Alla vigilia della Solennità dell'Immacolata mi vengono in mente le parole di Ann-Marie MacDonald autrice di “Come vola il corvo”, romanzo di alcuni anni fa, incentrato su un modello aperto di famiglia, i Froelich: cinque figli adottati, e molto amati. La protagonista, Madeleine, sceglie di vivere con una donna... Rispondendo alla domanda su cosa fosse per lei la famiglia l'autrice rispose di pensare che "la famiglia nucleare sia un’invenzione della metà del secolo scorso, fatta proprio in Nord America. Una trasformazione che si è voluta far passare per naturale ma che in realtà non lo è. Le famiglie che presento nelle mie storie hanno tutte qualcosa in comune: amore, dedizione, impegno. Questi elementi sono per me già sinonimo di famiglia". (Il Messaggero 29 novembre 2004).
Avere "qualcosa in comune". E tanto basta. "Valori" che coinvolgono, "consumano" la vita, per usare un'espressione della stessa autrice. "Qualcosa", ma non "qualcuno". La differenza è abissale. Questa superficialità mascherata è la sabbia su cui si posa la globalizzata società d'inizio millennio. Dove anche le persone, quelle con cui si vive e per cui si vive, rientrano, "naturalmente", tra i "qualcosa in comune". Vi è, incancellabile, anche nell'uomo di oggi, un profondo desiderio di amare e di donarsi. Il demonio come al solito ha mascherato la realtà, ha "deviato" il cammino e ridefinito l'obiettivo. Qualcosa. Come dire mangio qualcosa, bevo qualcosa, faccio qualcosa. Amo qualcosa. Come la fede in "qualcosa" e non in "qualcuno", in un partito, in un ideale, in una squadra di calcio. E anche quando si sposta sul "qualcuno", è sempre così vago e sconosciuto da diventare presto un "qualcosa". "Me stesso", il "compagno", la "fidanzata", gli "amici", l'"embrione", il "diverso". Qui si gioca il dramma di questa epoca, frantumata in innumerevoli e indefiniti "qualcosa", molto più malleabili, addomesticabili. Sostituibili.
E' più semplice lasciare "qualcosa", dimenticare "qualcosa", buttare "qualcosa". Al massimo un "qualcosa" su mille può aspirare a diventare un feticcio, un simulacro, un totem, un idolo. E allora si tramuta in aguzzino feroce che trasforma chi lo "possiede" - oops, brutta parola, ma è il destino d'ogni "qualcosa" - in uno schiavo del tutto simile al proprio idolo. Che ha bocca ma non parla, ha orecchie ma non ode, ha mani ma non palpa. Non ha mente e non ha cuore. E' un peluche, o poco più. Non è di fronte ma sempre tra le mani, non interpella mai fino in fondo, non chiama. E' una proiezione. E' il destino di questa generazione, orfana di "qualcuno", che ha paura di guardare il passato, considerato un'invenzione borghese, che non ha radici.
Una generazione che per la paura di soffrire si abbandona a "qualcosa", consegna la propria vita a "qualcosa", in fondo sempre sulla difensiva. La famiglia è "qualcosa", e può essere dipinta con i colori che preferisco, la vita stessa è "qualcosa" da vivere seguendo i miti e le pulsioni del momento. E dove appare la sofferenza darsela a gambe, alla ricerca d'altri "qualcosa".
Mi vengono in mente le parole di Bernadette quando descriveva la Donna che le appariva a Massabielle: "Aquerò", "quella lì", una parola molto simile a "qualcosa", indefinita. Ma era una Donna, era Maria, e le indicava di scavare e cercare acqua. E sporcarsi. E Bernadette si è messa a scavare, è stata derisa dal principio delle visioni sino alla sua morte. Ha scavato e ha trovato. L'acqua della Vita. Maria, "Aquerò", l'aveva condotta al segreto nascosto agli angeli, alla perla preziosa, al tesoro, alla felicità incorruttibile. L'aveva condotta a "Qualcuno". A Cristo. Una ragazza semplice, ignorante, lontana dagli agorà culturali della tronfia Francia dei salotti e dell'anticlericalismo di fine '800. Ha scavato e ha trovato. "Aquerò" era Maria di Nazaret, e l' "acqua", quel "qualcosa" indispensabile alla vita, era Cristo. E su quella piccola fonte sono giunti pellegrini milioni di persone da tutto il mondo. Malati e sani, giovani e vecchi, tutti trasformati da quell'incontro.
Questa generazione dissipata dalle menzogne, incatenata da falsi miti e ideologie bislacche, costretta a guardare in basso verso un "qualcosa in comune", abbozzi abortiti di vero amore, questi ragazzi reali e vivi di oggi hanno bisogno di un incontro. Urgente bisogno di qualcuno. Di Cristo. L'unico che svela pienamente l'uomo all'uomo, che lo fa persona, capace di amare, di essere. Di perdere la vita. Per una famiglia, che non è solo avere "qualcosa in comune", ma molto di più. e di più bello. Essere uno in "Qualcuno", una sola carne in Cristo, e donare la vita, in due, diversi eppure uno, uomo e donna eppure un unico corpo nella stessa vita di Dio, attraverso la carne di Cristo. No, non sono parole, è il segreto della felicità, della verità che libera e fa felici. Essere quello per cui si è nati.
Parlavo ieri con un'amica madre di nove figli e mi raccontava come le fosse impossibile avere una propria vita. I figli le strappano anche i secondi, il più piccolo si intrufola persino in bagno. "Non ho tempo per fare la mia volontà, in ogni istante faccio la Volontà di un Altro, e questa è la mia pace". Lo diceva ieri la mia amica, lo diceva Papa Giovanni, lo hanno detto e vissuto milioni di persone raggiunte e salvate da Cristo. Come Bernadette.
E' irrinunciabile dunque annunciare Cristo ovunque, aprire in ogno luogo della terra cammini di conversione che conducano alla fonte delle acque della vita. Maria è immagine della Chiesa, e come ha condotto Bernadette a scavare così è irrinuciabile condurre oggi i piccoli e i poveri della terra, i sofferenti, e con loro ogni uomo a scavare, intraprendere un cammino di discesa al profondo di se stessi dove incontrare la sorgente della Vita. Condurre questa generazione all'incontro con "Qualcuno" che, solo, può salvare e fare felici. Eternamente. Cristo Gesù.
Antonello Iapicca