Roma. Il giorno del suo ottantesimo
compleanno, Robert Spaemann fu salutato
dalla stampa tedesca come il “Verteidiger
der Menschewürden”, il difensore
della dignità umana. Questo consigliere
del Papa è fra i massimi studiosi della
modernità, visiting professor in numerose
università tra cui la Sorbona di Parigi, accademico
dell’Università di Monaco, dove
ha ereditato la prestigiosa cattedra che fu
di Hans Georg Gadamer. Spaemann è a
Roma per il convegno su Dio organizzato
dalla Cei e per l’uscita in lingua italiana
del suo saggio su “Rousseau” (Ares edizioni),
“padrino della modernità”. La tesi
di Spaemann è che l’“autoestraneazione”
e l’emancipazione coltivate da Jean-
Jacques Rousseau, e che lo hanno
reso icona romantica, si concludono
nel pensiero totalitario
con il superamento del
concetto di “persona”
e nell’annuncio
del “post umano”.
Nel “Rousseau totalitario”
di Spaemann
si trovano i sintomi
del pensiero ideologico-
ideocratico del nostro
tempo. “Rousseau è il padre della rivoluzione
moderna perché per primo concepì
la natura come astrazione senza fine, come
libido, mentre il resto sono convenzioni”,
spiega Spaemann al Foglio. “Rousseau
è il primo a parlare dell’umanizzazione
dell’uomo come alienazione. Dopo
vengono Freud e Marcuse”. Con la sua attenzione
al problema “antropologico”,
Spaemann aiuta a ricercare le radici lontane
e ultime di tale “emergenza”. “La
scissione più profonda dell’uomo avviata
con Rousseau avviene oggi attraverso lo
scientismo che ci persuade di essere soltanto
macchine per la diffusione dei nostri
geni, ciò che Wittgenstein ha definito
‘superstizione della modernità’. Il razionalismo
dell’illuminismo si è abbandonato
alla fede nell’impotenza della ragione
umana, alla fede nel fatto che noi non siamo
ciò che pensiamo di essere: esseri liberi,
autodeterminati”. E’ l’origine di
quella che Spaemann chiama “ideologia
dell’emancipazione”. “Alla fine per Rousseau
contava soltanto ciò che prova l’individuo,
è la sua grande eredità: l’autenticità
sostituisce la verità”.
Secondo Spaemann,
l’eredità di Rousseau consiste nell’ideologia
radical-emancipatoria e in quella
scientista: discendenze moderne derivate
dalla “inversione della teleologia”, dal capovolgimento
della metafisica tradizionale
secondo la quale nel processo storico
esiste un fine interno coerente.
“Rousseau è il padre di tutte le ideologie
radicali degli ultimi due secoli”, dice
al Foglio Spaemann. “La storia è intesa
da Rousseau come un uscir fuori, come
emancipazione dalla natura. Il cristianesimo
non ha mai considerato l’uomo tanto
libero come ha fatto l’idealismo, ma nemmeno
lo considera così privo di libertà come
fa oggi invece lo scientismo. In Rousseau
c’è la distruzione di ogni forma di
realizzazione storico-politica dell’essere
umano. Sono fissati tutti i motivi essenziali
della critica alla civiltà europea. L’idea
che la civiltà è fondata sulla separazione
tra essere e apparire, da qui il liberarsi
di una tale emancipazione distruttiva
della soggettività. Con Rousseau, al posto
della sensualità collegata alla tradizione
cristiana è subentrata la vanità e la
superbia, il desiderio di distinguersi. Le
arti e le scienze promuovono poi ciò che
divide gli uomini, trascurando ciò che li
unisce. Tutte le grandi rivoluzioni hanno
inteso se stesse come restaurazione, come
ritorno a una verità dimenticata o tradita.
Anche Rousseau si presenta nel nome di
una verità antica. Anch’egli va all’indietro,
alla ricerca di un’esistenza autentica,
unificata con se stessa”. Due gli esiti possibili:
“Il totalitarismo dell’uomo-cittadino,
che è il Novecento, o l’educazione di
se stessi, che è un’utopia. Rousseau comprese
gli esiti tragici della modernità e
dell’illuminismo radicale, ma non aveva
soluzione. Perseguitato dalla chiesa, fu
osteggiato dagli illuministi come Voltaire
che lo accusarono di paranoia perché era
cristiano. Anche se oggi si fa di Rousseau
un’icona libertaria”. Spaemann parla del
tentativo di intendere l’essere umano come
semplice soggetto di volontà. “Rousseau
ha abbozzato due utopie educative,
una delle quali, l’Émile, ha come fine
l’‘uomo naturale’, libero da ogni deformazione
sociale; l’altra è il cittadino, frutto di
un’educazione totalitaria. Rousseau abbandonò
i suoi cinque figli in un orfanotrofio,
in quanto non poteva offrire loro
nessuna delle sue due educazioni utopiche”.
Stabilito che “sia il movimento antiautoritario
sia le idee totalitarie di una
‘educazione assoluta’ si richiamano a
Rousseau”, si comprende bene il giudizio
di Spaemann sulla sentenza della Corte
europea contro il crocefisso: “Strasburgo
ignora che cosa sia una società libera”.
Giulio Meotti
Il Foglio 11 dic. 2009