Tra le molte rivisitazioni del Natale fatte da artisti di ogni tempo, ve n'è una che mette a fuoco con particolare efficacia il "materializzarsi" del Mistero dentro l'umile Presenza di un Bimbo. L'autore, Georges de La Tour, un caravaggista e luminista francese, ignorando l'ampia prospettiva in cui l'evangelista Luca colloca il racconto della Nascita del Salvatore, serra i confini della sua narrazione pittorica entro l'antro oscuro della grotta di Betlem.
Dallo sfondo bruno emergono le figure di Maria, Giuseppe e dei pastori avvolti nei toni caldi del marrone, nel rosso infuocato, nei giochi di luce prodotti da una tremula fiamma.
I pastori e la levatrice ci stanno di fronte. Sono giunti lì di corsa, senza indugio, ma ora si sono come arrestati di fronte all'indicibile mistero che anima quel luogo, quel Bimbo.
Il pastore più nascosto è un sognatore, tiene un flauto tra le mani e solleva stupito la tesa del cappello. Là fuori ha lasciato i suoi sogni, le sue speranze, l'attesa di un futuro immaginato. Ora, con quel gesto sembra allontanare tutto c'è un Presente qui, che azzera ogni desiderio, ogni attesa. Questo pastore, proprio perché nascosto, dà profondità alla scena, la luce gli bagna appena il volto rivelando la gioia profonda che, ormai, lo abita. Egli sembra dire: "Sono chiamato ad un'avventura della quale sono protagonista, ma non artefice. Sono parte di un disegno immenso il cui architetto ha il trono nel Cielo, ma veste, sulla terra, gli umili panni di un Bambino". Fidarsi della debolezza - questo dice a noi - ardire, osare, giocarsi nel rischio della fede. Offrire a Dio tutte le proprie risorse, la propria inventiva, senza reticenze, né malizia, orgoglio o strapotere, ma con l'abbandono docile nelle sue mani. Lo stesso abbandono che ha quel flauto nelle sue mani di giovane pastore perché il vento dello Spirito divino suoni anche in noi melodie nuove e di salvezza.
L'altro pastore è pensoso, egli ha lasciato là fuori la preoccupazione delle greggi abbandonate, del fuoco che minaccia di spegnersi, dell'albeggiare che invita a riprendere il cammino. Col pugno serra forte il suo bastone e ha portato con sé l'agnello più piccolo del gregge: egli è consapevole del suo essere pastore, sa quanto la sua guida sia fragile e la cura del gregge insufficiente alle reali necessità che il gregge stesso richiede. Forse ha avuto qualche timore ad abbandonare il posto di guardia e a gettarsi in questa corsa alla sequela dell'annuncio angelico. Lui così concreto, così avvezzo ad assumersi per intero le sue responsabilità, si è sentito un po' a disagio prima di varcare quella soglia. Ma ora anche lui è lì assorbito da quella luce soprannaturale, eppure vera. Davanti a lui c'è una guida più sicura dell'antico rotolo della legge, c'è una luce più luminosa della torà. Il Dio pastore è qui: chi potrà smarrirsi? Egli non ha mandato angeli o profeti, ma è venuto lui stesso ad abitare nelle nostre tenebre.
La levatrice non sa cosa guardare, se la sua ciotola d'acqua inusata o quel bambino prodigioso venuto al mondo senza aiuto, senza doglie di parto, ma in un estasi di luce. È una donna curata, capace, la si vede nel suo abbigliamento preciso dove nulla è lasciato al caso. Forse avrà sentito compassione per quei due sposi erranti, senza alloggio sicuro; avrà temuto per quella giovane madre, sicuramente al suo primo parto e si sarà precipitata generosa nella grotta con l'acqua calda per il parto e il peso della sua esperienza. Ora, però, giunta qui, si scopre inutile, scopre che l'opera di quella giovane sposa è di altro spessore rispetto alla sua, che quel bambino la costringe a perseguire un'esperienza di altro genere, di altra natura, di altro segno. Il cuore, allora, le si riempie di dolcezza perché comprende di essere chiamata, anch'ella, ad un'altra maternità. La sua ciotola d'acqua si fa leggera e, benché non più necessaria, non è inutile, essa è il segno della sua risposta a una chiamata che l'ha sorpresa attenta, pronta, vigilante, per quanto inconsapevole. Come i pastori.
Questa donna ci insegna a mettere tutto di noi nelle cose che facciamo, che ci vengono richieste, consapevoli però che le nostre opere sono riempite da un Altro.
Giuseppe chiude il quadro e ci fa ombra, tiene tra le mani una candela che è segno dell'unica luce che può illuminare il Mistero di quel bambino: la luce della fede. Egli sa di non essere, solo quel Bimbo è. Copre persino la fiamma della candela con la mano perché una sola è la luce che deve colpire lo sguardo dell'osservatore: quella di Gesù, l'unica capace di illuminare ogni uomo.
Maria è la più solitaria del gruppo. Apre la scena da sinistra, ma non ha un atteggiamento materno, è ben diversa da un'altra "Madre" dipinta dallo stesso La Tour. Non tiene il bambino fra le mani ed è in atteggiamento ieratico, sacerdotale. Le sue mani anzi, gettano sull'abito un'ombra che assume la forma delle ali di una colomba. Sono le ali dello Spirito Santo che la inabita, unico autore di quell'evento miracoloso. E lei, la Madre, è tutta compresa della grandezza del Mistero che Dio ha compiuto nella sua vita e ha il presentimento del carico di dolore che un simile amore per l'uomo comporterà al suo Dio Bambino.
Questo dice il suo abito rosso, lavato già nel sangue dell'Agnello. L'abito di peccato che lei - sia pure senza macchia - accetta di portare con il Figlio: "se anche i vostri peccati fossero come scarlatto diventeranno bianchi come neve". E questo candore promesso dal profeta si registra intenso nel Divino Infante.
Gesù è il centro di tutto, è da lui, e non già dalla candela di Giuseppe, che sprigiona la vera luce del quadro. Attorno a lui ruotano tutti i volti e tutti simboli del dipinto. Egli è bambino, eppure già dormiente nel sonno della morte; è neonato, eppure già avvolto nelle bende e in un sudario, umile promessa di risurrezione.
Tutta la fede della Chiesa, tutta la nostra fede è registrata qui, puntualmente da de La Tour: nel bastone del primo pastore si scorge il simbolo di Cristo, vero Pastore dell'umanità, nel flauto del secondo il canto di speranza che Cristo è venuto a portare, nell'acqua della levatrice, le acque lustrali della Madre Chiesa in cui rinascono a vita nuova i figli di Dio, nella candela di Giuseppe la fede dei credenti, nell'abito di Maria la chiesa sorretta e guidata dall'Amore, che è lo Spirito Santo, dentro gli infuocati panorami della storia.
Tutti ruotano attorno a Gesù, ma Gesù è rivolto verso di noi. La Tour non ha voluto che ci trovassimo, noi osservatori, dalla parte dei pastori, non ci ha voluto neppure dalla parte di Maria, ma ci ha costretti lì, appena dietro a Giuseppe, dietro cioè la tremula luce della fede. É da qui che siamo invitati ad inchinarci e adorare.
L'autore togliendo ogni segno religioso esterno, ogni altro elemento di disturbo, ambientazione, asino o bue o vistosa paglia, ci costringe a scandagliare dentro il nostro cuore e ad immedesimarci ora nell'uno e ora nell'altro dei personaggi qui descritti, ad interrogarci su come la luce di questa Presenza investe la nostra vita e la governa.