di Luigi Geninazzi
Tratto da Avvenire del 27 dicembre 2009
Doveva essere il suo Natale più bello, da festeggiare a Betlemme con le amiche dell’università. Invece eccola qui col muso imbronciato, seduta sul divano di casa e intenta a sfogliare nervosamente gli appunti per un esame che non potrà più dare. Ancora non si dà pace Berlanty Azzam, 22 anni, studentessa di Gaza all’Università cattolica di Betlemme. Due mesi fa, mentre stava andando a Ramallah per un colloquio di lavoro, è stata fermata da una pattuglia israeliana che l’ha arrestata. Subito dopo è stata caricata, bendata e incappucciata, su un blindato militare e rispedita a casa sua. Da tre anni infatti Gaza è completamente isolata dal resto dei Territori palestinesi e tutti i cittadini che risiedono nella Striscia non possono recarsi da nessun’altra parte, neppure in Cisgiordania.
Berlanty se n’era andata nel 2005 per frequentare un corso di economia all’università di Betlemme e si era ben guardata dal tornare a Gaza. Non immaginava di essere espulsa così brutalmente. «È stata una beffa atroce: mi manca solo un esame ed avrei dovuto laurearmi il mese prossimo», dice scuotendo la testa con aria desolata. Il suo caso ha fatto il giro del mondo, ci sono state proteste non solo da parte delle autorità accademiche e degli studenti di Betlemme ma anche di organismi internazionali. La Corte suprema israeliana ha però confermato il provvedimento d’espulsione messo in atto dall’esercito. È intervenuta anche la Santa Sede che, tramite il Nunzio vaticano a Gerusalemme, monsignor Antonio Franco, ha presentato un “affidavit” in base al quale si faceva garante del rientro a Gaza della studentessa una volta terminati gli studi.
Niente da fare, le autorità israeliane si sono mostrate inflessibili e sorde ad ogni appello. Ma per questa ragazza, dolce e minuta, i guai non sembrano avere fine. «Israele mi tratta come una terrorista e qui a Gaza vengo insultata per la mia fede cristiana», si sfoga Berlanty. È abituata a uscire per strada senza il velo, contrariamente alla maggior parte delle sue coetanee di Gaza che sotto il potere di Hamas sta diventando sempre più islamizzata. «Io sono cristiana e non porterò mai il velo musulmano» ribadisce con fierezza.
Ha coraggio da vendere la piccola Berlanty, anche se sua madre, credente ortodossa, si mostra molto preoccupata. Qualche giorno fa, mi racconta, hanno tirato dei sassi contro le finestre di casa. «Sì, abbiamo paura» ammettono i genitori davnati a queste manifestazioni d’intolleranza. A Gaza i cristiani (poco più di duemila persone di cui trecento cattolici) soffrono per le privazioni della vita quotidiana come tutti. Ma hanno un problema in più. Ce lo dice chiaramente padre Jorge Hernandez, giovane sacerdote argentino del Verbo Incarnato che da sei mesi ha preso il posto del vecchio parroco, don Manuel Musallam.
«Godiamo della libertà di culto e siamo rispettati dalle autorità locali. Con il governo di Hamas i rapporti, a livello ufficiale, sono abbastanza buoni. Ma sentiamo crescere attorno a noi un clima di ostilità». Rihan è un’amica di Berlanty e da qualche tempo non porta più la croce al collo. «Derisioni, battutacce, intimidazioni. Alla fine mi sono rassegnata a toglierla», racconta. Berlanty invece è decisa a resistere. «Non metterò mai il velo, devono rispettare la mia identità. E intendo assolutamente finire l’università, è un mio sacrosanto diritto». Mi saluta con un abbraccio, forte come la sua voglia di combattere. E mi consegna il suo appello disperato al mondo: «Vi prego, fatemi uscire dalla prigione di Gaza!».