Doveva essere il primo «matrimonio» gay celebrato in Argentina e in tutta l’America Latina. Ma all’ultimo minuto la cerimonia civile è stata bloccata dalla magistratura di Buenos Aires: ora la decisione spetta alla Corte suprema. Alex Freyre, di 39 anni, e José Maria di Bello, 41 anni, entrambi sieropositivi, avevano deciso di sposarsi in occasione della giornata mondiale contro l’Aids: il 1 dicembre. Ma 24 ore prime delle «nozze» la giudice Marta Gomez Alsina ha fermato tutto, riconoscendo un conflitto di interpretazioni e di autorità giudiziaria. La legge argentina c’è (è il Codice Civile), ma non tutti la leggono nella stessa maniera.
Due settimane fa un altro magistrato di Buenos Aires, Gabriela Seijas, aveva dichiarato «incostituzionali» i due articoli del Codice Civile che riconoscono il matrimonio esclusivamente fra persone dello stesso sesso. Secondo la Seijas, quegli articoli comporterebbero una discriminazione nei confronti degli omosessuali, nonostante l’esistenza – da ben sette anni – di una legge municipale sulle unioni civili gay.
Nel 2002, infatti, Buenos Aires fu la prima città di tutta l’America Latina a legalizzare le unioni fra persone dello stesso sesso, riconoscendo loro alcuni diritti. Non tutti, però: dal contratto restarono esclusi aspetti spinosi come la possibilità di adottare minorenni o la condivisione dell’assicurazione sanitaria. Non soddisfatto dalla norma approvata nel 2002, il movimento omosessuale argentino non ha ceduto e ha continuato a reclamare identici diritti rispetto al matrimonio eterosessuale. La giudice Seijas, a metà novembre, ha dato ragione a Freyre e Di Bello e ha deciso di dare il suo nullaosta alle «nozze». Il municipio non ha fatto ricorso.
La sentenza è «assolutamente illegale», aveva sottolineato il cardinale Jorge Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires. Nonostante l’impegno di un’associazione di avvocati cattolici, che avevano iniziato a studiare il caso, il tempo sembrava ormai troppo poco per presentare ricorsi.
È stata il magistrato Gomez Alsina a fermare tutto, per invocare l’intervento della Corte suprema: «La decisione – ha detto – non deve essere interpretata come un’anticipazione di opinione sul fondo, né come una discriminazione verso la coabitazione stabile di persone omosessuali». La giudice ricorda infatti che, se vogliono, le coppie di fatto gay possono contare sulla legge municipale che «dà loro l’opzione di celebrare un’unione civile».
La Federazione argentina lesbiche, gay, bisex e transessuali sostiene che la questione non è chiusa e che il «matrimonio» è stato solo rimandato. Ma è probabile che lo stop della magistratura smorzi l’attesa di decine di inviati speciali, spediti a Buenos Aires per raccontare il primo «matrimonio» gay del continente latinoamericano.
Mentre alcune organizzazioni puntano sui vuoti legislativi per accelerare il riconoscimento delle «nozze» fra persone dello stesso sesso, alla Camera dei Deputati è fermo un progetto di legge sullo stesso tema. Diversi deputati della maggioranza sono pronti ad appoggiare l’iniziativa, ma la posizione del governo di Cristina Fernández Kirchner non è ancora chiara.
Due settimane fa un altro magistrato di Buenos Aires, Gabriela Seijas, aveva dichiarato «incostituzionali» i due articoli del Codice Civile che riconoscono il matrimonio esclusivamente fra persone dello stesso sesso. Secondo la Seijas, quegli articoli comporterebbero una discriminazione nei confronti degli omosessuali, nonostante l’esistenza – da ben sette anni – di una legge municipale sulle unioni civili gay.
Nel 2002, infatti, Buenos Aires fu la prima città di tutta l’America Latina a legalizzare le unioni fra persone dello stesso sesso, riconoscendo loro alcuni diritti. Non tutti, però: dal contratto restarono esclusi aspetti spinosi come la possibilità di adottare minorenni o la condivisione dell’assicurazione sanitaria. Non soddisfatto dalla norma approvata nel 2002, il movimento omosessuale argentino non ha ceduto e ha continuato a reclamare identici diritti rispetto al matrimonio eterosessuale. La giudice Seijas, a metà novembre, ha dato ragione a Freyre e Di Bello e ha deciso di dare il suo nullaosta alle «nozze». Il municipio non ha fatto ricorso.
La sentenza è «assolutamente illegale», aveva sottolineato il cardinale Jorge Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires. Nonostante l’impegno di un’associazione di avvocati cattolici, che avevano iniziato a studiare il caso, il tempo sembrava ormai troppo poco per presentare ricorsi.
È stata il magistrato Gomez Alsina a fermare tutto, per invocare l’intervento della Corte suprema: «La decisione – ha detto – non deve essere interpretata come un’anticipazione di opinione sul fondo, né come una discriminazione verso la coabitazione stabile di persone omosessuali». La giudice ricorda infatti che, se vogliono, le coppie di fatto gay possono contare sulla legge municipale che «dà loro l’opzione di celebrare un’unione civile».
La Federazione argentina lesbiche, gay, bisex e transessuali sostiene che la questione non è chiusa e che il «matrimonio» è stato solo rimandato. Ma è probabile che lo stop della magistratura smorzi l’attesa di decine di inviati speciali, spediti a Buenos Aires per raccontare il primo «matrimonio» gay del continente latinoamericano.
Mentre alcune organizzazioni puntano sui vuoti legislativi per accelerare il riconoscimento delle «nozze» fra persone dello stesso sesso, alla Camera dei Deputati è fermo un progetto di legge sullo stesso tema. Diversi deputati della maggioranza sono pronti ad appoggiare l’iniziativa, ma la posizione del governo di Cristina Fernández Kirchner non è ancora chiara.
da Lima Michela Coricelli
Avvenire 2 dicembre 2009
Avvenire 2 dicembre 2009