Ci si ostina a definire la Ru486 una medicina
o, a scelta, un farmaco. A proposito
del metodo Karman, utilizzato in
Italia in due interruzioni volontarie di
gravidanza su tre, si afferma che esso consiste
nell’aspirare il “contenuto” dell’utero.
Manuali, rubriche, blog di medicina e
naturalmente medici: tutti incapaci di
chiamare embrione l’embrione e feto il
feto, quando si parla di aborto. Ma in compenso
tutti a definire la Ru486 un farmaco.
Un farmaco che consente di ripulire
l’utero del suo contenuto. Semplice e asettico.
Se le parole hanno un senso, il succo
dell’aborto è esattamente questo: liberare
con un farmaco l’utero da un contenuto
non desiderato. A proposito delle ultime
vicende riguardanti il Senato, che ha rimesso
l’introduzione della Ru486 al parere
del governo, ci si chiede, grosso modo e
con toni variamente scandalizzati, come
sia possibile lasciare alla decisione della
politica una valutazione che non può che
essere della medicina. O, ancor più generalmente,
come possa la politica sostituirsi
alla scienza. Dal che si desume che, se
tutto a questo mondo è fallibile, invece
proprio la scienza, e segnatamente la biologia,
non può fallire. Infallibile per definizione
(Popper avrebbe qualcosa da
obiettare).
Il fatto è che quasi tutti i commentatori
la buttano, magari non accorgendosene
neppure, sul piano ideologico. Ragionano
per punto preso. E’ un’emerita favola, per
esempio, che l’efficacia della Ru486 sia
superiore a quella del metodo Karman. Il
metodo Karman non ha mai ucciso alcuna
donna. Sulla Ru486 i dati sono contraddittori,
è vero: ma che un certo numero di
donne che l’hanno utilizzata ci abbia lasciato
la pelle è un dato sicuro, accertato
e documentato. In Italia, oltre il 91 per
cento degli interventi per l’interruzione di
gravidanza implica una permanenza in
ospedale inferiore a una giornata. Quasi il
98 per cento dà luogo a una permanenza
che non eccede le ventiquattr’ore. Sono
trattenute in ospedale per poco più di un
giorno quelle due donne su cento per le
quali si verificano modesti inconvenienti
(piccole emorragie e, in meno di due casi
su mille, un’infezione). E’ difficile leggere
in queste cifre chissà quali traumi derivanti
dall’intervento chirurgico. La Ru486
farà meglio di così? Sicuramente no. Quasi
sicuramente farà peggio, e neppure di
poco. Del resto, se i suoi risultati fossero
indiscussi, essa avrebbe trovato ben altro
seguito, mentre invece rimane una metodologia
minoritaria anche dov’è ammessa.
Quali effettivi vantaggi per la salute
della donna? Non se ne vedono, per il
semplice motivo che non ce ne sono. Non
c’è alcun vero, effettivo vantaggio per la
salute della donna. L’unico, se tale lo si ritiene,
sta nella relativa “comodità” del
metodo, un autentico usa e getta. Che giustamente
in Italia ci si rifiuta di accettare
come tale. Non solo perché contrasta
con la 194, che implica la protezione delle
strutture sanitarie per tutto il tempo
necessario a verificare che la donna stia
bene e non corra rischi. Ma anche perché
il riconoscimento di una filosofia ultrafacilitante
l’aborto si è ben visto dove ha
portato i paesi laddove ha messo radici: a
più aborti, segnatamente di ragazzine e
adolescenti.
Conosco l’obiezione. Isabella Bossi Fedrigotti
argomenta in proposito: “Che l’aborto
sia scelta estrema e infelicissima, lo
sanno quasi tutti, ed è difficile credere
che una pillola la renderà meno luttuosa”.
E continua: “Certo ci saranno delle
scervellate che vi ricorreranno come tragicamente
inappropriato mezzo anticoncezionale,
però, inutile negarlo, le scervellate
già ci sono e non hanno aspettato
la Ru486 per diventarlo”. Un’obiezione
facile quanto illusoria. Non sono alcune
sporadiche scervellate, come la Fedrigotti
lascia benevolmente intendere, a considerare
l’aborto un “inappropriato mezzo
anticoncezionale”, se 27 donne su cento
di quante ricorrono all’Ivg già sono
passate una o più volte da quella “scelta
estrema e dolorosissima”, se questa proporzione
non si abbassa di una virgola
nel tempo (semmai cresce) e se, infine, supera
quota 21 anche tra le italiane (arriva
a 38 su 100 tra le immigrate). Ancora poca
cosa rispetto a Svezia e Olanda, dove le
“scervellate” sono 37 su cento. Plotoni di
scervellate.
Ora, io sono a favore della legalizzazione
dell’aborto. Se non ci fosse avremmo
un’area di aborti clandestini decisamente
superiore a quella odierna. Trovo peraltro
che la 194 sia fatta male e non abbia
affatto il suo “cuore” nelle strategie e nelle
misure per scoraggiare l’aborto. Ma gradirei
tanto che si potesse parlarne fuori
dagli schemi buonisti e ideologici. Gli
stessi che fanno sì che invece di mettere
mano a un miglioramento legislativo o almeno
a una migliore applicazione della
194, affinché trovi il suo cuore nell’evitare
più che nel fare gli aborti, si insista, ideologicamente
appunto, su una pillola, la
Ru486, che – beffa estrema – oltretutto non
comporta alcun vantaggio per la salute
della donna.
Il Foglio 1 dicembre 2009
Roberto Volpi