«La cultura non sta forse evaporando in Europa e un po’ dappertutto altrove? Ho proprio paura di sì». René Girard, l’autore di autentici classici dell’antropologia culturale tradotti nel mondo intero come La violenza e il sacro (Adelphi), è giunto all’età venerabile dei bilanci intellettuali. Ma il grande saggio che riceve ancora nel suo appartamento parigino, dopo una vita di riflessione e insegnamento trascorsa perlopiù negli Stati Uniti, non si stanca di porre nuove domande.
In Francia, con un importante convegno che ha radunato intellettuali di ogni disciplina (dalla teologia all’ecologia, passando per la strategia militare e le scienze politiche), si è appena chiuso l’anno in cui Girard ha occupato la cattedra del neonato Collège des Bernardins. L’ennesima prova che la «teoria mimetica» di Girard, nata da folgoranti intuizioni sulla letteratura e poi concettualizzata per spiegare il nesso fra religioni arcaiche, cristianesimo e autocoscienza umana, irrora oggi campi della conoscenza fra loro molto lontani.
Il suo ultimo libro, «Portando Clausewitz all’estremo», si concentra sulla volontà di potenza degli Stati, interpretata in un’ottica «apocalittica». Perché questa scelta?
«Perché oggi vediamo apparire per la prima volta in assoluto dei temi autenticamente mondiali che guadagnano ogni giorno un po’ più di spazio. Si pensi in particolare al tema ecologico. Ma praticamente nessuno si è interrogato sulla relazione di questi problemi con i testi apocalittici, o comunque col fatto che il mondo possiede una religione che comporta un nucleo apocalittico. Eppure, sono convinto che oggi temi prima apparentemente lontani stanno avvicinandosi. I prossimi decenni saranno, da questo punto di vista, estremamente interessanti».
Sono passati 20 anni dal crollo del Muro e lei scrive che il comunismo ha rappresentato una «sequenza intermedia». Cosa intende?
«Gli aspetti antireligiosi del comunismo stanno ormai scomparendo. Innanzitutto, perché il comunismo non esiste più in quanto possibilità reale di occuparsi dei destini collettivi. Ma da un punto di vista intellettuale, i testi del comunismo paradossalmente ci appaiono molto più chiari proprio oggi. Questi testi apparivano assolutamente falsi perché mescolavano la natura e la cultura. In primo luogo, la cultura scientifica. Ciò appariva in effetti folle. Ma oggi ci rendiamo conto sempre più dei danni che l’azione umana può provocare sull’universo nel suo insieme e dunque sull’uomo. Anche se la maggioranza degli intellettuali sembrano ancora aver paura nell’affrontare il tema in modo diretto».
La caduta del comunismo ha suscitato nel mondo cristiano riflessioni abbastanza approfondite?
«In generale, non riusciamo ancora a comprenderne pienamente il senso, ma sono convinto che ciò non tarderà ad avvenire. Viviamo in un’epoca di compenetrazione fra uomo e natura mai prima neppure supposta. Solo certi spiriti che parevano del resto un po’ stravaganti avevano osato immaginare nei secoli passati il crollo del dualismo, del muro, fra uomo e natura. Ma oggi, di fronte a un uragano a New Orleans, non sappiamo più chi è davvero responsabile. L’uomo o la natura? Sospettiamo vagamente che vi è una parte di responsabilità legata all’uomo e un’altra legata alla natura. Ma ci troviamo chiaramente in una situazione d’indeterminazione. Ciò pone dei problemi abissali che l’uomo non si era mai posto prima e che del resto ancor oggi osa solo di rado porsi. Non è un caso, del resto, se si moltiplicano al contempo gli sforzi per tentare di rigettare questo problema. Ma prima o poi, non si potrà più sfuggirlo».
I testi apocalittici del cristianesimo si presentano sotto una luce nuova?
«Questi testi sono spesso apparsi in passato incredibili e del tutto inverosimili. Oggi, certi aspetti di questi testi cominciano invece ad apparire verosimili ed emerge anzi sempre più il loro carattere profetico».
Diversi intellettuali, in Francia ad esempio Michel Serres e Paul Virilio, tornano ad impiegare le immagini bibliche del Diluvio e di Babele. Che ne pensa?
«Si tratta dei temi più antichi della Bibbia. Quelli, al contempo, apparentemente più distanti da ogni verità. Ma queste immagini tornano oggi stranamente ad apparire compatibili col nostro mondo, alla luce di fenomeni del tutto nuovi».
Lei si è sempre opposto al relativismo culturale. È ancora così?
«Soprattutto oggi! Tutti i fenomeni più diversi e talora strani si stanno globalizzando. In fondo, ciò che chiamiamo globalizzazione va esattamente contro le tentazioni relativiste, nonostante queste abbiano in passato contagiato anche grandi spiriti come Pascal».
La generazione odierna sta già dotandosi dei primi «attrezzi» per affrontare le sfide della globalizzazione?
«Per definizione, conosciamo male i grandi problemi che abbiamo di fronte. Sul fronte ecologico, ad esempio, non sappiamo esattamente quali sono i veri rimedi. Non sappiamo neppure se questi rimedi esistono senza trasformare la vita economica in un modo tale da spingere la maggioranza della popolazione alla rivolta contro gli stessi rimedi. Al momento, è evidente che se si cercasse di ridurre considerevolmente l’impatto dell’attività economica sul pianeta, si minaccerebbe ciò che vi è per così dire di più sacro nella politica attuale, ovvero il livello di vita. Per prendere delle misure che forse sono già indispensabili da anni, si attende che la situazione appaia in modo molto più evidente nella sua gravità. In ogni caso, si tratta di sfide che gli Stati potranno affrontare seriamente solo assieme».
In Francia, con un importante convegno che ha radunato intellettuali di ogni disciplina (dalla teologia all’ecologia, passando per la strategia militare e le scienze politiche), si è appena chiuso l’anno in cui Girard ha occupato la cattedra del neonato Collège des Bernardins. L’ennesima prova che la «teoria mimetica» di Girard, nata da folgoranti intuizioni sulla letteratura e poi concettualizzata per spiegare il nesso fra religioni arcaiche, cristianesimo e autocoscienza umana, irrora oggi campi della conoscenza fra loro molto lontani.
Il suo ultimo libro, «Portando Clausewitz all’estremo», si concentra sulla volontà di potenza degli Stati, interpretata in un’ottica «apocalittica». Perché questa scelta?
«Perché oggi vediamo apparire per la prima volta in assoluto dei temi autenticamente mondiali che guadagnano ogni giorno un po’ più di spazio. Si pensi in particolare al tema ecologico. Ma praticamente nessuno si è interrogato sulla relazione di questi problemi con i testi apocalittici, o comunque col fatto che il mondo possiede una religione che comporta un nucleo apocalittico. Eppure, sono convinto che oggi temi prima apparentemente lontani stanno avvicinandosi. I prossimi decenni saranno, da questo punto di vista, estremamente interessanti».
Sono passati 20 anni dal crollo del Muro e lei scrive che il comunismo ha rappresentato una «sequenza intermedia». Cosa intende?
«Gli aspetti antireligiosi del comunismo stanno ormai scomparendo. Innanzitutto, perché il comunismo non esiste più in quanto possibilità reale di occuparsi dei destini collettivi. Ma da un punto di vista intellettuale, i testi del comunismo paradossalmente ci appaiono molto più chiari proprio oggi. Questi testi apparivano assolutamente falsi perché mescolavano la natura e la cultura. In primo luogo, la cultura scientifica. Ciò appariva in effetti folle. Ma oggi ci rendiamo conto sempre più dei danni che l’azione umana può provocare sull’universo nel suo insieme e dunque sull’uomo. Anche se la maggioranza degli intellettuali sembrano ancora aver paura nell’affrontare il tema in modo diretto».
La caduta del comunismo ha suscitato nel mondo cristiano riflessioni abbastanza approfondite?
«In generale, non riusciamo ancora a comprenderne pienamente il senso, ma sono convinto che ciò non tarderà ad avvenire. Viviamo in un’epoca di compenetrazione fra uomo e natura mai prima neppure supposta. Solo certi spiriti che parevano del resto un po’ stravaganti avevano osato immaginare nei secoli passati il crollo del dualismo, del muro, fra uomo e natura. Ma oggi, di fronte a un uragano a New Orleans, non sappiamo più chi è davvero responsabile. L’uomo o la natura? Sospettiamo vagamente che vi è una parte di responsabilità legata all’uomo e un’altra legata alla natura. Ma ci troviamo chiaramente in una situazione d’indeterminazione. Ciò pone dei problemi abissali che l’uomo non si era mai posto prima e che del resto ancor oggi osa solo di rado porsi. Non è un caso, del resto, se si moltiplicano al contempo gli sforzi per tentare di rigettare questo problema. Ma prima o poi, non si potrà più sfuggirlo».
I testi apocalittici del cristianesimo si presentano sotto una luce nuova?
«Questi testi sono spesso apparsi in passato incredibili e del tutto inverosimili. Oggi, certi aspetti di questi testi cominciano invece ad apparire verosimili ed emerge anzi sempre più il loro carattere profetico».
Diversi intellettuali, in Francia ad esempio Michel Serres e Paul Virilio, tornano ad impiegare le immagini bibliche del Diluvio e di Babele. Che ne pensa?
«Si tratta dei temi più antichi della Bibbia. Quelli, al contempo, apparentemente più distanti da ogni verità. Ma queste immagini tornano oggi stranamente ad apparire compatibili col nostro mondo, alla luce di fenomeni del tutto nuovi».
Lei si è sempre opposto al relativismo culturale. È ancora così?
«Soprattutto oggi! Tutti i fenomeni più diversi e talora strani si stanno globalizzando. In fondo, ciò che chiamiamo globalizzazione va esattamente contro le tentazioni relativiste, nonostante queste abbiano in passato contagiato anche grandi spiriti come Pascal».
La generazione odierna sta già dotandosi dei primi «attrezzi» per affrontare le sfide della globalizzazione?
«Per definizione, conosciamo male i grandi problemi che abbiamo di fronte. Sul fronte ecologico, ad esempio, non sappiamo esattamente quali sono i veri rimedi. Non sappiamo neppure se questi rimedi esistono senza trasformare la vita economica in un modo tale da spingere la maggioranza della popolazione alla rivolta contro gli stessi rimedi. Al momento, è evidente che se si cercasse di ridurre considerevolmente l’impatto dell’attività economica sul pianeta, si minaccerebbe ciò che vi è per così dire di più sacro nella politica attuale, ovvero il livello di vita. Per prendere delle misure che forse sono già indispensabili da anni, si attende che la situazione appaia in modo molto più evidente nella sua gravità. In ogni caso, si tratta di sfide che gli Stati potranno affrontare seriamente solo assieme».
Daniele Zappalà
Copyright 2009 © Avvenire
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