DI L UCA M IELE
I l Novecento ha spesso ricoperto la libertà di tonalità negative. Se per Heidegger la condizione dell’uomo nel mondo è la “gettatezza” e l’esperienza della vita autentica può realizzarsi solo con l’avvento della morte, la libertà scade (con Sartre) a una sorte di condanna: la vertigine della possibilità apre non al miracolo dell’inizio (come sarà in Hannah Arendt) ma all’angoscia.
L’avanzare delle tecnoscienze ha poi prodotto uno schiacciamento sul biologico che sembra esautorare ulteriormente gli spazi della libertà. Il teologo Massimo Epis invita allora a riguadagnare la sua cifra autentica: la consegna.
Qual è la struttura della libertà?
Quale tensioni la abitano? Cosa ne rende inquietante l’esercizio?
Al centro dell’esperienza della libertà c’è un “dramma”: le scelte (e le azioni) di ciascun individuo non si compiono in un vuoto di relazione, ma in un universo saturo di forze, presenze, affetti.
Non esiste un soggetto che, nel momento in cui agisce, possa dirsi assoluto: «il senso e il destino della libertà – scrive Epis – si decidono sempre nell’esercizio concreto delle scelte che sono scelte a fronte di altri».
Nel cuore dell’uomo si scopre così un dinamismo “spossessante”: «Ciò che abbiamo di più proprio – la libertà come principio di autodeterminazione – è allo stesso tempo ciò che ci sbilancia verso gli altri, ciò che ci rende costitutivamente “estroversi”». Il luogo di questo sbilanciamento è per Epis l’incontro, il mutuo riconoscimento dell’io e del tu, il loro reciproco consegnarsi. Per il teologo esiste un unico incontro veramente «liberante» ed è l’incontro con Cristo. Un faccia a faccia che rompe gli argini dell’io – la terra incontra il cielo – nel nome di un Dio «invadente»: «L’annuncio cristiano irrompe spiazzando, poiché testimonia un Dio che si è fatto prossimo».
Quella con Cristo è allora la relazione nella quale si gioca la libertà estroversa: «Dio è Grazia che libera la nostra libertà».
Restano da verificare le condizioni di questo incontro.
Come evitare che la relazione scada in abitudine? Che la confidenza si appiattisca in indifferenza? Epis indica la via: la strada della preghiera (e del senso cristiano della preghiera). Non una semplice pratica meditativa, ma il concretizzarsi di «un legame che ci porta fuori da noi stessi, introducendoci nella comunione che il Dio trinitario è in se stesso». Ecco allora la custodia offerta e nella quale, al tempo stesso, ripara la preghiera: «la preghiera fuoriesce dalla logica della prestazione per entrare in quella della corrispondenza; meglio, della complicità».
Massimo Epis
LA PERLA E L’OLIO
Introduzione alla fede cristiana
Edb. Pagine 90. Euro 7,40