DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Aborto «sbagliato», chiesto risarcimento di un milione. Voleva abortire la gemella con sindrome di Down, invece l'intervento colpì la gemella sana

di Enrico Negrotti
Tratto da Avvenire dell'1 dicembre 2009

Condanne e risarcimenti sono stati chiesti per l’aborto «sbagliato» ese­guito a Milano nel 2007. Al giudice monocratico Anna Conforti della nona se­zione penale del tribunale di Milano che sta giudicando per aborto colposo due medici (la ginecologa Annamaria Marconi e l’eco­grafista Stefania Ronzoni) e il direttore sani­tario dell’ospedale San Paolo di Milano, Da­nilo Gariboldi, sono state formulate le ri­chieste del pubblico ministero Marco Ghez­zi e dell’avvocato della coppia Davide To­scani. La vicenda risale al 5 giugno 2007, ma divenne nota alla fine di agosto dello stesso anno. All’ospedale San Paolo di Milano una donna era ricoverata per essere sottoposta al­l’aborto selettivo di una delle due gemelle di cui era incinta, quella con sindrome di Down. L’intervento però fu eseguito sulla gemella sana e la donna fu sottoposta poi a un se­condo aborto per eliminare la bimba con sindrome di Down. Contestando il possi­bile evento fortuito, il pm ha chiesto di con­dannare i due medici (la ginecologa e l’eco­grafista) a due mesi di reclusione e il diretto­re sanitario a una multa di 100 euro per omessa denuncia, con la concessione di tutti i benefici di leg­ge agli imputati, per­ché non è importan­te la pena, ma – se­condo il pm – conta il principio dal momento che tutte le persone coinvolte hanno «mes­so la testa come uno struzzo sotto la sabbia attraverso un’autoassoluzione collettiva i­naccettabile». Il pm ha sostenuto che «i ge­melli non si sono spostati prima dell’aborto l’uno nella posizione dell’altro», ma ha par­lato della «possibilità di piccoli spostamen­ti che possono determinare errori nelle pro­cedure». La donna, però, ha aggiunto il pm, «non è stata informata del rischio che cor­reva». Non le è stata prospettata, secondo Ghezzi, «l’ipotesi, che avrebbe certamente scelto, di un prelievo di liquido amniotico prima dell’intervento», che avrebbe potuto identificare il feto con sindrome di Down. «Non è successo nulla di fortuito – ha con­cluso il pm –, c’erano i mezzi scientifici per agire. L’imprudenza dei medici annulla tut­te le possibili concause». D’altra parte l’eco­grafista «avrebbe dovuto porre i suoi dubbi, o dissociarsi o chiedere un esame ulteriore» alla collega. «Il dramma di questa donna – ha concluso Ghezzi – è servito, perché ora so­no cambiate le procedure negli ospedali mi­lanesi e si effettua sempre il test rapido pri­ma di praticare l’aborto selettivo».

Da parte sua l’avvocato della coppia, Davi­de Toscani, ha chiesto un milione di euro di risarcimento: «Si tratta della perdita di una vita umana – ha spiegato –, dell’impossibi­lità di questa coppia di avere in futuro una nuova gravidanza per il trauma subito». Nes­suna condanna o risarcimento, ha aggiunto Toscani, «darà mai ristoro a questa coppia». La sentenza, dopo le eventuali repliche del­le parti, è attesa per il prossimo 14 dicembre, ma difficilmente riuscirà a dipanare i dubbi che l’intera vicenda suscita, cartina di tor­nasole di una mentalità di scarso rispetto per la vita. L’aborto selettivo infatti sembra non porre alla magistratura alcun dubbio di com­patibilità con la legge 194, come dimostra il pm che apprezza la precisione con cui a­desso si identificano i feti da eliminare se do­vessero ripetersi casi simili. Tutti i mezzi sem­brano adeguati per «inseguire» un bambino con sindrome di Down (o altre malforma­zioni) e impedirgli di nascere. Ci si può do­mandare infine quale messaggio si voglia mandare all’intera società: se un bambino a­bortito per errore vale un milione di euro, quanto vale la vita di un bambino con sin­drome di Down?