DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Henri de Lubac su von Balthasar: «Devo molto al fatto di aver avuto un amico simile»

itiamo da Memoria intorno alle mie opere di Henri de Lubac (ritratto nella foto a lato), nella prima edizione di Jaca Boook del 1992, a pagina 396 :

"Quando dovette rinunciare a fare la professione nella Compagnia di Gesù per fondare un Istituto secolare, compito al quale aveva coscienza d essere chiamato da Dio, padre Balthasar nel marzo 1950, scrisse ai suoi confratelli della Svizzera questa lettera :

«Cari padri e fratelli della Compagnia di Gesù,

Distaccandomi dalla vostra comunità per fare la volontà di Dio, io non voglio lasciare la casa per la porta di servizio, ma desidero piuttosto guardarvi in faccia e salutare voi, che per alcune decine di anni siete stati così vicini a me e che, per quel che mi concerne, lo resterete ancora spiritualmente. Le cause della mia partenza non sono comuni, il mio caso non può essere confuso con altri. Per questo mi sembra opportuna una breve spiegazione.

Innanzitutto vorrei ripetere un parte di ciò che esponevo il 20 aprile 1948 , al Padre generale John Janssens : « Dopo anni di preghiera e di meditazione davanti a Dio e al nostro Padre sant'Ignazio, sono arrivato alla conclusione, di cui l’ho informata a voce in due incontri, che Dio mi ha riservato un incarico personale, particolare, che non posso affidare ad altri ; schivarlo o fare orecchi da mercante significherebbe tradir l’amore di Dio nel più intimo di me stesso.
Lungi da me il pensiero di voler mettere la mia indegna persona vicino ai grandi e ai puri del regno di Dio : tuttavia non posso proibirmi di paragonare la certezza che mi fu accordata, a questo riguardo, con quella che ricevette, ad esempio fra Nicolao, quando dovette abbandonare la famiglia, o Jan Eudes quando lasciò l’Oratorio, o Charles de Foucauld o chiunque altro, cui fu comunicata una missione da parte di Dio. E se io oggi prego sua paternità di sciogliermi dal voto di entrare nella Compagnia di Gesù per vivervi nella povertà, verginità e obbedienza, non è certo per sottrarmi alla croce della vita religiosa, per evitare di sottomettere il mio spirito e la mia volontà al fine di seguire un piano personale, ma con la chiara coscienza di legarmi a Dio e al nostro Padre Ignazio con una obbedienza ancora più stretta, che mi spogli con severità ancor maggiore della mia libertà,
secondo quanto è detto : Quando sarai vecchio, ti condurranno dove tu non vorrai.
Parto dunque, volontariamente ed involontariamente allo stesso tempo.
Volontariamente, perché la mia richiesta di congedo non ha altra ragione che il mio desiderio di obbedire a Dio. Nessun distacco, nessuna frizione, da parte mia, con la Compagnia, che mi è cara sopra ogni cosa e, come mi è stato assicurato, nessuno scontento da parte dei miei superiori. Ora come sempre, l’opera del nostro Padre Ignazio mi sembra ciò che di più bello ci sia sulla terra ed abitare la sua casa , la sorte più desiderabile. Nonostante tutto quello che si potrebbe trovare da ridire sulla Compagnia attuale, sopratutto nei nostri paesi tedeschi, mai la critica di questi fatti avrebbe potuto indurmi a scegliere un’altra strada.
Ma parto anche controvoglia, costretto da una serie di circostanze alle quali non posso riconoscere una necessità ineluttabile. Sua paternità, nella sua qualità di guida responsabile, deve seguire la via sicura della tradizione ; lei mi ha insistentemente ricordato che Dio guida di preferenza per le vie ordinarie piuttosto che per le vie straordinarie e che l’obbedienza ai superiori è sempre
garanzia di sicurezza, mentre le certezze personali possono facilmente ingannare : - come potevo vedere in tutto questo qualcosa di diverso dall’espressione della sua esperienza e prudenza, della sollecitudine per tutti e del suo amore paterno per me in particolare ? Però mi fu ugualmente chiaro che, dal momento in cui la mia causa a Roma prendeva la forma di un’alternativa, era finita per me nella Compagnia. Questa forma si sarebbe potuta evitare solo se altri, oltre a me, avessero riconosciuto che l’obbedienza che la Compagnia deve a Dio e al suo fondatore non necessariamente dove contraddire l’obbedienza che un singolo può dover prestare a Dio e a sant’Ignazio, anche se questa obbedienza dovesse diventare un giorno completamente personale. »

Evidentemente, se volevo essere preso sul serio, era necessario presentare dei dati controllabili della certezza interiore raggiunta nella preghiera. È quanto feci, prima con il provinciale dell’epoca, quindi, quando la questione fu portata a Roma, con il padre generale, in tutta franchezza. Ma dato che questo genere di prove ecclesiastiche sono solite durare degli anni, mentre Dio può chiedere ad una persona l’obbedienza immediata, ne risultò una situazione pienamente possibile, legittima e prevista, nella quale due pareri, pur con le migliori intenzioni, si contrappongono, di modo che, mentre da una parte si forma una chiarezza e s’impone una risoluzione, dall’altra la natura delle cose non permette che si giunga ancora a una soluzione. Rimando a Tommaso, De Veritate, q 17 a5, o alla elaborazione successiva del padre de Lugo, SJ, nel suo Tractatus de virute fidei divinae, in disp. I, nn 226-229:

"Sententia communior iam docet, omnem revelationem sufficienter propositam pertinere ad objectum formale fidei nostrae, sive privata sive publicae ab Ecclesia proposita ; nam licet privatm non teneatur fideles omnes communiter credere, tenetur tamen credere ille cui fit et sufficienter proponitur, eodem habitu fidei quo credit et alia fidei mysteria. Hanc tenet … Catherinus in Apologia contra Sotum de certitudine gratiae, cap.ult. ubi testis oculatus testatur, hanc sententiam quam P. Lainez Generalis nostrae Societatis contra Sotum acriter in Tridentino probavit, communi Concilii approbatione fuisse acceptum. Eandem tenet Suarez … Quam defendunt jam communiter nostri recentiores. Dubium esse potest, an revelatio privata possit obligare sub peccato gravi infidelitatis ad credendum objectum sic revelatum, antequam ab Ecclesia acceptatur. In hoc puncto distinguendum videtur. Possumus loqui vel de ipsomet, cui immediate fit revelatio, vel de aliis, ad quos postea notitia ejus derivatur. Loquendo de aliis, credo communiter loquendo numquam aut rarissime obligari ad credendum, quamdiu non proponitur ab Ecclesia. Non est sermo nunc de revelatione alicui immediate facta ad hoc ut id ex parte Dei alter etiam privatim nuntiaret ; tunc enim occurrentibus motivis sufficientibus, credere teneretur positive is etiam, ad quem mandatum vel nuntium illud deferretur.
Si vero loquamur de eo, cui fit revelatio privata immediate, non videtur negari posse, quod aliquando et non raro teneatur illam et objectum revelatum credere. Si adsint motiva talia, ut non possit prudenter dubitari, debet positive credere, alioquin erit gavis irreverentia in Deum, cui loquenti et sufficienter sua locutionem proponenti ad exigendam hominis fidem, illam non possumus negare. Et quaedam cum adsit motivum divinae auctoritatis sufficienter propositae, cui summus cultus intellectualis debetur, erit etiam obligatio assentiendi non utcumque sed super omnia, sicut in rebus fidei assentiri debemus. Ceterum non est dubium quod possit revelatio privata proponi cum tantis credibilitatis motivis et cui fit, cum quantis proponitur revelatio publica."

"L’opinione comune insegna che ogni rivelazione che sia stata proposta con sufficiente chiarezza appartiene all’oggetto formale della nostra fede, sia che sia privata sia che sia pubblicamente proposta dalla Chiesa ; a ciò che è stato rivelato privatamente non sono tenuti a credere tutti i fedeli, ma è tenuto ad aderirvi con la stessa virtù di fede con cui crede gli altri misteri della fede quello a cui fu proposta con sufficiente chiarezza. Questa è l’opinione … di Caterino ¬¬nell’Apologia contro Soto sulla certezza della grazia nell’ultimo capitolo, dove tratta della testimonianza dovuta dai testimoni oculari, con la stessa proposizione che il padre Lainez, Generale della nostra Compagnia, ha fatto acutamente valere nel Concilio di Trento, perché l’approvazione di tale sentenza fosse accettata dal Concilio. Anche Suarez è della stessa opinione … E questa stessa opinione è quella che difendono comunemente i nostri autori più recenti. Può essere dubbio se una rivelazione privata possa obbligare a credere l’oggetto in tal modo rivelato, sotto pena di commettere un peccato di grave infedeltà, anche prima che la Chiesa l’abbia accettato. A questo riguardo occorre distinguere. Possiamo infatti parlare o di colui a cui fu fatta la rivelazione immediatamente, oppure di altri ai quali ne sia pervenuta notizia in seguito. E parlando di questi altri, credo che nessuno sia comunemente considerato come tenuto a credervi, se non in casi rarissimi, fintanto che ciò non sia proposto dalla Chiesa stessa. Non parlo ora di una rivelazione fatta direttamente a qualcuno da parte di Dio, perché costui la comunichi privatamente ad un altro ; nel caso in cui ci fossero ragioni sufficienti, anche colui al quale un altro fosse mandato o al quale venisse comunicata tale notizia sarebbe positivamente tenuto a credere.
Ma se parliamo di uno a cui la rivelazione fosse fatta direttamente, non ci sembra possibile negare che talvolta, ma non raramente, costui sia tenuto a credere all’oggetto rivelato. Se fossero presenti ragioni tali per cui non possa esercitare la prudenza dubitandone, occorrerà che vi creda positivamente, altrimenti incorrerebbe in una grave irriverenza nei confronti di Dio, il quale parla e propone il suo discorso all’uomo in modo sufficientemente chiaro da poter esigere la fede da parte sua, e quella non possiamo proprio negarla. E nelle cose quando la divina autorità, alla quale dobbiamo il più alto culto dell’intelligenza, è presente in modo sufficientemente chiaro, comporterà l’obbligo ad assentirvi non in un modo qualsiasi, ma prima di tutto, così come dobbiamo assentire negli oggetti di fede. Del resto non è dubbio che una rivelazione privata possa essere proposta al suo destinatario con altrettanti motivi di credibilità, quanti sono quelli con cui è proposta una rivelazione pubblica."

[La traduzione di questa lunga citazione dal latino, che non si trova nel testo pubblicato da Jaca Book, è a cura della redazione del Centro Culturale della Svizzera Italiana]


Non si può dunque obiettare che la miglior soluzione del conflitto sia, per principio e in ogni caso, nell’obbedienza dell’Ordine. Essa sta, per principio e in ogni caso nell’obbedienza a Dio.
Il superiore, che non dovrà mai confondersi con Dio, è la via ordinaria della manifestazione della volontà divina. Non è la via esclusiva.
Dio resta libero di fronte all’uomo, sopratutto se si tratta di qualcuno che ha voluto mettersi a sua totale disposizione nel tipo di vita dei consigli. Egli è libero di servirsi di lui secondo il suo beneplacito, come vuole.
La vita religiosa non consiste nel cercare rifugio in un porto sicuro, ma nella fedeltà all’« esci dalla tua terra » (Genesi 12,1) e all’ « abbandonare tutto » ; e l’obbedienza religiosa non è l’angolo morto dove il soffio dello Spirito può raggiungerci solo indirettamente, visto che l’obbedienza ci toglie la responsabilità ultima di noi stessi davanti a Dio.
Quale Ordine predica di più e conosce meglio la strumentalità e la disponibilità davanti a Dio (non solamente per i suoi membri ma per l’ordine stesso) dell’Ordine dei gesuiti ? Se non si tratta di frasi vuote, il gesuita deve essere, per principio, sempre pronto ad ascoltare e seguire una nuova chiamata, anche inattesa, che lo farà uscire dalle forme alla quali si è abituato ed attaccato.
Nessun altro punto di vista entra allora in gioco, se non quello della semplice e reale obbedienza.
cosa importa a chi cerca la volontà del Signore : se essa è facile o dolorosa, se si è capiti o no, se la prospettiva di riuscita prendono forme consolanti o fosche, se la notte dell’obbedienza è più profonda a restare che a partire. E se allora si verificherà quasi necessariamente quanto è previsto negli Esercizi (n. 167 [« La terza è umiltà perfettissima, cioè quando includendo il primo e il secondo modo, a parità di gloria e lode della Divina Maestà, io per imitare e rassomigliare più attualmente a Cristo nostro Signore, voglio ed eleggo piuttosto povertà con Cristo povero che ricchezza, obbrobri con Cristo coperto di essi piuttosto che onori, e desidero più essere stimato da niente e stolto per Cristo che per primo fu ritenuto tale, che savio e prudente in questo mondo. » N.d.R.] ) egli lo accoglierà con intima riconoscenza, ma ancora una volta : cosa gli importa ?
Dio farà sì che una tale obbedienza, prestata con la semplicità del bambino, non si oscuri al margine della Chiesa cattolica, ma ne raggiunga le fondamenta.

Alcuni membri della compagnia hanno ritenuto opportuno – non voglio esaminare per quali motivi – di far circolare, sul mio caso, tutta una serie di aneddoti. Riguardo a quelli che sono giunti fino a me, posso soltanto dire che sono, o inventati di sana pianta o molto travisati, fino a rendere il contesto irriconoscibile, e questo sono disposto ogni volta a provare e confermare. Chiunque abbia a cuore la verità, vorrà per il momento astenersi dal giudicare, piuttosto che ascoltare (o anche diffondere) i pettegolezzi delle persone che pretendono di sapere cose che, in verità, non conoscono.

Un problema speciale è costituito dagli argomenti desunti dalla mia condotta e dal mio esempio all’interno della Compagnia, che vengono mobilitati contro la fondatezza delle mie affermazioni. Questa obiezione mi mette nella situazione paradossale di accusarmi qui in tutta verità, mentre d’altronde mi devo giustificare.
A questo riguardo, un punto dovrebbe prevalere sul resto : le gravi mancanze personali possono certamente nuocere alla realizzazione di un compito, ma non rendere impossibile una delega da parte di Dio.
Detto questo, colgo con riconoscenza l’occasione di chiedere sinceramente perdono ai miei confratelli per averli molto scandalizzati. Mi sento soprattutto più gravemente colpevole di una continua mancanza di carità attiva. In particolare deve essere segnalata la mancanza di premura per le preoccupazioni altrui, di essere stato avaro de mio tempo e della mia simpatia, di essere stato troppo indipendente nei miei piani di lavoro, negligente nel rendere conto delle mie spese. In questo e in molte altre cose ho mancato, e prego Dio di impedire che qualcuno abbia a soffrire un danno durevole per colpa mia.
D’altro canto non so cosa devo pensare quando oggi mi si accusa di essere stato assolutamente falso, sleale, orgoglioso e disobbediente. Io non riesco a scorgere in me questi atteggiamenti fondamentali. In particolare, io penso sinceramente « di aver sempre ritenuto nel mio cuore ciascuno superiore a me stesso » . Io devo lasciare a Dio il giudizio su queste cose e lo prego di illuminarmi. Tuttavia, più uno dei miei ex-confratelli scoprirà in me dei difetti, più avrò diritto di contare sulle sue preghiere.

Tutto ciò che devo alla Compagnia e ciò per cui resterò sempre riconoscente a Dio è, in una parola, quasi tutto. Non posso che lodare Dio per questa ricchezza, e pregarlo di farne parte a parecchie persone. Ma vorrei sottolineare ancora un punto : non dimenticherò mai l’edificazione che ho ricevuto dall’umiltà di alcuni fratelli coadiutori.

Pieno di riconoscenza, io vi saluto, e la luce che è dietro di me mi accompagna, illuminerà l’oscurità nel prossimo futuro, prossimo o ancora lontano. Bisognerebbe essere ciechi per non vedere che l’espletamento del mio incarico sarà molto più difficile fuori di quanto avrebbe potuto esserlo all’interno della Compagnia.
Ma quale gioia e quale pace, sulla terra, sono più grandi della coscienza raggiunta nella preghiera di aver obbedito nel modo migliore che si poteva comprendere? È anche la gioia di poter dare una gioia al mio Padre Ignazio, che mi è più caro di ogni cosa : alla gloria di Dio e forse anche, lo spero, per una nuova stagione del nostro padre Ignazio sulla terra.
Oggi nessun santo è forse più attuale, vivo, attivo di lui, capace di far saltare di nuovo e soprattutto anche questa volta, l’incrostazione dei secoli. Chissà, forse egli nasconde nel suo cuore un bel segreto, ancora invisibile : la svolta da compiere si rivelerà più tardi, quando noi non ci saremo più da molto tempo, come il cammino di una unità nuova più profonda.

Non c’è verità se non nella preghiera. Mi raccomando alle vostre preghiere e ricordatemi nelle vostre Sante Messe, e vi prometto di ricordarmi di voi nelle mie preghiere.

Hans Urs von Balthasar »


Io devo molto al fatto di aver avuto un amico simile."