Non mi sembra che l’anno darwiniano
si stia concludendo nel clima di trionfalismo
che certi superevoluzionisti avevano
auspicato. In questi giorni i principali
quotidiani italiani danno atto, infatti, dell’esistenza,
all’interno della comunità
scientifica, di un forte dibattito che va ben
al di là delle mura del Consiglio Nazionale
delle Ricerche.
Tutto ha preso inizio da un Workshop internazionale
sull’evoluzionismo da me
promosso lo scorso 23 febbraio presso l’ente
di cui sono attualmente vicepresidente.
Mi sia permesso di ricordare i nomi dei
partecipanti a quell’incontro, tutti studiosi
di diverse nazioni e discipline: Guy
Berthault, membro dell’associazione Internazionale
dei sedimentologi; Jean de
Pontcharra, ricercatore in nano-elettronica
all’Università di Grenoble; Maciej
Giertych, membro dell’Accademia polacca
delle scienze; Josef Holzschuh, ricercatore
di Geofisica alla University of Western
Australia; Hugh Miller, chimico, dottore alla
Ohio State University; Hugh Owen, presidente
del Kolbe Center negli Stati Uniti;
Pierre Rabischong, professore emerito
dell’Università di Montpellier; Josef Seifert,
rettore dell’International Academy
for Philosophy del Liechtenstein; Thomas
Seiler, dottore in fisico-chimica all’Università
di Monaco; Dominique Tassot, Direttore
del Centre d’Etudes et de Prospectives
sur la Science; Alma von Stockhausen,
presidente della Gustav-Siewerth-Akademie.
Gli atti di quel convegno sono stati
pubblicati a novembre dall’Editore Cantagalli,
con il titolo “Evoluzionismo. Il tramonto
di un’ipotesi” (pp. 192, euro 17,00).
Quanto è bastato per suscitare le ire di
Marco Cattaneo, direttore della rivista “Le
Scienze”, di Marco Ferraguti, presidente
della Società dei biologi evoluzionisti, e
del filosofo della scienza Telmo Pievani.
Quest’ultimo, ha dedicato ben nove pagine
sulla rivista “MicroMega”, per irridere e
insolentire un libro che, per sua ammissione,
non aveva letto. Nel suo articolo Pievani
si è spinto a chiedere la mia rimozione
dal CNR affermando che “chi nega una
realtà comprovata non dovrebbe ricoprire
cariche che implicano un’influenza sull’opinione
pubblica o sulla gestione di enti
pubblici” (p. 115). Ma qual è la “realtà
comprovata”? Forse è quella che dà il titolo
al più recente pamphlet dello stesso
Pievani: “Creazione senza Dio”? Un libro
in cui egli auspica che al reato di “vilipendio
della religione” si sostituisca quello di
“diffamazione della scienza” (p. 102)? Pievani
accusa il “creazionismo” di spacciare
per scienza un contenuto di fede. Ma cosa
fa lui, se non spacciare per scienza, la sua
negazione non della fede, ma dei principi
evidenti della ragione. E’ più “evidente”
per l’intelletto umano affermare che Dio
esiste, piuttosto che ritenere che l’uomo
discenda dalla scimmia, come si ripete
acriticamente da Darwin in poi. Però la
prima affermazione è declassata a opinione
“fideistica”, la seconda elevata a verità
assoluta. L’attacco di Pievani si inserisce
non a caso in un virulento numero monografico
contro Benedetto XVI, “Il Papa inquisitore”,
come lo definisce il direttore
della rivista Paolo Flores d’Arcais nel titolo
del suo articolo di apertura (pp. 5-22). In
quest’articolo si critica la “volontà di anatema”
(p. 6) e l’“intransigenza dogmatica di
questo inquisitore postmoderno” (p. 18)
che “vuole imporre al mondo la verità della
sua Chiesa, cattolica apostolica romana,
nell’intero orizzonte etico-politico” (p. 13).
Dal fascicolo di “MicroMega” emerge però
l’esistenza di un’altra chiesa, quella evoluzionista,
ben più censoria e inquisitoria di
quella di cui oggi è capo Papa Ratzinger.
Benedetto XVI dialoga infatti con gli evoluzionisti,
tollerando perfino che ricoprano
alte cariche nei dicasteri pontifici,
mentre i fanatici dell’evoluzionismo, non
riservano che sprezzo e irrisione a chi non
condivide il loro “Verbo”. Non è questo
l’atteggiamento tipico di chi ha paura di
misurarsi sul terreno delle idee, perché è
consapevole della inconsistenza delle proprie
ragioni? Gli anni passano, le prove
non arrivano e l’evoluzionismo appare
sempre di più, non una teoria scientifica,
ma una mera opzione filosofica anticreazionista.
La teoria dell’evoluzione rappresenta
infatti la radicale negazione di ogni
verità metafisica, a cominciare dall’esistenza
di un Dio creatore dell’universo, in
nome di una scienza che rinuncia ad esercitare
il metodo scientifico per farsi filosofia.
C’è la cristofobia di chi vuole svellere
le radici cristiane d’Europa e cancellare
ogni traccia di identità cristiana dei luoghi
pubblici, ma c’è anche la teofobia di chi
vuole sradicare, se mai fosse possibile,
ogni traccia del divino dalla natura e dalla
vita dell’uomo. Era una caratteristica
dell’evoluzionismo marxista, lo è oggi dell’evoluzionismo
“post moderno”.
Gli evoluzionisti credono di essere “anticreazionisti”,
ma di fatto, essi trasferiscono
l’azione creatrice da Dio alle creature,
senza uscire dal vituperato “creazionismo”.
Cos’è infatti la cosiddetta trasformazione
delle specie se non un’“auto trasformazione”
che implica la capacità della
materia di “auto-crearsi”? Il materialismo
evoluzionista attribuisce di fatto un potere
creatore alle creature, espropriate del
loro primo principio e del loro ultimo fine.
Chi ha la capacità di auto-trasformarsi ha
una capacità creatrice: le proprietà che
vengono negate a Dio vengono attribuite
alla materia, eterna, infinita, “pensante” e
assolutamente “libera”, perché non determinata
da altri che da se stessa: in una parola
divina. In realtà nessun esperimento
né argomento razionale è in grado di provare
che una creatura possa autodeterminare
la propria natura. Né una molecola
di materia inerte, né una cellula vivente è
in grado di “pensarsi”, di “crearsi” e di
“superarsi”. La creazione, che è produzione
di una realtà secondo tutta la sua sostanza,
senza alcun presupposto, creato da
altri, o increato che sia, si impone a chi voglia
esercitare la ragione, come una
“realtà scientifica”, o, se si preferisce, come
una verità razionale radicalmente incompatibile
con la fantasia evoluzionista.
Roberto de Mattei
P. S. Un’ultima considerazione. L’articolista
del Corriere della Sera tenta di isolarmi
all’interno del CNR. Ma il presidente
dell’Ente, prof. Luciano Maiani, che è
uno scienziato serio, che crede nella libertà
della ricerca, lo ha ripreso in questi
termini: “Il carattere aperto della ricerca
intellettuale” e la “personale contrarietà
a ogni forma di censura delle idee” per
me e per il Consiglio nazionale delle ricerche
non sono un “contentino”, come afferma
l’articolo (del Corriere della Sera),
ma valori fondanti, coerenti con la civiltà
del nostro Paese. Con l’occasione intendo
ribadire con forza – al di là delle diverse
posizioni culturali – i rapporti di stima,
amicizia e proficua collaborazione che mi
legano al Vice Presidente, Prof. Roberto
de Mattei” (Dichiarazione del 1 dicembre
2009).
Il Foglio 2 dic. 2009