Alla fine il fondo si è toccato. Pensavamo che dopo il teatrino mediatico costruito attorno alla tragica morte di sua figlia Eluana, Beppino Englaro si fosse messo l’anima in pace e avesse fatto definitivamente calare il sipario sulle sue vicende personali. E invece no. Prima le apparizioni in ogni trasmissione televisiva possibile e immaginabile, poi la comparsata nel brillante mondo della politica assieme a Ignazio Marino, e ancora l’esordio letterario, col suo “La vita senza limiti”. Ma siccome, come si sa, al peggio limite non c’è apprendiamo non senza qualche moto di disturbo che ieri sera al teatro Petrella di Longiano è andato in scena nientepopodimeno che “Una questione di vita e di morte, veglia per E. E.”, pièce teatrale scritta a quattro mani - si legge sull’Unità - che racconta la vicenda di Eluana Englaro.
Englaro si improvvisa sceneggiatore per un giorno e scrive assieme a Luca Radaelli (suo interprete sulla scena) uno spettacolo “sobrio – si legge ancora nel giornale della De Gregorio – che affronta un tema ostico, difficile: il diritto a lasciarsi morire”. Il racconto nobilitato da citazioni letterarie da Shakespeare a Dante, delle immancabili canzoni di De Andrè e Guccini, e naturalmente della storia di Eluana per quelli dell’Unità porta con sé la forza di una veglia laica. Beppino non ha semplicemente ricostruito la storia della figlia Eluana “ha ragionato con citazioni letterarie ed anche prendendo spunto da un’intima vicenda personale (la fine del padre) sul perché la morte ha smesso di essere, ai tempi nostri, l’epilogo della vita ed è diventata un evento da esorcizzare, occultare, nella peggiore delle ipotesi da spettacolarizzare nella piazza mediatica dei telegiornali e delle cosiddette trasmissioni di approfondimento”.
A questo punto qualcosa però ci sfugge. Mentre condividiamo molto quello che dice Englaro sulla questione dell’evento da esorcizzare e da occultare: oggigiorno è persino difficile pronunciare la parola morto, e si preferiscono ad essa inutili quanto spesso ridicoli arzigogoli linguistici (“passato a miglior vita”, “trapassato”, “deceduto”, “colui che se ne è andato”), quasi a voler allontanare il più possibile da noi il momento funesto, qualcosa ci stona sulla questione della spettacolarizzazione poiché quando si è trattato di trasformare la morte in spettacolo, Beppino Englaro non si è fatto di certo mancare nulla. A meno che con una rimozione assoluta della verità, lui stesso si sia convinto che nella piazza mediatica dei telegiornali e delle televisioni di approfondimento ce l’abbia portato qualcun altro. Se così fosse, più che un dramma sul fine della vita a noi sembrerebbe di aver assistito ad una commedia da fine del mondo.
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