DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

La Natività secondo Giotto e il Ghirlandaio Quella scena che «chiede» di essere rappresentata

di Antonio Paolucci

"In quel tempo fu emanato un editto da Cesare Augusto per il censimento di tutto l'impero. Questo primo censimento ebbe luogo quando Quirino era governatore della Siria. Tutti andavano a iscriversi, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe salì dalla Galilea, dalla città di Nazaret, per recarsi in Giudea, nella città di Davide chiamata Betlem, perché egli era della casa e della famiglia di Davide, per farsi iscrivere con Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano là, si compirono i giorni in cui ella doveva partorire, e diede alla luce il figlio suo primogenito: lo avvolse in fasce e lo adagiò in una mangiatoia, perché nell'albergo per loro non c'era posto".
Colui che scriveva queste cose era un medico nativo d'Antiochia di Siria, di lingua e di cultura greche: Luca l'evangelista in poche righe ci dà il senso della storia, della "nostra" storia. Prima c'è l'impero disteso su tutta la terra e Cesare Augusto autocrate dei romani, poi Betlemme di Giudea sacra alla stirpe di Davide, infine c'è quel Bambino deposto in una mangiatoia perché non c'era posto per lui nell'albergo.
Dopo quel Bambino tutto è cambiato. La sua nascita ha mutato le regole del gioco, anzi ha rovesciato il tavolo del gioco. Tanto è vero che duemila anni dopo gli uomini e le donne del mondo - di ogni religione o di nessuna religione - misurano da quella nascita il tempo della loro vita. Io sono uno storico dell'arte e per me il racconto di Luca si moltiplica in una sterminata caleidoscopica foresta di figure. Quelle poche righe del terzo vangelo hanno incendiato il mondo di immagini perché è difficile pensare a un episodio più coinvolgente, più emozionante e quindi più "figurabile" di quello.
La nascita di Gesù chiede - anzi, esige - di essere resa visibile. Lo capì per primo san Francesco quando inventò a Greccio il presepio. Lo sanno bene quelli che moltiplicano ai quattro angoli del mondo le sacre rappresentazioni della Natività. Lo hanno sempre saputo gli artisti di ogni epoca e di ogni cultura che, con sensibilità, stili, registri espressivi infinitamente diversi, ci hanno consegnato la loro idea del Natale.
Dal repertorio immenso della storia dell'arte seleziono due immagini della Natività a me particolarmente care. Comincio da Giotto nella padovana Cappella dell'Arena. Giotto inaugura la lingua figurativa dell'Italia moderna. Sotto questo aspetto la sua importanza è paragonabile solo a quella che ha avuto Dante Alighieri nella creazione della lingua letteraria italiana. Dovessi stringere in una definizione sintetica l'arte di Giotto, direi che essa è la scoperta del vero nella certezza dello spazio misurabile.
Lo spazio, prima di tutto. Quella di Giotto non è ancora la prospettiva scientifica del Brunelleschi ma è già profondità, solidità, abitabilità. La Madonna che ha appena partorito e che adagia il figlio nella mangiatoia secondo il racconto dell'evangelista è coperta da una tettoia di legno dislocata in profondità. I pastori che si accostano al presepio, il san Giuseppe dormiente, gli angeli in volo che cantano le glorie dell'Atteso, sono figure reali che occupano concretamente lo spazio, esattamente definite dalla modulazione cromatica dell'ombra e della luce. Una specie di solenne classicità, grave e sintetica e allo stesso tempo fusa e melodiosa, caratterizza gli anni maturi di Giotto, all'altezza degli affreschi padovani.
L'altra novità rivoluzionaria del suo stile è rappresentata dalla scoperta del vero. Giotto individua e rappresenta - per la prima volta nella storia dell'arte italiana con tanta consapevolezza - il mondo della natura e quello degli affetti. Così il volto della Madonna in atto di deporre il neonato nella culla, esprime felicità, tenerezza, apprensione. Il Bambino stretto nelle fasce fissa la Madre in una specie di muto e affettuoso colloquio. Anche il bue alza lo sguardo verso l'alto per non perdersi la scena, mentre l'asino gira la testa a sinistra in una buffa torsione che serve a ben definire tuttavia il solido assetto del corpo. Le pecore e le capre allo stazzo, strette l'una all'altra per tenersi caldo, fanno un realistico assembramento che tradisce la consuetudine del pittore con lo studio diretto della natura.
Dopo quella di Giotto ecco la Natività pienamente rinascimentale - di un Rinascimento che definirei archeologico-sapienziale - dipinta da Domenico Ghirlandaio in Santa Trinita a Firenze. La pala, elogiata dal Vasari come capolavoro supremo del pittore e tale da "far meravigliare ogni persona intelligente", occupa il posto d'onore nella cappella affrescata dallo stesso artista con storie di san Francesco. Siamo nel 1485. Due anni prima era arrivato a Firenze, portatovi dal banchiere Tommaso Portinari, il trittico di Hugo Van der Goes oggi agli Uffizi. Il naturalismo fiammingo che in quell'opera si esprime al livello più alto, suggestionò profondamente l'ambiente artistico fiorentino.
Il primo a esserne colpito fu il Ghirlandaio, che in questo dipinto mostra di aver tratto notevole profitto dallo studio del suo collega del Nord Europa. E infatti il fiore di iris nella destra è una citazione diretta del Trittico Portinari. Allo stesso modo si ispirano alla "pittura della realtà" di Hugo Van der Goes, le fisionomie minuziosamente vere dei pastori, l'ombra del cardellino sulla pietra, la natura morta di umili oggetti sulla sinistra, il gioco sottile dell'ombra e della luce sul vello degli animali, sulla pelle e sulle vesti degli astanti. Ciononostante il Ghirlandaio resta un grande pittore italiano, anzi fiorentino, nel dominio della prospettiva, nel controllo dello spazio misurabile.
La sua Natività è ambientata in un nitido paesaggio di colline toscane. La valle che si vede sullo sfondo è quella dell'Arno, fitta di città e di torri, cesellata come un prezioso gioiello. Il classicismo rinascimentale si esprime nella scelta dell'ambiente. L'evangelica povertà del presepio si colloca in uno scenario di ruderi romani, fra sarcofagi sontuosamente iscritti e scolpiti, colonne scanalate, capitelli corinzi e archi trionfali attraversati dalla cavalcata dei Magi. Tale iperbolica scenografia antico romana non vuole essere soltanto un generico omaggio al mondo classico. Essa ha un preciso significato simbolico. I ruderi archeologici sono emblema del mondo antico che la nascita di Cristo rinnova.
Ghirlandaio, certo consigliato da teologi e umanisti, sviluppa il concetto e lo mette in figura con straordinaria efficacia. Perché il sarcofago romano che funge da culla per il piccolo Gesù porta iscritta la profezia dell'augure Fulvio vissuto al tempo di Pompeo e morto a Gerusalemme.
Dalla sua tomba sarebbe nato un dio; così aveva profetizzato il sacerdote pagano. In tale prefigurazione, il riferimento a Cristo vittorioso del mondo antico è evidente. Con la nascita del Salvatore si conclude il tempo dell'Attesa. L'evento annunciato a Cesare Augusto dalla Sibilla Tiburtina, secondo la celebre egloga iv di Virgilio, si è finalmente realizzato. Nella grotta di Betlemme il mondo gira sul suo asse. Con la nascita di Cristo si è aperta una nuova epoca nella storia degli uomini. Questo è il messaggio che, dopo cinque secoli, ci arriva dalla Natività del Ghirlandaio.



(©L'Osservatore Romano - 27-28 dicembre 2008)