Convegno a Roma dell’Unione cattolica farmacisti italiani • Il segretario generale della Cei: il Comitato nazionale per la bioetica la giudicò possibile già per il medico • Monsignor Crociata: chiamati a dare chiara testimonianza di fronte a farmaci potenzialmente abortivi o eutanasicidi
Pier Luigi Fornari
Tratto da Avvenire del 24 ottobre 2009
L’obiezione di coscienza del farmacista è un dovere ed insieme un diritto. Un diritto che deve essere riconosciuto. Lo sottolinea monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, aprendo i lavori di un convegno su questo tema organizzato a Roma dall’Unione cattolica farmacisti italiani (Ucfi). Il «diritto-dovere» di non collaborare all’aborto e all’eutanasia riguarda non solo i cattolici ma tutti i farmacisti, afferma monsignor Crociata, perché «la questione della vita e della sua difesa e promozione non è una prerogativa dei soli cristiani». Il segretario generale della Cei invita anche a «superare le difficoltà di un contesto culturale che tende, talvolta, a non favorire l’accettazione dell’esercizio di questo diritto, in quanto elemento destabilizzante del quietismo delle coscienze».
Citando un discorso di Benedetto XVI ai farmacisti cattolici, il vescovo evidenzia la vocazione «a dare in questo ambito una chiara testimonianza», in quanto «intermediari fra il medico e il paziente», con «un ruolo educativo» per far conoscere le implicazioni etiche di alcuni farmaci. Dunque il farmacista, affermò il Papa, deve invitare «a un sussulto di umanità, perché ogni essere sia protetto dal concepimento fino alla morte naturale». Si tratta di un autentico apostolato e di un’opera di misericordia spirituale, per cui è necessaria «la formazione della coscienza morale» richiesta per essere accanto a chi soffre. Tutto ciò, mette in evidenza Crociata, è una «testimonianza evangelica laddove i contenuti della fede sono messi in questione». Sia il caso del servizio di leva obbligatorio sia quello dell’aborto, campi in cui è tradizionalmente riconosciuta la possibilità di non cooperare ad azioni contro la vita umana innocente, evidenzia il presule, «sono emblematici», perché, pur nella loro diversità, «appaiono entrambi legati direttamente al fondamentale principio del non uccidere». Oggi in Italia il problema è avvertito soprattutto «di fronte a taluni farmaci abortivi (come la Ru486, per i farmacisti ospedalieri) o potenzialmente abortivi, quale in concreto la cosiddetta 'pillola del giorno dopo'». Ma il problema si pone anche «di fronte a taluni sviluppi (o meglio involuzioni) che si profilano in materia di fine vita, considerato che in alcuni paesi europei, come ad esempio in Belgio, risulta già in vendita nelle farmacie un kit eutanasico».
Sulla 'pillola del giorno dopo', al centro del convegno dell’Ucfi, il segretario generale della Cei osserva che sebbene l’autorizzazione ministeriale l’abbia qualificata 'contraccettivo d’emergenza', in base alle evidenze scientifiche «non si può escludere la concreta possibilità di un’azione post- fertilizzativa», con evidente effetto abortivo.
Del resto il Comitato nazionale per la bioetica (Cnb) in una nota del 2004, dopo aver rilevato la diversità di opinioni scientifiche sulla 'pillola del giorno dopo', ha «ritenuta unanimemente da accogliersi la possibilità per il medico di rifiutare la prescrizione o la somministrazione» del farmaco. Il medico, rilevava il pronunciamento del Cnb, ha comunque il diritto di appellarsi alla 'clausola di coscienza', dato il riconosciuto rango costituzionale dello scopo di tutela del concepito.
Appare d’altronde chiaro, argomenta il vescovo, che l’uso della pillola «è finalizzata direttamente» all’aborto, o perlomeno non lo esclude, un aborto «che verrebbe a realizzarsi al di fuori delle rigorose prescrizioni e procedure» stabilite dalla 194. Emerge dunque, come ha affermato il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, «il rischio di una ulteriore banalizzazione del valore della vita, con l’incremento di una mentalità secondo cui l’aborto stesso finisce per essere considerato un anticoncezionale». Non è giustificabile infine togliere il diritto all’obiezione di coscienza ai farmacisti, perché la 194 la garantisce a tutto il personale sanitario.
La Cei avverte i farmacisti: «Non date la pillola abortiva»
I vescovi confermano il no alla Ru486. Monsignor Crociata: «Deve essere riconosciuto il diritto all’obiezione di coscienza»
di Andrea TornielliTratto
da Il Giornale del 24 ottobre 2009
La Chiesa italiana ricorda ai farmacisti, non soltanto a quelli cattolici, il diritto all’obiezione di coscienza, invitandoli a non distribuire non soltanto la pillola abortiva Ru486, che sta per essere sperimentata negli ospedali italiani, ma neanche la cosiddetta «pillola del giorno dopo», che può avere effetti abortivi.
Lo ha detto ieri mattina il segretario della Cei, monsignore Mariano Crociata, aprendo i lavori del convegno nazionale dell’Unione farmacisti cattolici italiani, che ha come tema «L’obiezione di coscienza del farmacista, tra diritto e dovere».
Il vescovo ha spiegato come la questione nasca «dal conflitto interiore dell’uomo posto di fronte all’alternativa, a volte lacerante, fra il comando della legge, che imporrebbe una determinata azione, e l’imperativo della propria coscienza - rispondente a motivazioni religiose, ma anche etiche o ideologiche - secondo cui quella azione risulta inaccettabile». La possibilità di appellarsi alla «clausola di coscienza» permette di superare - ha osservato - tale conflitto interiore tra coscienza individuale e obbligo legale. Il segretario dei vescovi italiani ha ricordato che tradizionalmente la possibilità dell’obiezione di coscienza è stata riconosciuta per il servizio militare obbligatorio e per gli interventi che provocano l’aborto, «due casi emblematici perché, pur nella loro diversità, appaiono entrambi legati direttamente al fondamentale principio del non uccidere».
È in questo contesto, ha spiegato Crociata, che «si colloca anche la questione del diritto-dovere dei farmacisti all’obiezione di coscienza, che viene oggi in discussione sia di fronte a taluni farmaci abortivi (come la Ru486, per i farmacisti ospedalieri) o potenzialmente abortivi, quale in concreto la cosiddetta pillola del giorno dopo, sia di fronte a taluni sviluppi (o meglio involuzioni) che si profilano in materia di fine vita, considerato che in alcuni paesi europei, come ad esempio in Belgio, risulta già in vendita nelle farmacie un kit eutanasico».
Il vescovo si è soffermato sul Norlevo, la «pillola del giorno dopo», che pur essendo qualificato come «contraccettivo d’emergenza», non si può escludere possa avere «un’azione post-fertilizzativa», nel caso in cui, «essendosi già verificata la fecondazione dell’ovulo e quindi la formazione dell’embrione, viene impedito all’embrione stesso di iniziare l’impianto nella parete uterina, con evidente effetto abortivo».
Il segretario della Cei, di fronte al «rischio di un’ulteriore banalizzazione del valore della vita, con l’incremento di una mentalità secondo cui l’aborto stesso finisce per essere considerato un anticoncezionale», invita i farmacisti «a dare in questo ambito una chiara testimonianza», in quanto, come ha affermato Benedetto XVI, essi rappresentano gli «intermediari fra il medico e il paziente» e svolgono «un ruolo educativo verso i pazienti per un uso corretto dell’assunzione dei farmaci e soprattutto per far conoscere le implicazioni etiche dell’utilizzazione di alcuni farmaci».
Monsignore Crociata ricorda che il farmacista cattolico «non può rinunciare» ad «all’insegnamento della Chiesa sul rispetto della vita e della dignità della persona umana». E dunque deve essere riconosciuto ai farmacisti il diritto all’obiezione di coscienza. Un diritto-dovere che «non riguarda solo i farmacisti cattolici ma tutti i farmacisti».