di Antonio Paolucci "In quel tempo fu emanato un editto da Cesare Augusto per il censimento di tutto l'impero. Questo primo censimento ebbe luogo quando Quirino era governatore della Siria. Tutti andavano a iscriversi, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe salì dalla Galilea, dalla città di Nazaret, per recarsi in Giudea, nella città di David chiamata Betleem, perché egli era della casa e della famiglia di David per farsi iscrivere insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano là, si compirono i giorni in cui ella doveva partorire, e diede alla luce il figlio suo primogenito: lo avvolse in fasce e lo adagiò in una mangiatoia, perché all'albergo per loro non c'era posto" (Luca, 2, 1-6).
Colui che scrive queste cose era un medico nativo di Antiochia di Siria, di cultura e di lingua greca. Noi lo conosciamo come Luca l'evangelista. Nella sua elegante semplicità il passo del terzo Vangelo è bellissimo. In poche righe ci dà il senso della storia, della "nostra" storia.
Prima c'è l'impero disteso su tutta la terra e Cesare Augusto autocrate dei romani, poi Betleem di Giudea sacra alla stirpe di David, infine c'è quel Bambino deposto in una mangiatoia perché non c'era posto per lui nell'albergo.
Dopo quel Bambino tutto è cambiato. La sua nascita ha mutato le regole del gioco, anzi ha rovesciato il tavolo del gioco. Tanto è vero che due millenni dopo gli uomini e le donne del mondo (di ogni religione o di nessuna religione) misurano da quella nascita il tempo della loro vita.
Bisogna riconoscere che Luca è uno sceneggiatore formidabile. Prima ci sono riferimenti storici grandiosi e maestosi (l'impero dei romani, Cesare Augusto, il seme di re David) poi il racconto precipita, con un ossimoro fulmineo nel gelo di una notte di inverno, in una stalla e in una mangiatoia.
Ancora non ci sono l'asino e il bue. Entreranno nell'iconografia del presepio secoli dopo a rappresentare la Chiesa ex Lege (gli Ebrei) e quella ex gentibus (tutti gli altri), entrambe presenti alla culla del Salvatore.
Ci sono però i pastori. Scrive infatti Luca: "Vi erano in quella regione dei pastori che pernottavano in mezzo ai campi per far la guardia al proprio gregge. Ora, un angelo del Signore li avvolse di luce, sicché furono presi da un grande timore. Ma l'Angelo disse loro: Non temete, ecco io vi porto una lieta novella che sarà di grande gioia per tutto il popolo; oggi vi è nato nella città di David il Salvatore che è il Messia, il Signore. Questo vi servirà di segno: troverete un bambino avvolto in fasce adagiato in una mangiatoia" (Luca, 2, 8-12).
Queste righe dell'evangelista si affidano a tre immagini indimenticabili: la luce che splende nella notte, la gioia che scalda il cuore degli uomini, la povertà del luogo e della situazione.
Utilizzando questi elementi iconografici gli artisti dell'Europa cristiana hanno regalato al mondo la poesia in figura. C'è tutto quello che serve per fare poesia nel racconto di Luca e degli altri evangelisti: la gloria dell'Atteso, la magia della Santa Notte, l'annuncio angelico, la felicità dei pastori, il freddo dell'inverno, il tepore degli animali, la gioia e l'orgoglio di una mamma che ha partorito un bambino bellissimo. L'artista doveva solo inserire in questa trama splendente il suo talento, la sua fantasia, la sua emozione, la sua fede, assieme ai caratteri distintivi dello stile, assieme alla cultura figurativa e alla sensibilità religiosa della comunità ecclesiale di appartenenza, assieme ai valori identitari della città e della patria.
Il risultato sono i capolavori che popolano le antiche chiese e i musei del mondo. Io, storico dell'arte, fra le innumerevoli opzioni possibili, scelgo quattro dipinti, quattro antiche rappresentazioni del Natale, due di area nordica, due italiani.
Cominciamo dal trittico degli Uffizi che, dal nome del suo committente, è conosciuto come Portinari. Fu dipinto da Hugo van der Goes, famoso pittore fiammingo del Quattrocento per il fiorentino Tommaso Portinari, agente del Banco Mediceo sulle piazze del nord Europa.
È un trittico, grande perché doveva stare sull'altare di una chiesa. È ad ante pieghevoli, dipinte a grisaille sul retro. Quando le ante sono chiuse, presentano l'immagine dell'Annuncio a Maria. Il trittico spalancato racconta il mistero vertiginoso del Natale. Dio è nato e anche se è inverno e i rami degli alberi si ritagliano neri e spogli contro il cielo, questo è un giorno di sole, di atmosfera tersa e luminosa. Perché Cristo è lux mundi, l'universo lo accoglie come si accoglie il sorgere del sole. La mattina di Natale è la prima mattina di primavera. Ma chi c'è ad adorare da Dio che è nato? C'è la sua mamma, la Vergine Maria, c'è san Giuseppe, ci sono gli angeli che portano vesti sacerdotali e officiano, con compunta gravità, il rito della adorazione eucaristica. Infatti tutti gli astanti sono consapevoli che quell'esserino nudo depositato per terra dove splende in un piccolo lago d'oro, è Dio onnipotente ed eterno.
Poi ci sono i pastori. Il Vangelo dice che furono i pastori, gli ultimi sulla terra, a rendere omaggio per primi a nostro Signore. Hugo van der Goes che era uomo di fede e di chiesa, volle interpretare alla lettera il senso del messaggio evangelico. I suoi pastori sono pastori veri, sono mandriani venuti dalle valli dello Hainant e del Brabante, sono poveri uomini segnati dalla miseria e dalla fatica. Rozzi e incolti non sanno dove mettere le mani né come togliersi il cappello. Eppure per loro è il Regno. Nelle ante laterali del trittico ci sono i committenti, Tommaso Portinari con la moglie e i figli, accompagnati alla contemplazione della Natività dai loro santi protettori. Al Natale di Cristo dell'anno 1483, una famiglia italiana che conosceva il mondo e aveva vissuto all'estero, offre sé stessa, presenta il tesoro dell'amore coniugale e dei sentimenti condivisi.
Un altro Natale commovente è quello messo in figura da Geertgen Tot Sint Jans (circa 1460-1490), un pittore che visse e lavorò in Olanda concludendo la sua breve esistenza come fratello laico nel convento di San Giovanni in Harlem. Il suo capolavoro assoluto è la Natività della National Gallery di Londra, il primo vero "notturno" nella storia della pittura europea. Se osserviamo il dipinto con qualche attenzione ci accorgiamo che due sono le fonti luminose, una esterna, l'altra interna. C'è, sullo sfondo, l'angelo che scende dal cielo nero come un meteorite e incendia la notte sopra il sonno dei pastori. C'è, all'interno della capanna, il Bambino Gesù che dalla sua culla illumina di sotto in su i protagonisti del presepio.
Dalla coesistenza e dal contrasto fra le due sorgenti di luce nascono effetti singolari che alterano la prospettiva, esaltano e deformano alcuni particolari, ne annullano altri. Gli angeli bambini si affollano in punta di piedi intorno alla culla, anche loro abbacinati da quel miracoloso chiarore. Uno di loro, il più piccolo, spalanca le braccia in un gesto di meraviglia. Gli altri se ne stanno assorti; a mani giunte come se fossero pronti a recitare la filastrocca di Natale. Tutto intorno c'è il grande buio della notte che avvolge il destino degli uomini. Per fortuna è nato Gesù che è "luce del mondo". Geertgen il piccolo frate di San Giovanni in Harlem, ce lo fa capire come pochi hanno saputo prima e dopo di lui.
E ora due Natali italiani. Il primo è il Presepio in affresco che Giotto dipinse nel ciclo della Cappella degli Scrovegni a Padova. Giotto inaugura la lingua figurativa dell'Italia moderna. Sotto questo aspetto la sua importanza è paragonabile solo a quella che riveste il contemporaneo Dante Alighieri per quanto riguarda la lingua e la letteratura. Dovessi stringere in una definizione sintetica l'arte di Giotto direi che essa è: "la scoperta del Vero nella certezza dello spazio misurabile".
Lo spazio, prima di tutto. Quella di Giotto non è ancora la prospettiva scientifica del Brunelleschi ma è già profondità, solidità, abitabilità. La Madonna che ha appena partorito e che adagia il figlio nella mangiatoia secondo il racconto dell'evangelista (Luca, 2, 7) è coperta da una tettoia di legno dislocata in profondità. I pastori che si accostano al presepio, il san Giuseppe dormiente, gli angeli in volo, sono figure reali che occupano concretamente lo spazio, esattamente definite dalla modulazione cromatica dell'ombra e della luce. L'altra novità rivoluzionaria del suo stile è rappresentata dalla scoperta del Vero. Giotto individua e rappresenta - per la prima volta nella storia dell'arte italiana con tanta consapevolezza - il mondo della natura e quello degli affetti.
Così il volto della Madonna in atto di deporre il neonato nella culla esprime felicità, tenerezza, apprensione. Il Bambino stretto nelle fasce, fissa la Madre in una specie di muto colloquio. Anche il bue alza lo sguardo verso l'alto per non perdersi la scena, mentre l'asino gira la testa a sinistra in una buffa torsione che serve a ben definire tuttavia il saldo assetto del corpo. Il Natale di Giotto si colloca nell'ordine classico, insieme naturalistico e razionale, della tradizione figurativa italiana.
Anche gli animali sono comprimari del Natale. Anch'essi si emozionano e forse parlano, quella notte, come racconta una leggenda antica diffusa in tutta Europa. Ce lo fa capire Jacopo da Ponte detto "il Bassano" in un quadro datato al 1568 conservato nel Museo Civico della città che al pittore ha dato il nome.
Jacopo Bassano è un grande animalista e l'occasione di presentare all'adorazione del Bambino i pastori assieme alle loro bestie deve essergli piaciuta molto. Così si spiega il realistico e allo stesso tempo poetico campionario delle creature di Dio che rendono omaggio al loro Signore.
Se gli uomini si inginocchiano, gli animali chinano la testa di fronte alla Vergine che solleva il velo con orgogliosa trepidazione per mostrare il piccolo bambino addormentato. China la testa la pecora che per essere simbolo di mitezza ha il privilegio di collocarsi più vicina a Nostro Signore. China la testa la grande mucca fulva un poco intimidita, tanto è vero che il suo padrone la sollecita ad andare avanti. China la testa il grosso cane buono e feroce abituato a vigilare il gregge e ad azzuffarsi coi lupi. Come si può capire dal collare chiodato. Nella Notte Santa anche gli animali partecipano del mistero del Natale. Questo ci racconta Jacopo da Ponte detto il Bassano.
(©L'Osservatore Romano - 31 dicembre 2009)