L’
acqua che scorre nella fontana di Plaza de la Libertad , davanti alla Moneda, trasmette ai passanti un senso di serenità. Trentasei anni fa erano ben altri i rumori su questa piazza, mentre i caccia sfrecciavano sopra il palazzo in cui era asserragliato il presidente Salvador Allende. Oggi è di nuovo tempo di elezioni in Cile. Per la quinta volta, in 20 anni da quel mitico 1989 che non vide crollare solo il Muro berlinese, ma anche finire dopo 16 anni la dittatura del generale Pinochet. Vent’anni che hanno visto questa lunga striscia di terra che va dai Tropici fin quasi all’Antartide fare grandi passi sulla via della democrazia e della stabilità economica. Domenica prossima, il 13, i cileni andranno alle urne per scegliere il successore della presidenta uscente Michelle Bachelet. Quasi di sicuro si andrà al ballottaggio, il 17 gennaio. Con un paradosso, dovuto alla frammentazione del centro-sinistra (vi ricorda qualcosa?): che vincerebbe a mani basse con la Bachelet, accreditata di una popolarità attorno al 70%, se non ci fosse la Costituzione a vietarle il secondo mandato consecutivo (e non è un caso che il Cile sia l’unico stato latino-americano in cui il presidente non ha tentato di aggirare questo vincolo); presentandosi invece con due candidati – Eduardo Frei Ruiz- Tagle e Marco Enriquez- Ominami –, si avvia a un autogol e a una probabile sconfitta.
A vincere potrebbe essere quello che diversi opinionisti presentano come «un fratello in salsa cilena di Silvio Berlusconi »: Sebastiàn Piñera, candidato della destra di Coalicion por el cambio .
Anche se, a differenza del nostro premier, presenta la 'macchia' di aver perso le prime elezioni, 4 anni fa contro la Bachelet, in effetti le assonanze sono diverse: indicato dalla rivista
Forbes al posto 701 fra gli uomini più ricchi del Pianeta, è proprietario del canale tv Chilevision, della compagnia aerea Lan, della squadra di calcio del Colo-Colo e ha svariati business
nella finanza, con conseguenti contestazioni di conflitti d’interesse (fra l’altro ha tenuto nascoste azioni detenute della Fasa, compagnia delle farmacie). Un uomo ricco, tanto ricco alla presidenza, insomma, quasi a rispecchiare l’immagine di un Paese che ha rafforzato il proprio benessere.
Molto è dovuto a una ricchezza trovata in casa, senza troppa fatica: il Cile è il primo produttore mondiale di rame e ha ricavato enormi introiti dalla crescita del suo prezzo che ha sostenuto le esportazioni. Idem per il litio, di cui il Cile detiene la quasi totalità delle riserve mondiali assieme a Bolivia e Argentina. Una dote che i vari governi cileni sono stati abili però a non dissipare, tanto da avere un debito pubblico ridotto appena all’11% del Pil. Un patrimonio che è stato convertito in investimenti sul futuro: il numero di scuole è cresciuto, la sanità è stata rafforzata. La maggioranza uscente di Concertacion por la Democracia non è però riuscita a capitalizzare questa base, convertendola in un candidato unitario. Una debolezza che affonda le sue radici nella peculiarità che fece nascere la Concertacion: alla caduta di Pinochet i 4 partiti di opposizione (cristiano-democratici, socialisti 'classici', socialisti del Ppd e radicali), temendo di non farcela contro Buchi, il candidato prescelto dal generale non più in carica, si coalizzarono alle prime elezioni (che vinsero con il dc Aylwin). A distanza di vent’anni, quella politica innovatrice ha esaurito la propria spinta e pare implosa fra le varie anime interne. Così, dopo i 4 anni della socialista Bachelet, i partiti hanno indicato per le primarie interne il democristiano Eduardo Frei, ingegnere di 67 anni che tenta un clamoroso bis: politico di solida formazione, è stato già presidente dal 1994 al 2000 con la più alta percentuale di voti nella storia cilena (il 63,4%), superiore persino alla presidenza di suo padre (è il quarto di 7 figli), a sua volta uscito vincitore nel 1964 dal duello con Allende e del quale un giudice ha appena qualificato come «omicidio» per avvelenamento la sua morte avvenuta nell’82, in era Pinochet. Davanti alla cattedrale di Santiago, i suoi sostenitori distribuiscono calendari 2010 e volantini che lo ritraggono sotto lo slogan
Vamos a vivir mejor , non esattemente plaudente dei risultati prodotti dalla coalizione che lo ha lanciato. Anche per questo alcune forze di sinistra, non condividendo le modalità di designazione di Frei, si sono riunite attorno a Enriquez-Ominami, che a sua volta tentò di presentarsi alle primarie della Concertacion. Respinto perché non appoggiato ufficialmente da nessuno dei 4 partiti, ha deciso allora di candidarsi alla presidenza alla testa del movimento Nueva majoria.
La storia di questo candidato ribelle è interessante, a partire dall’età (36 anni, è nato proprio nel ’73 e aveva 3 mesi all’epoca del golpe) e dal doppio cognome che sconta i suoi 2 padri: quello naturale, Miguel Enriquez, era un leader del Mir ( Movimiento de Izquierda Revolucionaria )
che fu ucciso in combattimento dal regime nell’ottobre ’74. A quell’epoca Marco con la madre giornalista era già in esilio a Parigi, dove fu adottato poi da Carlos Ominami, senatore socialista che ora è suo consigliere. Ovvio che tutta la 'vecchia guardia' post-rivoluzionaria simpatizzi per lui. Con un passato nel settore tv e video (ha anche sposato una conduttrice), forte nei sondaggi fra gli scolarizzati, meno nei ceti popolari, ha conquistato consensi cavalcando temi cari alla sinistra, ma al tempo stesso ha infranto alcuni dei suoi tabù: nella società statale del rame, per fare un esempio, sarebbe disposto a far entrare una piccola componente privata.
Quel che conta, tuttavia, è che non tutti gli elettori di Frei o di Ominami sarebbero disposti a votare al ballottaggio per l’altro candidato. Così, il Cile si avvia verso la fine di un ciclo. E promette di virare politicamente, segnando un’inversione di rotta rispetto al resto del Continente. Probabile alternanza, dopo vent’anni: comunque un trionfo della democrazia.
In controtendenza con il resto dell’America Latina il probabile avvicendamento alla Moneda, in una democrazia consolidata ormai da vent’anni.
Avvenire 9 dic. 2009