DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Ecco perché gli scienziati non dicono la verità sul "global warming"

15 Dicembre 2009
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Il problema del riscaldamento globale (assai serio, che merita un’attenta disamina) è stato recentemente affogato nell’allarmismo e nelle paure irrazionali che si sono sovrapposte alle legittime preoccupazioni della comunità scientifica e del pubblico. Ora è necessario separare la ricerca dalla demagogia, e rendersi conto che non tutti gli scienziati vedono un nesso tra questo fenomeno e le attività umane.

La Oregon Petition, sottoscritta da 31.000 scienziati, afferma che “non esiste una convincente evidenza scientifica sul fatto che il rilascio nell’atmosfera da parte dell’uomo di diossido di carbonio, metano o altri gas serra, stia causando, o causerà nell’immediato futuro, un riscaldamento catastrofico dell’atmosfera terrestre e la conseguente distruzione del clima”. Sulla questione, il professor Timothy Ball, ex insegnante di climatologia dell’Università di Winnipeg, ha pubblicato un articolo dal titolo: “Riscaldamento Globale: I Fatti Nudi e Crudi?” nel quale afferma: “che ci crediate o no, il riscaldamento globale non è dovuto alla produzione di diossido di carbonio (CO2) da parte umana. In realtà questo è il più grande inganno nella storia della scienza. Stiamo sprecando tempo, energie e miliardi di dollari e nel frattempo alimentiamo inutili allarmismi e preoccupazioni in merito a una questione priva di dimostrazione scientifica.” Anche secondo Yuri Izrael, vice presidente del Comitato Intergovernativo sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite (IPCC), non esiste una correlazione tra le attività umane e il riscaldamento globale.

Ancora, uno dei più grandi scettici sull’argomento, il professore Willie Soon, astrofisico della Solar and Stella Physics Division del Centro Harvard-Smithsonian, nonché Capo Consigliere Scientifico al Public & Science Institute, afferma che il riscaldamento globale è dovuto alle variazioni dell’attività solare e in nessun modo all’attività umana. Nel 2003, il professor Soon e il suo collega Sallie Baliunas, hanno pubblicato un articolo sul giornale scientifico Climate Research. Citando diversi studi scientifici, Soon ha affermato che il ventesimo secolo non è stato il più caldo della storia nel corso dell’ultimo millenio. In questo modo, il professore ha screditato il dogma ufficiale che postula l’esistenza stessa del cambiamento climatico. Guarda caso, dopo la pubblicazione di questo articolo, mezza redazione del giornale ha dato le dimissioni. La domanda è: perché gli scienziati che contraddicono il dogma del nesso tra la CO2 e il riscaldamento globale non sono solamente soggetti alle normali confutazioni dei critici ma devono anche sopportare l’ostracismo della comunità accademica? Ma gli studiosi non dovrebbero avere il diritto di scambiare le proprie idee e di dibatterle liberamente? Perché, invece, il libero dibattito intorno a questo argomento pare essere così difficile?

Un tentativo di spiegazione è stato proposto da Donald W. Miller, professore alla Washington University, autore di “Il Sistema del Sussidio Governativo: inibitore della verità e dell’innovazione?” che descrive come, negli Stati Uniti, i fondi per la ricerca siano allocati dal governo, che tende a dispensare soldi in conformità con le sue idee. In altre parole, la politica decide la linea da seguire e gli scienziati prendono fondi per dimostrare la sua validità. Visto che la politica, in particolare dopo l’uscita del documentario di Al Gore An Inconvenient Truth ("Una Verità Sconveniente"), ha decretato che esiste un solido legame tra le emissioni di CO2 e il riscaldamento globale, gli scienziati si sono conformati a quella verità. Un sistema del genere tende, secondo il professor Miller, ha produrre un consenso della comunità scientifica artificiale e forse infondato, sulle basi di scelte politiche (leggi: fondi economici), consenso che inibisce il pensiero critico e il dibattito. Negli Stati Uniti questa situazione è diventata altamente politicizzata: i democratici sostengono sia necessario controllare le emissioni di CO2 per evitare il riscaldamento globale; i Repubblicani, dopo aver valutato le prove, tendono a essere scettici riguardo al legame tra questi due elementi. Inoltre, parte del movimento ambientalista dipinge la questione in termini puramente ideologici, come una lotta tra il bene e il male. Gli ambientalisti spesso sembrano essere mossi da mire anti-capitalistiche più che da un genuino desiderio di capire e risolvere i problemi del nostro pianeta. Oltretutto, sembrano essere sicuri che la panacea di tutti i mali del mondo sia la massiccia espansione delle prerogative statali.

In breve, l’intero dibattito sul riscaldamento globale sembra mosso più da un programma ideologico di assumerne il controllo e dispensare benefici a destra e a manca, che da quello più scientifico che richiederebbe l’esame delle prove. Molti commentatori stanno quindi chiedendosi se sia veramente il caso di firmare questo Accordo di Copenaghen. Nell’articolo intitolato: “Has anyone read the Copenhagen agreement?”, pubblicato il 28 ottobre dal The Wall Street Journal, Janet Albrechsten si augura che il leader mondiali non raggiungano un accordo nella capitale danese: la bozza del trattato, infatti, parla del trasferimento di sovranità dagli Stati nazione a un governo transazionale non-eletto, conferendo a questa istituzione innominata enormi poteri in questioni finanziarie, fiscali e ambientali. Fantascienza? La bozza del trattato, intitolato United Nations Framework Conventions for Climate Change si può leggere on line. Il trattato parla anche di un trasferimento di denaro dalle nazioni ricche a quelle povere, cosa che probabilmente (esperienza insegna) finirà per rimpinguare i conti bancari segreti dei dittatori e degli oligarchi che opprimono il Terzo Mondo, senza avere conseguenze positive sulle condizioni di vita delle popolazioni locali. Lord Christopher Monckton, consigliere dell’ex-Primo Ministro Margaret Tatcher, ha già largamente denunciato l’inadeguatezza di questo trattato, sottolineandone i rischi, e invitando pubblicamente gli Stati Uniti a non ratificarlo.

Se esistono ancora dei dubbi sul fatto che il riscaldamento globale sia causato dalle attività umane, siamo invece sicuri che questo accordo potrà avere effetti devastanti sulle nostre economie, e potrà causare drammatici incrementi delle imposte e vistosi cali dell’occupazione. Siamo certi che l’economia mondiale abbia veramente bisogno di una cosa del genere proprio ora che sta faticosamente riprendendosi dalle conseguenze d’una grave crisi finanziaria internazionale? Il dibattito è, speriamo, ancora aperto.

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Traduzione Andrea Holzer