Essi non sono dei mini-preti e quindi non possono svolgere le funzioni dei sacerdoti
Ha fatto poco notizia, anche se merita se ne parli, il motu proprio Omnium in mentem pubblicato da Papa Benedetto XVI. Merita perché, dopo anni incertezze, finalmente è stata fatta chiarezza circa il ruolo dei diaconi nella Chiesa.
In diverse parti del mondo, infatti, soprattutto nei paesi del Nord Europa, i diaconi (molti di questo sono laici e tecnicamente si chiamano diaconi permanenti) sovente arrivano quasi a svolgere, senza di fatto averne il permesso, il ruolo dei preti.
Il Papa, invece, stabilisce, con un modifica del nuovo codice di diritto canonico, che tra diacono e presbitero (e dunque vescovo) c'è una netta differenza. E che questa differenza va rispettata.
Recita, infatti, così il motu proprio papale: «Coloro che sono costituiti nell'ordine dell'episcopato o del presbiterato ricevono la missione e la facoltà di agire nella persona di Cristo Capo, i diaconi invece vengono abilitati a servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità». In sostanza, i diaconi non agiscono come i preti in persone di Cristo: a loro non è mai stato concesso questo potere.
Fu nel 1967 con il motu proprio Sacrum Diaconatus Ordinem, che Papa Paolo VI introdusse nella Chiesa latina la figura del diacono permanente, mentre fino ad allora si era trattato semplicemente di una tappa intermedia nel cursus honorum dei seminaristi. L'accesso a tale grado dell'Ordine sacro (il primo, data la poco posteriore abolizione del suddiaconato con la lettera apostolica Ministeria quaedam del 1972) venne inoltre consentito anche a chi fosse già ammogliato, mentre una volta ricevuta l'ordinazione diaconale non è più possibile sposarsi o risposarsi.
Una figura, quella del diacono permanente, che tradendo l'idea propria di Paolo VI viene usata in certi ambienti (non sempre, ma comunque spesso) e in certe comunità locali per premere sull'abolizione del celibato ecclesiastico: la figura del diacono permanente uxorato, infatti, è vista come «prova generale» perché in futuro cada la consuetudine che prevede il celibato per i preti.
Anzi gli stessi diaconi permanenti sono considerati come una sorta di vivaio per il loro accesso al pieno sacerdozio. Ma, sul celibato dei preti, Benedetto XVI è stato sempre molto chiaro: rappresenta un valore al quale occorre sempre rifarsi.
L'altra modifica introdotta dal motu proprio interessa meno la liturgia e l'ecclesiologia e riguarda invece il fatto che i battezzati apostati non sono più equiparati ai non battezzati, ai fini della disciplina matrimoniale.
Pertanto, mentre un matrimonio civile tra non battezzati è considerato dalla Chiesa valido (e quindi in principio indissolubile), non è così invece per quello tra battezzati, e non importa più se uno ha ripudiato il suo battesimo: per i battezzati il matrimonio solo civile è, agli occhi della Chiesa, inesistente e non preclude un successivo matrimonio religioso con altra persona. Insomma: gli sbattezzati che si son sposati in Comune fino a ieri non potevano mollare il coniuge e contrarre un matrimonio in Chiesa con qualcun altro. D'ora innanzi invece sì.
© Copyright Italia Oggi, 30 dicembre 2009