di Giulio Meotti
Da "Non smetteremo di danzare", pp. 26-36
Perché questo libro? Perché non vi era neppure una storia dei morti d’Israele. È stato scritto senza alcun pregiudizio contro i palestinesi, è un racconto mosso dall’amore per un grande popolo e la sua meravigliosa e tragica avventura nel cuore del Medio Oriente e lungo tutto il XX secolo. Ogni progetto di sterminio di una intera classe di esseri umani, da Srebrenica al Ruanda, ha avuto la sua migliore narrativa. A Israele non sembra concesso, dalla storia si è sempre dovuto lavare via in fretta il sangue degli ebrei. Ebrei uccisi perché ebrei e le cui storie sono state ingoiate nella disgustosa e amorale equivalenza fra israeliani e palestinesi, che non spiega nulla di quel conflitto e anzi lo ottunde fino ad annullarlo. Il libro vuole salvare dall’oblio questo immenso giacimento di dolore, suscitando rispetto per i morti e amore per i vivi. [...]
Il più bel regalo, in questi quattro anni di ricerche, me lo hanno fatto gli israeliani che hanno aperto il loro mondo martoriato alla mia richiesta di aiuto, sono rimasti nudi con il proprio dolore. Ero io a bussare alla loro porta, un estraneo, un non ebreo, uno straniero. Ma mi hanno teso tutti una mano e parlato dei loro cari per la prima volta. [...]
Ho deciso di raccontare alcune grandi storie israeliane vivificate dall’idealismo, dal dolore, dal sacrificio, dal caso, dall’amore, dalla paura, dalla fede, dalla libertà. E dalla speranza che, nonostante tutto questo silenzio, Israele alla fine vinca. [...] Ci sono persone incredibili come l’ostetrica Tzofia, che ha perso il padre rabbino, la madre e un fratellino, ma oggi aiuta le donne arabe a far nascere i loro bambini. [...] C’è il copista di Torah, Yitro, che si convertì all’ebraismo e il cui figlio è stato rapito e giustiziato da Hamas. C’è Elisheva, proveniente da una famiglia di pionieri agricoltori che ha perso tutti ad Auschwitz e una figlia incinta al nono mese per mano di terroristi spietati, perché "voleva vivere l’ideale ebraico". [...] A Tzipi hanno pugnalato a morte il padre rabbino e dove un tempo c’era la sua stanza da letto oggi sorge un’importante scuola religiosa. Ruti e David hanno perso rispettivamente il marito e il fratello, un grande medico umanista che si prendeva cura di tutti, arabi ed ebrei. C’è il rabbino Elyashiv, a cui hanno strappato un figlio seminarista ma che continua a credere che "nella vita tutto rafforza il forte e indebolisce il debole". Poi c’è Sheila, che parla sempre dell’arrivo del Messia e di come suo marito si prendeva cura dei bambini Down. Menashe ha perso il padre, la madre, il fratello e il nonno in una notte di terrore, ma continua a credere nel diritto di vivere dove Abramo piantò la tenda. [...] Elaine ha perso un figlio durante la cena di shabath e per oltre un anno non ha cucinato o emesso suoni. Ci sono gli amici di Ro’i Klein, scudo umano che saltò su una mina recitando lo Shema’ Israel e salvando la vita dei compagni di brigata. Yehudit ha perso la figlia troppo presto, al ritorno da un matrimonio assieme al marito. Anche a Uri, che ha fatto alyah dalla Francia, hanno portato via la figlia, volontaria fra i poveri.
Orly ha vissuto felice in un caravan, ma suo figlio non fece in tempo a rimettersi in testa la kippah prima di essere ucciso. C’è Tehila, una di quelle donne timorate ma moderne che popolano gli insediamenti, moglie di un idealista che "viveva la terra", amava i ciuffi rosa e celesti dei fiori della Samaria. [...]. C’è anche il meraviglioso Yossi, suo figlio ha sacrificato la propria vita per salvare quella degli amici e ogni venerdì andava a distribuire doni religiosi ai passanti. Rina aveva creato una perla nel deserto egiziano, si credeva una pioniera e si è vista portare via un figlio con la moglie incinta. [...] C’è Chaya, che ha abbracciato il giudaismo assieme al marito, la conversione per loro "era come sposarsi con Dio". [...] Tutte queste storie ci raccontano di questo Stato unico al mondo, nato da un’ideologia laica ottocentesca come il sionismo, che sulle ceneri dell’Olocausto radunò sulla sua terra d’origine un popolo esiliato duemila anni prima e sterminato per più della metà. Storie che ci dicono del coraggio, della disperazione, della fede, della difesa della propria casa cercando, anche se a volte si sbaglia, di mantenere la "purezza delle armi" nell’unico esercito che consente di disubbidire a un ordine disumano. [...]
La storia di queste vittime ebree non è soltanto una storia di eroi. È quasi sempre gente indifesa. [...] Il Centro di Studi Antiterrorismo di Herzliya, il più importante istituto di analisi in Israele, ha calcolato che soltanto il 25 per cento delle vittime israeliane erano militari. La maggioranza erano e sono ebrei in abiti civili. Fra gli israeliani, le donne costituiscono il 40 per cento delle vittime totali. Gli europei credono che Israele sia il soggetto forte, la patria e la guarnigione in armi che ha dalla sua il controllo del territorio, la tecnologia, i soldi, il sapere consolidato, la capacità di usare la forza, l’amicizia e l’alleanza con gli Stati Uniti. E che contro di esso si erga la struggente debolezza di un popolo che rivendica i suoi diritti, disposto al martirio per ottenerli. Ma non è così. Le storie di questi nuovi "sommersi" lo dimostrano.
Gli israeliani hanno dimostrato di amare la vita più di quanto temano la morte. I terroristi hanno ucciso centinaia fra insegnanti e studenti, ma le scuole non hanno mai chiuso. Hanno ucciso medici e pazienti, ma gli ospedali hanno sempre funzionato. Hanno massacrato esercito e polizia, ma la lista di chi si offre volontario non è mai diminuita. Hanno preso a fucilate i bus di fedeli, ma i pellegrini continuano ad arrivare in Giudea e Samaria. Hanno fatto stragi nei matrimoni e costretto le giovani coppie a sposarsi nei bunker sotto terra. Ma la vita ha sempre vinto sulla morte. Come quando, alla festa notturna al Sea Market Restaurant di Tel Aviv, Irit Rahamim festeggiava l’addio al celibato. Quando il terrorista comincia a sparare e a lanciare granate sulla folla, Irit si butta a terra, e sdraiata sotto il tavolo chiama il futuro marito e gli dice che lo ama. Fra le urla. E la morte.
__________
Il libro:
Giulio Meotti, "Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele", Lindau, Torino, 2009, pp. 360, euro 24,00.