GIOVANNI BONANNO
Sorprendente il Vaticano II che chiama il mondo della cultura e dell’arte al dialogo al fine di ristabilire rapporti e contribuire insieme alla crescita dell’uomo. Paolo VI, nel 1964, accoglie nella Sistina una folla di artisti ai quali, dopo aver chiesto perdono per le incomprensioni, rivolge l’invito ad essere amici sentendoli « poeti e profeti » del Vangelo. Con rinnovato slancio Giovanni Paolo II, nel 1999, scrive loro ricordando che arte e chiesa hanno un comune destino.
All’amicizia dei due pontefici gli artisti rispondono con generosità sognando una rinascita della bellezza dentro il perimetro liturgico. Ma il sogno presto svanisce.
Qualcosa ostacola l’ingresso degli artisti nel santuario della Ecclesia. Di questo problema si rende conto Benedetto XVI, il quale intende riaprire le porte all’intelligenza immaginifica.
L’incontro del 21 novembre tra papa e artisti ridesta entusiasmo. Ancora una volta i « custodi della bellezza » sperano che la chiesa li sostenga consentendo loro di essere artefici di opere moderne, espressive di una sensibilità inedita. Molti artisti si domandano perché le parole del Concilio e dei papi non fanno breccia nell’azione del clero. Alcuni restano sconcertati. Indubbiamente vescovi e parroci percepiscono
Benedetto XVI incontra gli artisti
il senso del messaggio, ma non riescono a tradurlo. Sembra che abbiano difficoltà a comprendere la valenza formale dell’arte contemporanea, giudicata estranea alla vita religiosa.
Preferiscono linguaggi codificati sostenendo la realizzazione di opere strutturalmente obsolete.
Qualcuno dichiara, addirittura, che la modernità tradisce la storia, dimenticando che gli artisti sono stati sempre innovatori non compresi. Il problema esiste. La soluzione è possibile. Bisogna andare alle radici. Si tratta di concepire una formazione idonea del clero che non può essere puramente teologica, ma aperta alla cultura contemporanea. Si richiede non una conoscenza generica, ma uno studio articolato secondo processi diacronici ed ermeneutici che consentano di penetrare gli sviluppi formali in rapporto alle tensioni storiche, sociali ed estetiche. È nelle facoltà teologiche la soluzione, affidata a specialisti capaci di comunicare criticamente la complessità di forme che, come epifanie, svelano il mistero della bellezza e della fede. Ai futuri preti è richiesta una visione profonda della civiltà odierna.
Ma perché ciò si verifichi occorre che università e istituti ecclesiastici formino i sacerdoti di domani alla visione dell’arte e della sua sacralità, traducendo in sistema scientifico il messaggio conciliare e dei pontefici. Solo così sarà possibile agli artisti entrare nelle chiese e dar vita, con la partecipazione degli stessi presbiteri, a capolavori che testimonino l’incarnazione della Parola nel XXI secolo.
Avvenire 16 dic 2009