di Andrea Tornielli
nostro inviato a Brescia
Sarà lui, Gesù, «a sedare la tempesta». Benedetto XVI, nel corso del suo pellegrinaggio a Brescia sulle orme di Paolo VI – il Papa che nel 1977 lo scelse, giovane e brillante teologo, per la guida della diocesi di Monaco e lo creò cardinale – sta celebrando la messa di fronte a dodicimila fedeli.
Piove a dirotto.
E nell’omelia ricorda una frase di Montini ancora oggi attualissima. Era il 7 dicembre 1968, alle difficoltà del burrascoso periodo post-conciliare si sommavano ai fermenti della contestazione giovanile. Il Concilio si era chiuso ormai da tre anni, ma invece di «una giornata di sole» era venuta, come lo stesso Papa Montini avrebbe in seguito drammaticamente constatato, «una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di incertezza». Tutto sembrava messo in dubbio.
Ricevendo gli alunni del Seminario lombardo, alla fine di quel Sessantotto, Paolo VI disse: «Tanti si aspettano dal Papa gesti clamorosi, interventi energici e decisivi. Il Papa non ritiene di dover seguire altra linea che non sia quella della confidenza in Gesù Cristo, a cui preme la sua Chiesa più che non a chiunque altro. Sarà lui a sedare la tempesta... Non si tratta di un’attesa sterile o inerte: bensì di attesa vigile nella preghiera. È questa la condizione che Gesù ha scelto per noi, affinché egli possa operare in pienezza. Anche il Papa ha bisogno di essere aiutato con la preghiera».
Allora, nel pieno della burrasca, tanti criticavano aspramente il Papa. Tanti lo accusavano: chi di essere troppo conservatore e autoritario, chi di essere troppo progressista e debole nel governo ecclesiale.
Da quelle parole dette agli alunni del Lombardo, emerge uno sguardo così diverso da certe concezioni che anche oggi interpretano la Chiesa alla stregua di una multinazionale e dipingono il Papa come un manager o un monarca assoluto, dimenticando che egli è innanzitutto il «vicario» di qualcun altro. Una delle affinità tra Paolo VI e Benedetto XVI è rappresentata dallo sguardo di profonda fede che traspare in quelle parole.
In questa confidenza, e non nella bravura del Pontefice super-governatore della compagine ecclesiale o nella capacità organizzativa e nell’efficienza della Curia da lui guidata, sta ieri come oggi il segreto del servizio di Pietro.
La giornata bresciana era cominciata con una sosta nella chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta a Botticino Sera, dove il Papa, giunto in aereo da Roma insieme al sottosegretario Gianni Letta, ha venerato il corpo di sant’Arcangelo Tadini (1846-1912), fondatore della Congregazione delle Suore Operaie della Santa Casa di Nazareth. Poi Benedetto XVI è arrivato a Brescia. Ha voluto passare per Piazza della Loggia e ha fatto fermare la papamobile per sostare qualche istante in preghiera davanti alla lapide che ricorda l’attentato del 28 maggio 1974, nel quale persero la vita otto persone e molte altre rimasero ferite.
Sulla piazza Paolo VI, di fronte a una folla di fedeli che lo hanno atteso sotto la pioggia battente, Ratzinger ha celebrato la messa ricordando la figura del predecessore e il suo grande amore alla Chiesa. Una Chiesa che, ha ricordato riecheggiando le parole di Montini, deve essere «povera e libera».
Nel pomeriggio, dopo il pranzo con i vescovi, al quale ha partecipato anche il cardinale Martini, il Papa si è spostato a Concesio, il paese dove Montini nacque nel settembre 1897. Qui ha visitato la casa natale del Pontefice bresciano e ha visitato la nuova sede dell’Istituto Paolo VI, dove sono raccolti manoscritti e libri di Montini.
Ratzinger, dopo aver consegnato il premio internazionale Paolo VI alla collana francese «Sources Chrétiennes», ha tratteggiato la figura di Montini educatore, formatore di coscienze: per lui, ha ricordato il Papa, il giovane andava educato «a giudicare l’ambiente in cui vive e opera, a considerarsi come persona e non numero nella massa: in una parola, va aiutato ad avere un “pensiero forte” capace di un “agire forte”».
© Copyright Il Giornale, 9 novembre 2009