DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Ideologia della parolaccia. Fra vecchio galateo e nuovi conformismi. di Luca Goldoni

Nel novembre 1977 Zavattini in radio ruppe un tabù
L'ormai storica parolaccia pronunciata dal presidente Fini ha un precedente illustre e, semmai, più esplosivo, considerato il linguaggio dell' epoca, assai più misurato. È il novembre del 1977 e Cesare Zavattini (grande scrittore, sceneggiatore di Paisà, Sciuscià ed altri film di culto) inaugura una rubrica radiofonica. Per sottolineare che si tratta proprio di una pagina nuova, lancia la sua molotov: «Voglio pronunciare una parola che alla radio non si dice mai: c..zo». Sul vocabolo sdoganato da Zavattini si buttarono sociologi, psicanalisti, vescovi: Dario Fo ci ricordò che, dal teatro Ruzante allo Skurril-Theatre tedesco, il linguaggio da trivio era sempre stato scagliato come protesta plebea contro il potere. E l'Italia, come sempre, si spaccò in due, molte donne giovani, vaccinate dal romanzo Porci con le ali si schierarono a favore del debutto in società del c..zo. In un commento per il «Corriere», confessai che battendo quella parola sulla tastiera della portatile mi tremavano leggermente le dita, ma al vecchio Zà la voce non era tremata per nulla. Era certamente meno retrogrado di me. Poi aggiunsi altre osservazioni che oggi mi paiono candide, disarmanti, ma allora non eravamo ancora mitridatizzati contro il turpiloquio che oggi esonda dai dibattiti tv, dai talk show e soprattutto (malamente coperto dai bip) dagli incredibili reality, peraltro sostenuti da audience imbarazzanti. M'ero letto il saggio sulle Brutte parole di Nora Galli (il siciliano minchia deriverebbe dal latino mentula incrociatosi con mingere, mentre pene si chiamava anche ciriuola, anguilletta, pagnotta eccetera). E m'ero convinto che lo sputare in faccia alla gente le parolacce poteva significare: parliamoci chiaro, bando agli ipocriti giri di parole. Ma mi chiedevo anche se l'uso generalizzato dei vocaboli interdetti non rischiasse di diventare un conformismo uguale e contrario. Un conto è essere abituati al gesso sporcaccione sui muri, diversa è la parola parlata. Scrissi: «Se nel programma di Zavattini si fosse sentito un grosso urto e poi la voce soffocata di Zà, "c..zo, questo spigolo", la cosa non ci avrebbe minimamente toccato. E invece questo grillo o piffero o banana o uccello o ciriuola, proposto in chiave quasi ideologica, mi ha lasciato perplesso. Certo, mi ripeto, Zà ha voluto condensare la ribellione contro lo stucchevole lessico ufficiale: e dunque se si tratta di una sassata contro l'establishment radio televisivo vada per la sassata. Se il grido di Zà venisse invece interpretato come la proposta di un nuovo modello di sviluppo linguistico e come un invito alle barricate anche nei notiziari, nei dibattiti e nei programmi di intrattenimento, spegnerei radio e televisione e mi alimenterei solo di mangianastri. «Non mi danno fastidio gli amici che ogni tanto mi dicono: hai scritto una cazzata. Ma se usa questo linguaggio una signora, sospetto che voglia apparire disinibita. Se lo sento alla radio penso: era proprio indispensabile? Il conduttore vuol mostrarsi disinvolto, vuole che pensi: è uno come me. E allora perché, se vuole proprio far colpo, non fa anche un rutto o un peto, e perché non oriniamo contro il muro dicendo alla dama scusa un attimo? «Il generale Patton faceva ai suoi carristi dei proclami poi divenuti leggendari e concludeva: un giorno potrete dire a vostro nipote che non eravate a seppellir merda nell' Oklahoma, ma in Normandia con quel figlio di puttana di Giorgetto Patton. Ma ad ascoltarlo c'erano degli uomini duri e pallidi, non c'erano anche delle gentildonne. Alle quali il generale Patton baciava la mano. Quando scrivo, penso sempre che c'è una signora vecchio stile che forse mi legge e allora rinuncio a tutte quelle parole che dico con i miei amici o con mio figlio quando non c'è mia moglie. Forse mia moglie non è ben orientata nel senso della storia, ma io rispetto il suo fastidio come quando in treno chiedevo: disturba il fumo? «Penso che per radio e televisione bisognerebbe sempre chiedere: disturba il fumo? Non siamo tutti marines che devono sbarcare in Normandia e neppure tutti maschi abbrutiti dal lavoro e neppure tutte ragazze che ripetono continuamente che due palle. «Caro Zà - concludevo - ho fatto un discorso barbogio ma penso pure che tanti secoli fa Plauto diceva mentula, ma Cicerone in senato no. Se in radio e Tv fosse possibile ancora per qualche anno sostituire il concetto di c..zo con qualcosa di altrettanto liberatorio e progressista, io non perderei i miei sonni». Rileggendomi, mi trovo patetico. Ma considero pure che può essere curioso ed educativo il raffronto fra il trivio mediatico di oggi e il candido etere squarciato dalla molotov tirata da Zavattini.
«Corriere della Sera» del 17 dicembre 2009