definizione di un clichécapace di creare replicanti privi di alcun difetto e di uccidere l’originalità, l’unicità, l’irripetibilità di ogni singolo essere umano. Si vuol far sparire dalla faccia dell’umanità il concetto di “mostro”, nel suo profondo senso etimologico (monstrum) che in latino significa “segno divino”, “prodigio”. La HFEA e tutta la schiera di novelli eugenisti alla Marie Stopes sognano un mondo in cui nessun essere umano potrà mai più avere le mani mostruose di Rachmaninoff.


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Tra autonomia e autodeterminazione, contro la deriva eugenista

di Claudia Navarini e Tommaso Scandroglio

ROMA, mercoledì, 3 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Martedì 9 febbraio prossimo, alle ore 9.00, presso l’Università Europea di Roma (via degli Aldobrandeschi 190), si terrà il congresso “Autonomia e autodeterminazione. Profili giuridici, etici e bioetici”, nell’ambito della Settimana delle Scienze Biomediche del Vicariato di Roma.

Nel corso del congresso sarà presentato anche il Progetto “Libertà, autonomia e autodeterminazione”, promosso dal Dipartimento di Didattica e di Ricerca in Scienze Umane dell’Università Europea di Roma.

I concetti di autonomia e di autodeterminazione sono ampiamente utilizzati nel dibattito pubblico, talora con significati differenti che li rendono equivoci.

Il convegno organizzato dall’Università Europea di Roma intende fare luce sui presupposti teorici di tali concetti, con una riflessione seria e argomentata che ne recuperi il nucleo semantico, e al tempo stesso ne delinei le principali implicazioni per l’agire sociale e per la cultura.

Molti sono i temi che verranno toccati. In primo luogo il tema del consenso informato, spesso concepito in modo astratto e bisognoso al contrario di essere riportato nella concretezza e nell’attualità della relazione medico-paziente.

Vi è poi il tema del rapporto fra autonomia e dignità umana: se l’autonomia, intesa sovente come unica espressione della libertà umana, è intesa come marca del valore della vita umana, nascerà fatalmente la tentazione di destituire di valore e di dignità tutti coloro che soffrono di un deficit di autonomia, con un crescente rischio di deriva eugenista.

In terzo luogo occorre puntualizzare le differenti angolature dei termini stessi: il concetto di autodeterminazione è stato utilizzato per secoli dalla filosofia morale come elemento caratterizzante della libertà umana, senza con ciò giungere alla pretesa di fondare (o ri-fondare) il senso dell’umanità e della legge naturale.

I lavori avranno anche l’obiettivo di posare lo sguardo sulle prospettive legislative in tema di dichiarazioni anticipate di trattamento, per osservare quali requisiti fondamentali debba tutelare un stato di diritto al fine di porsi realmente a servizio della vita umana.

Il convegno tenterà altresì di mettere in evidenza quale configurazione assume il principio di autodeterminazione nel nostro ordinamento giuridico in relazione soprattutto al bene “vita”. In modo induttivo possiamo asserire che l’ordinamento giuridico italiano considera il bene “vita” come un bene indisponibile.

Ciò è confermato in prima battuta dagli artt. 579 e 580 c.p che sanzionano rispettivamente l’omicidio del consenziente e l’istigazione e aiuto al suicidio.

Se le leggi italiane ritenessero la vita bene disponibile questi articoli del Codice penale non avrebbero ragione di esistere.

Giustamente non è sanzionato penalmente il tentato suicidio perché il legislatore ha ben compreso che lo strumento della repressione penale in questo caso sarebbe inefficace ed anzi peggiorerebbe la stato psicologico di colui che aveva in animo di togliersi la vita.

La mancanza di una risposta punitiva dello Stato non sta a significare, in questo caso, la liceità della condotta, né l’indifferenza dell’ordinamento giuridico verso questa fattispecie.

Bensì esprime la tolleranza dello Stato verso un comportamento dannoso per sé e per la comunità che abbisogna non di uno strumento repressivo, ma di altri percorsi più rispondenti ai profili specifici del caso.

La traduzione degli articoli sopra citati – artt. 579 e 580 c.p. – in termini eutanasici ed esemplificativi potrebbe essere la seguente. Il medico pratica una iniezione letale, es. barbiturico e cloruro di potassi (omicidio del consenziente).

Oppure: il medico consegna il farmaco letale al paziente e questi si inietterà da sé la sostanza che lo porterà alla morte (aiuto al suicidio). Il medico interrompe attivamente con il consenso del malato quelle cure che potrebbero permettergli di continuare a vivere, assumendo una condotta fattivamente collaborativa (omicidio del consenziente).

L’articolo 50 c.p. non viene poi in soccorso dei sostenitori della dolce morte: «Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne».

Infatti è lo stesso articolo che esplicitamente ci dice che la lesione del diritto può avvenire unicamente su beni disponibili («che può validamente disporne»), e non riguarda i beni indisponibili. Sarebbe una contraddizione in termini disporre di beni indisponibili.

Qualche lettore, in risposta alle argomentazioni esposte sin qui, potrebbe obiettare citando l’articolo 32 secondo comma della Costituzione: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.[…]».

In genere questo articolo viene erroneamente inteso come salvacondotto per l’eutanasia omissiva. La risposta a tale obiezione si articola almeno in due direzioni.

Innanzitutto si deve ricordare il contesto in cui venne alla luce tale articolo. La data della firma della Costituzione – 27 Dicembre 1947 – ci rammenta che gli echi della Seconda Guerra Mondiale non si erano ancora spenti nell’Europa appena pacificata.

Nella memoria dei padri della Costituzione era ancora vivo il ricordo delle aberrazioni perpetrate dal regime nazionalsocialista su ebrei, cristiani, zingari, omosessuali e malati psichici.

Tra questi scempi spiccavano le famigerate sperimentazioni cliniche a scopo eugenetico. Nelle aule della costituente risuonava quindi come un imperativo categorico il divieto di sottoporre ad interventi a carattere clinico i pazienti senza loro consenso.

Così infatti si conclude l’art. 32: «La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Ben lungi dalle intenzioni dei costituenti perciò un avvallo seppur tacito all’eutanasia omissiva: semmai tutto il contrario.

Infatti nell’art. 32 risplende tutta la profonda consapevolezza del valore altissimo della vita umana che non può essere mai sfruttata per fini utilitaristici, vita a cui occorre accostarsi con rispetto e prudenza.

In seconda battuta l’art. 32 non è un prodromo dell’eutanasia omissiva, né un inno al principio di autodeterminazione inteso in senso assoluto. Infatti l’articolo stesso precisa che nessun individuo può essere obbligato a sottoporsi a cure «se non per disposizione di legge».

Ciò ci fa intendere che il principio di autodeterminazione non è assoluto ma incontra dei limiti. Uno di questi limiti è posto addirittura dal dettato legislativo. Infatti un soggetto può essere sottoposto coattivamente, a norma di legge, a vaccinazioni obbligatorie o a trattamenti psichiatrici obbligatori.

Il mito dell'uomo perfetto. Le origini culturale della mentalità eugenetica

di Giorgia Brambilla*

ROMA, domenica, 31 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Ottimismo positivista, regimi totalitari, organizzazioni statuali liberal-democratiche. L'eugenetica è arrivata fino a giorni nostri? Scrive Lucia Galvagni, commentando Hans Jonas: «Le forme che l'eugenetica ha assunto ricalcano una triplice distinzione» (1).

Il controllo protettivo ha i tratti di un'eugenetica preventiva, intesa come una politica della riproduzione tesa a prevenire la trasmissione di geni patogeni o comunque nocivi, impedendo la procreazione ai loro portatori. «Questo tipo di arte genetica», scrive Galvagni, «è assimilabile all'attuale medicina preventiva» (2).

Si pensi al counselling genetico, mediante il quale alla coppia si forniscono le probabilità della nascita di un figlio affetto dalla loro stessa malattia, oppure alla diagnosi prenatale. Se nel primo caso il consiglio è volto a evitare il concepimento di un figlio malato o portatore di una determinata malattia genetica, nel secondo si pone persino la possibilità di abortire il feto malato o supposto tale.

«La selezione prenatale (..) rappresenta, quindi, una seconda forma dell'eugenetica e denota già un passaggio dal piano preventivo a quello migliorativo»: si dischiude la possibilità di distinguere e selezionare - e questa sarebbe eugenetica negativa - gli individui sani da quelli malati. Vi è infine la vera e propria eugenetica positiva, come selezione umana pianificata, «dato che il suo intento è quello di migliorare la qualità della specie e di renderla più perfetta di quanto la natura non l'abbia fatta» (3).

È importante, però, sottolineare che fino alla cosiddetta "genetica liberale" (4) i poli entro cui si muoveva la "scelta del più adatto" erano Stato-specie (o razza o categoria sociale): lo Stato mediante eugenisti e scienziati in nome del benessere della collettività metteva in atto programmi medico-sociali massificati rivolti a una determinata categoria di individui ritenuti "dannosi".

Invece, la prassi eugenetica della società liberale si basa sul binomio individuo-individuo nel contesto di una diffusione sistematica della diagnosi prenatale e dell'applicazione delle tecniche di ingegneria genetica (5).

Quindi, mentre la vecchia genetica autoritaria cercava di modellare i cittadini a partire da un unico stampo centralizzato, portando come conseguenza una diminuzione dell'ambito della libertà riproduttiva, la nuova genetica liberale, caratterizzata dalla neutralità dello Stato, estende radicalmente tale libertà ed è il singolo a decidere quali fattori genetici siano vantaggiosi o meno (6).

Il problema terminologico consiste nel decidere se chiamare "eugenetica" tale pretesa individuale e individualistica, ponendo l'accento sulla questione antropologica che vi soggiace, oppure, dando più rilievo alle origini storiche, ritenere che tale termine usato oggi, in assenza di coercizione e non diretto alla specie, sia anacronistico.

Il libro "Il Mito dell'uomo perfetto" intende dimostrare la presenza dell'eugenetica nel contesto contemporaneo, partendo dall'idea che di eugenetica si possa parlare anche oggi, ma in termini di mentalità.

Bisogna chiedersi, allora: a chi tocca oggi migliorare la vita? Quel compito di ricercare l'uomo perfetto, che prima era toccato a politiche di Stato o alla mano di dittatori, ora chi lo svolge e perché? L'"eliminazione dei difettosi", che da Galton è passata a politiche di "igiene pubblica" e poi alla tragedia nazista, come e dove avviene oggi?

La risposta a tali domande è possibile se si considera l'eugenetica attraverso un approccio antropologico, ovvero analizzando nei vari ambiti storico-culturali quella visione riduttivista e biologista dell'essere umano che caratterizza l'eugenetica e che, come tale, non è necessariamente legata ad un unico periodo storico.

Il presente lavoro vuole mettere in evidenza, infatti, che l'eugenetica, come in altri momenti storici, possieda una sua particolare connotazione anche in quello attuale: cambia la "scenografia", ma il "copione" resta lo stesso.

E questo copione altro non è che lo sguardo reificante nei confronti dell'essere umano ridotto al suo patrimonio genetico; una visione svilente che questa ricerca intende descrivere a partire dalle sue origini culturali, dimostrando, quindi, che l'eugenetica è presente anche nel mondo contemporaneo, come lo è stata in altri periodi storici, sottoforma di mentalità, per poi mostrarne le gravi conseguenze sull'individuo e sulla società, con particolare riferimento al mondo della Bioetica.

1 L.GALVAGNI, L'eugenetica: la prospettiva etica di H.Jonas, in "Humanitas", 4/2004, p.710; Cfr. H.JONAS, Dalla fede antica all'uomo tecnologico, Il Mulino, Bologna, 1991; ID, Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio di responsabilità, Einaudi, Torino, 1997.

2 Ibidem.

3 Ibidem.

4 Cfr. J.HABERMAS, Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, Einaudi, Torino, 2004

5 Cfr. R.MORDACCI, La sfida dell'eugenetica nell'orizzonte della biopolitica, in "Humanitas", 4/2004, pp. 718-722.

6 Cfr. N.AGAR, Liberal Eugenics, in H.KHUSE, P.SINGER (a cura di), Bioethics, Blackwell, London, 2000, p.17.

Per chiunque voglia approfondire il tema, consigliamo la lettura de "Il mito dell'uomo Perfetto - le origini culturali della mentalità eugenetica", IF Press (www.if-press.com, info@if-press.com).

* Giorgia Brambilla Ha conseguito nel 2003 la Laurea in Ostetricia presso l'Università degli studi di Pavia, nel 2005 la Licenza in Bioetica presso l'Ateneo Pontificio "Regina Apostolorum" (APRA) di Roma, nel 2009, nello stesso Ateneo, il Dottorato in Bioetica. E' Laureanda in Scienze Religiose presso la Pontificia Università Lateranense.

Nell'APRA è Professore Invitato presso la Facoltà di Bioetica e Professore di Filosofia dell'uomo e di Morale Speciale presso l'Istituto Superiore di Scienze Religiose. È redattrice della rivista "Studia Bioethica". Svolge attività didattiche integrative per l'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata" presso il Corso di Laurea in Ostetricia e per il Master di I e II livello in Bioetica clinica dell'Università degli Studi di Roma "Sapienza".

Un nuovo decennio per un mondo che sta invecchiando. La popolazione mondiale dal boom al crollo

di padre John Flynn, LC

ROMA, domenica, 31 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Le Nazioni Unite hanno di recente pubblicato un rapporto incentrato sui problemi derivanti dal rapido invecchiamento della popolazione mondiale. Appena iniziato il nuovo anno, il Dipartimento per gli affari economici e sociali ha pubblicato il rapporto "World Population Aging 2009".

Tra le principali conclusioni del rapporto figurano le seguenti:

-- L'attuale ritmo di invecchiamento non ha eguali nella storia. Nel 2045 il numero delle persone ultrasessantenni è previsto ad un livello superiore rispetto al numero dei minori di 15 anni. Nelle regioni più sviluppate, dove l'invecchiamento è in fase più avanzata, il superamento si è già verificato nel 1998.

-- Oggi l'età media nel mondo è di 28 anni: metà della popolazione è al di sopra e metà al di sotto. Entro la metà del secolo l'età media dovrebbe raggiungere i 38 anni.

-- L'invecchiamento riguarda quasi tutti i Paesi del mondo ed è caratterizzato da una riduzione della fertilità che è diventata quasi universale.

-- L'invecchiamento avrà un impatto dirompente sulla crescita economica, sui risparmi, gli investimenti, il mercato del lavoro e la riscossione dei tributi.

-- Poiché non è previsto per il futuro un significativo aumento nei livelli di fertilità, l'invecchiamento della popolazione risulta praticamente irreversibile e la presenza di giovani, che fino a poco tempo fa era diffusa, diventerà sempre più esigua nel corso del XXI secolo.

-- Nel mondo vi sono attualmente circa 9 persone in età lavorativa per ogni persona anziana. Nel 2050 questo rapporto crollerà a quattro, con gravi conseguenze per i sistemi pensionistici. L'attuale crisi economica ha inoltre provocato una brusca riduzione nel valore dei fondi pensione.

Altri rapporti

Altri recenti rapporti delle Nazioni Unite hanno preso in esame in modo più approfondito i problemi demografici rispetto a determinati Paesi. Uno studio del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP), intitolato "Russia Facing Demographic Challenges", prevede che la popolazione russa continuerà a ridursi, come riferito dall'Associated Press il 4 ottobre scorso.

Secondo l'UNDP, la popolazione russa è diminuita di 6,6 milioni di unità rispetto al 1993, nonostante l'arrivo di milioni di immigrati. Il rapporto avverte che per il 2025 il Paese potrebbe perdere altri 11 milioni di persone.

Come conseguenza di tale riduzione vi sarà una scarsità di lavoratori, una popolazione più anziana e una minore crescita economica, secondo l'UNDP.

Nel 2007 la Russia figurava al nono posto per numero di popolazione. Nel 2050, le stime dell'ONU la indicano al 15° posto, con una popolazione inferiore a quella del Vietnam.

La Russia deve ridurre il suo alto tasso di aborti per cercare di arginare il calo demografico, ha avvertito il Ministro della Salute, Tatyana Golikova, secondo l'Agence France Presse del 18 gennaio.

La Golikova ha affermato che nel 2008 vi sono state 1,714 milioni di nascite in Russia e 1,234 milioni di aborti.

Con riferimento alla dichiarazione di Golikova, il think tank Stratfor ha osservato il 20 gennaio che il lieve aumento della popolazione russa nel 2009, tra le 15.000 e le 25.000 unità, sottolineato dal Ministro, era dovuto a fattori "una tantum".

L'aumento, infatti, deriva in parte dagli incentivi statali per il rientro dei cittadini russi provenienti dalle ex repubbliche sovietiche. Dopo diversi anni di questo tipo di flussi, il numero dei russi che vogliono tornare a casa sta rapidamente diminuendo.

Un'altra causa di questo lieve aumento è che la popolazione tra i 20 e i 29 anni ammonta a circa il 17% della popolazione e ha dimostrato di essere alquanto feconda. La generazione nata successivamente, tuttavia, è invece molto più esigua.

Scarsità femminile

Il Vietnam dovrebbe superare demograficamente la Russia, ma anche il quel Paese l'aborto sta provocando gravi problemi, secondo un rapporto dell'agosto 2009 pubblicato dal Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione.

Lo studio, dal titolo "Recent Change in the Sex Ratio at Birth in Vietnam: A Review of Evidence", prende in esame il problema degli aborti finalizzati alla selezione del sesso. Normalmente il rapporto tra i sessi alla nascita (definito come il numero di maschi nati per ogni cento femmine) è di 104-106/100.

Questo rapporto è, in condizioni normali, alquanto stabile nel tempo, in ogni regione geografica, continente, Paese ed etnia.

Gli studi sui questi rapporti hanno rivelato un cambiamento insolito, iniziato negli anni Ottanta in alcuni Paesi asiatici, osserva l'agenzia dell'ONU. "Insieme al calo della fertilità, questo fenomeno tende a diffondersi nei Paesi asiatici a maggiore popolazione, minacciando così la stabilità demografica globale", prosegue il rapporto.

In Vietnam il rapporto tra i sessi alla nascita nel 2006 si attestava sui 110 maschi per ogni 100 femmine. Secondo il rapporto, il cambiamento è iniziato circa un decennio fa, ed è attualmente in aumento di circa un punto l'anno, tanto che nei prossimi anni si potrebbe raggiungere la soglia dei 115/100.

Se questa tendenza non verrà bloccata, nel 2025 il Vietnam avrà un significativo surplus di popolazione maschile che potrà avere numerose conseguenze nel Paese e in particolare per i giovani in età di matrimonio, avverte l'UNFPA.

Questo fenomeno di scarsità femminile è ben noto in Cina, dove un recente rapporto ha confermato la prosecuzione delle pratiche di aborto selettivo finalizzato alla scelta del sesso. L'Accademia cinese per le scienze sociali ha affermato che vi potrebbero essere più di 24 milioni di uomini non in grado di trovare una sposa per la fine di questo decennio, ha riferito il quotidiano Times del 12 gennaio.

Il rapporto dà la colpa di questo squilibrio alla politica cinese del figlio unico. L'uso dell'ecografia ha consentito di individuare le femmine da abortire, per assicurare ai genitori un maschio in grado di portare avanti il nome della famiglia.

"Il problema è più grave nelle zone rurali, a causa della mancanza di un sistema di sicurezza sociale", afferma il rapporto. "I contadini che invecchiano possono contare solo sui propri figli".

Secondo l'articolo del Times, un esperto cinese ha sostenuto che il rapporto tra maschi e femmine, nel 2006 sarebbe arrivato a 120/100.

Riduzione

Nel vicino Giappone, intanto, la popolazione continua a diminuire. Un editoriale pubblicato il 15 gennaio sul quotidiano Japan Times ha rilevato che, secondo stime del Ministero per la Salute, il lavoro e le politiche sociali, nel 2009 la popolazione si è ridotta di 75.000 unità, ovvero 1,46 volte di più rispetto alla riduzione del 2008.

Secondo l'editoriale, la ricerca del National Institute of Population and Social Security stima che la popolazione giapponese scenderà sotto la soglia dei 100 milioni nel 2046 e sotto i 90 milioni nel 2055. La popolazione attuale è di poco meno di 128 milioni.

Mentre continuano ad aumentare le preoccupazioni sull'invecchiamento della popolazione mondiale e sul calo dei tassi di fertilità, il Governo USA ha annunciato di voler aumentare notevolmente il suo sostegno alla contraccezione e all'aborto nel mondo.

L'8 gennaio, il Segretario di Stato Hillary Clinton è intervenuto in occasione del 15° anniversario della Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo svoltasi al Cairo nel 1994.

Nel suo discorso, ha ricordato una delle prime misure adottate dal nuovo Presidente Barack Obama, ovvero quella di abolire le restrizioni agli aiuti di Stato in favore di organizzazioni che finanziano l'aborto nei Paesi in via di sviluppo. Il Segretario di Stato ha anche osservato che gli Stati Uniti hanno rinnovato il loro finanziamento del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione e che il Congresso ha recentemente stanziato più di 648 milioni di dollari (462 milioni di euro) per i programmi di pianificazione familiare e di salute riproduttiva nel mondo.

Ha inoltre annunciato che sono previsti maggiori aiuti per consentire di offrire contraccettivi a tutte le donne di ogni Nazione, avendo parole di apprezzamento per il lavoro che il Governo USA sta svolgendo in partnership con la International Planned Parenthood Federation, organizzazione nota per i milioni di aborti effettuati ogni anno.

L'attuale entusiasmo nel fare tutto quanto è possibile per ridurre ulteriormente la fertilità è chiaramente alimentato da fattori ideologici che impediscono persino di vedere le conseguenze economiche di politiche che hanno portato al rapido calo della fertilità in un così breve periodo di tempo.