DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Ecco l’altro illuminismo che anima il gran convegno romano su Dio oggi. Parla Sergio Belardinelli, organizzatore laico

Roma. Dietro il convegno della Cei su
Dio c’è un laico, oltre al cardinal Camillo
Ruini, già presidente della Cei e oggi animatore
del Progetto culturale da cui è nato
il convegno: Sergio Belardinelli, professore
di Sociologia all’Università di Bologna,
che lavora nella sede distaccata di
Forlì e vive a Pergola, nella Marca Pesarese,
dove pullulano le lapidi dell’antico stato
pontificio, ma nella piazza principale
troneggia ancora un sapido memento anticlericale:
“Prima nelle Marche, aborrendo
il potere temporale dei papi, Pergola insorse”.
Dalle finestre di casa sua, il professore
vede il Castello di Frontone e il Monte
Capria. “Un altro mondo – spiega al Foglio
– anzi, una delle poche condizioni per
non cadere nelle trappole insidiose di questo
mondo”. Prima di essere uno studioso,
laureato in filosofia alla scuola di Cornelio
Fabro e specializzato a Monaco di Baviera,
come borsista della Fondazione Humboldt
alla scuola di Robert Spaemann, Belardinelli
è in effetti un cristiano che secondo
tradizione abita il mondo senza appartenere
al mondo. Ha scoperto la fede per conto
suo, figlio di un artigiano laico e molto repubblicano
che fece fortuna nel commercio
di alimentari e decise di chiamarlo Bovio
e Alberto Mario, come i rivoluzionari
eroi della Repubblica romana, sebbene la
moglie, papalina di fede e temperamento,
figlia a sua volta del birocciaro di Sassoferrato,
avesse implorato il prete di battezzarlo
Sergio. Cresciuto dunque in una terra di
frontiera, tra due culture antagoniste e
complementari, dove il conflitto ideologico
era vissuto in modo manifesto, ma non
esasperato, “perché tra laici e cattolici si
litigava, ma poi si finiva per giocare a carte
insieme”, Belardinelli oggi è un battitore
libero molto amato da Angelo Scola e
Camillo Ruini, al quale l’unisce “un’amicizia
puramente casuale, corroborata però
da autentica affinità elettiva”, e protetto da
un papa laico come Angelo Panebianco, il
liberale discepolo e studioso di Raymond
Aron, al quale lo lega una forte solidarietà
accademica. Personalmente Belardinelli
si definisce “un cattolico e liberale”, perché
– confessa – “io le mie libertà me le sono
sempre prese”. Di fatto, però, è un intellettuale
ratzingeriano, essendo lo studioso
che meglio di altri ha fatto sua la lezione di
Papa Benedetto XVI del logos, o della ragione,
come base fondamentale del cristianesimo
e del dogma dell’incarnazione.
Lo dimostra il suo ultimo libro, “L’altro
illuminismo. Politica, religione e funzione
pubblica della verità”, pubblicato da Rubbettino
(192 pagine, 19 euro). E’ un’appassionata
riflessione, nata da e per la preparazione
del convegno romano, dove si
prendono di petto la teoria di Jürgen Habermas
sul pluralismo sociale e la sua
idea su come fondare la decisione democratica
e l’obbedienza alla norma; si critica
il concetto di neutralità della politica e
di laicità dello stato, specie in senso anticlericare
e anticristiano; si respinge l’idea
d’una tolleranza astratta, chiave della convivenza
civile in nome del pluralismo dei
valori; si discutono l’astrusa filosofia della
complessità di Niklas Luhmann come pure
la teoria dei conflitti incomponibili che
secondo il filosofo Hermann Lübbe impedisce
di fondare una norma sulla semplice
procedura comune. Alla fine, così facendo
e ripulendo le idee critiche, si cerca di restituire
all’illuminismo “il pathos della verità”,
senza del quale, e persino Nietzsche
l’aveva intuito, le stesse conquiste dell’illuminismo
rischiano di venire meno.
Il fatto è che, ispirandosi alla lezione di
Papa Ratzinger, Belardinelli difende il ritorno
alla verità come l’argine necessario
e indispensabile per contrastare il relativismo,
lo scetticismo e il nichilismo contemporanei.
La verità – spiega il professore
– non è la negazione della libertà e dell’autonomia
del singolo, bensì la base ultima
di questa libertà, alla quale rinsaldare
l’eredità più nobile dell’illuminismo per
scongiurarne la dissoluzione. “Sono tanti i
tipi umani”, dice Belardinelli al Foglio.
“Ognuno può avvicinarsi a Dio per i motivi
più strani, perché il figlio si è schiantato
su una moto o perché ama il sole del
mattino… Eppure, per troppo tempo, la
chiesa ha trascurato i preambula fidei; il
mio libro tenta di dimostrare che fare di
Dio una questione di fede vuol dire potenziare
l’idea della ragione e l’idea di verità”.
Davanti alle sfide del mondo d’oggi,
come la bioetica, con la costruzione dell’umano
oltre ogni limite naturale, o il confronto
con un’altra civiltà all’insegna della
contrapposizione tra fedi, si rivela un’idea
utile, della quale andare fieri. “E’ possibile
che esista una cultura non cristiana
dove viene colta la verità, ma è impensabile
che il cristianesimo attecchisca senza il
supporto della verità. Il logos è ragione, attaccamento
alla realtà. Parlare di Dio è
l’unico modo per parlare seriamente degli
uomini, e tirarli fuori dalle secche del relativismo
nichilista in cui si sono arenati”.

Marina Valensise

Il Foglio 9 dic. 2009