Roma. Il “no” ai minareti sancito in Svizzera da un referendum
è per i vescovi elvetici – il giudizio è stato ribadito
ieri anche da monsignor Antonio Maria Vegliò, presidente
del Pontificio consiglio per i migranti – “un duro
colpo alla libertà religiosa e all’integrazione”. Dunque
“un segnale negativo”. Significa che per la chiesa cattolica
si devono concedere all’islam i luoghi in cui pregare,
nonostante nei paesi musulmani la medesima libertà non
venga concessa ai cristiani? “Perché no?”, è la risposta
che dà al Foglio padre Giovanni Sale, gesuita, redattore
storico della Civiltà cattolica. Padre Sale, che all’islam ha
dedicato un recente libro – “Stati islamici e minoranze
cristiane” (Jaca Book, 2008) – dice anche di più: “Ogni credente
dovrebbe mobilitarsi per garantire a tutti il diritto
di pregare in qualsiasi posto”. E il principio di reciprocità,
più volte auspicato da Benedetto XVI? “Il Papa ha
auspicato che il principio di reciprocità venga messo in
pratica. L’auspicio è rivolto ai governi degli stati, ma non
è uno dei presupposti che la dottrina cattolica pone quando
parla di dialogo interreligioso. La chiesa si rifà agli insegnamenti
del Concilio Vaticano II e lì la parola reciprocità
non ricorre mai. Certo, sarebbe buona cosa che gli stati
si accordassero per lasciare piena libertà d’espressione
religiosa a tutti. Ma è materia che attiene il diritto pubblico
internazionale e non il dialogo tra fedi diverse”.
Dottrina o meno, resta il fatto che le proteste degli islamici
che non possono avere i minareti in Svizzera – Al Jazeera
ha parlato ieri di “shocking result” a proposito dell’esito
del referendum – stridono con le persecuzioni a cui
sono sottoposti i cristiani in certi paesi. Oppure no? “Non
metto in dubbio che in alcuni paesi musulmani i cristiani
soffrono, ma a maggior ragione un cristiano deve battersi
perché ai musulmani venga concessa piena libertà d’esercizio
della propria fede. Solo così è possibile e ammissibile
chiedere libertà in casa loro. E poi: che paura fa un
uomo che prega?”. In che senso? “Il voto in Svizzera mi
sembra dettato dalla paura dello straniero. Ma che paura
può fare un uomo che prega?”.
Padre Sale ricorda che anche a Roma c’è una moschea.
E’ stata costruita col beneplacito di papa Paolo VI. Già,
eppure vi sono alcuni paesi arabi nei quali di chiese cattoliche
non ve n’è neppure una: “Ripeto – dice –, questo è
un problema diplomatico non religioso. Un problema grave,
ma che non giustifica la non concessione in Europa di
luoghi di culto ai musulmani. Cristiani e musulmani hanno
molto da darsi: anche Benedetto XVI in Terra Santa ha
usato parole nuove verso i musulmani. E ha ribadito come
alla base del dialogo debbano esserci le questioni inerenti
la vita, la conezione dell’uomo e della persona, non
dunque anzitutto questioni cosiddette di reciprocità”.
Gli articoli pubblicati sulla Civiltà cattolica sono generalmente
sottoposti alla revisione della segreteria di Stato
vaticana. Prima di Giovanni XXIII invece, era direttamente
il Papa che leggeva i testi e dava il proprio benestare
o censurava. Insomma, ciò che padre Sale scrive, come
ciò che scrive ogni gesuita sulla rivista, si ritiene goda
dell’imprimatur vaticano. In un saggio dedicato a islam e
democrazia uscito recentemente, padre Sale espone in
merito tre tendenze che vanno per la maggiore in occidente:
quella degli ottimisti, quella dei pessimisti e quella degli
scettico-possibilisti. “Vi sono – spiega padre Sale – gli
ottimisti gradualisti che si rifanno allo storico di Princeton
Bernard Lewis, poi gli ottimisti realisti, decisi a impiantare
la democrazia nei paesi musulmani, eppure
pronti anche ad allearsi con regimi dispotici amici. Quindi
ci sono i pessimisti che, sulla scia di Samuel Hungtington,
non vedono possibilità di congiunzione tra islam e democrazia.
Infine vi sono i possibilisti per i quali il modello
della democrazia può nascere nei paesi musulmani solo
se non viene esportata”. Padre Sale appartiene a questi
ultimi? “Esatto: è così che islam e democrazia possono
incontrarsi”.
Il Foglio 1 dicembre 2009