Roma. Uno dei principali trascinatori
dell’episcopato svizzero su una decisa
presa di distanza dal risultato del referendum
che ha detto “no” ai minareti nel
paese è stato monsignor Norbert Brunner.
Vescovo di Sion (Canton Vallese), la
diocesi più antica della Svizzera, presidente
designato della Conferenza episcopale
elvetica – dal prossimo gennaio il
mandato diverrà effettivo e durerà due
anni – Brunner ha definito “inaccettabili”
i contenuti della campagna anti minareti.
Una posizione, la sua, in linea con il
Vaticano, stando almeno alle dichiarazioni
rilanciate l’altro ieri dalle agenzie di
stampa (ma precedenti al risultato del referendum
svizzero) di monsignor Antonio
Maria Vegliò, presidente del pontificio
consiglio dei Migranti.
Brunner ha portato avanti le sue posizioni
assieme ai vescovi cattolici del paese
(tutti concordi con lui) e ai principali
esponenti del mondo del protestantesimo
elvetico. Tra questi Thomas Wipf, presidente
della Federazione delle chiese
evangeliche svizzere, e Max Schläpfer,
presidente delle chiese evangeliche libere.
I tre hanno insistito sul fatto che proibire
la costruzione di minareti in un paese
in cui i musulmani sono una minoranza
pacifica e ben integrata altro non è che
un autogol. Nel senso che, a loro dire, l’unico
effetto sarebbe stato quello di esacerbare
le diverse posizioni creando conflitti
mai verificatisi in precedenza.
Brunner ha combattuto sui contenuti
del referendum convinto che la maggior
parte dei cittadini condividesse il suo
sentire. Mentre minore importanza ha dato
alla forma, ovvero alla modalità con la
quale i promotori del referendum hanno
chiesto al popolo il voto contro i minareti.
Questi hanno tappezzato le città svizzere
di manifesti che i musulmani hanno ritenuto
offensivi. Ma Brunner, come in
precedenza aveva mantenuto una linea
accondiscendente verso i manifesti affissi
dall’Associazione dei liberi pensatori
nei quali si affermava che “Dio probabilmente
non esiste. Godetevi la vita”, anche
in questo caso ha ritenuto che non fosse
necessario vietare i manifesti perché il
modo migliore attraverso il quale reagire
sarebbe stato quello d’intervenire sul
contenuto del referendum stesso. Una linea,
alla prova dei fatti, perdente.
Le posizioni pubbliche di Brunner sono
sostanzialmente condivise dai suoi confratelli
vescovi. E, anche se la Conferenza
episcopale elvetica non ha il peso nei confronti
delle istituzioni che ha quella italiana,
le sue dichiarazioni sono sempre
ascoltate. Particolare attenzione nell’operato
dei vescovi svizzeri e, in virtù del suo
nuovo ruolo, nell’operato di Brunner, pone
anche la Santa Sede. Oltre Tevere, infatti,
la Conferenza episcopale elvetica –
la stessa cosa vale ad esempio per le Conferenze
episcopali tedesca e austriaca –, è
osservata con un certo occhio di riguardo
perché la tendenza a smarcarsi da Roma
in nome di una propria autonomia d’azione
e di governo è sempre possibile.
Un esempio in questo senso sono le recentissime
dichiarazioni in merito al celibato
sacerdotale rilasciate proprio da
monsignor Brunner. Questi, poche ore dopo
la designazione a succedere a monsignor
Kurt Koch, vescovo di Basilea, alla
guida dell’episcopato del paese, in un’intervista
alla Nzz am Sonntag ha affermato
che “non c’è legame sostanziale tra celibato
e sacerdozio”. E ancora: “Ordinare
preti uomini sposati dovrebbe quindi essere
possibile. Il celibato dovrebbe essere
volontario. Credo – ha detto ancora –
che la Conferenza episcopale sia quasi all’unanimità
dell’opinione che in Svizzera
debba essere possibile ordinare sacerdoti
uomini sposati”. Subito i quotidiani del
paese hanno ripreso l’uscita del vescovo,
per la maggior parte titolando così: “Sì ai
sacerdoti cattolici sposati. E’ la proposta
del presidente dei vescovi svizzeri”.
L’eco delle dichiarazioni di Brunner
sul celibato sono arrivate in Vaticano dove
sempre, dopo uscite del genere, si ricorda
il fatto che Benedetto XVI più volte,
pur consapevole del fatto che il celibato
sacerdotale non è un dogma bensì una
norma disciplinare, ha insistito sulla preziosità
del celibato stesso e sul fatto che
l’ordinazione di preti sposati non è una
controffensiva valida alla carenza di vocazioni.
Per questo, le dichiarazioni di
Brunner non sono state del tutto digerite.
E anche perché augurarsi l’abolizione
del celibato sacerdotale all’inizio di un
mandato pubblico così delicato come è
quello di Brunner viene letto come un
messaggio politico lanciato a chi, nella
chiesa, la pensa diversamente.
Summit di crisi
In queste ore i vescovi elvetici sono
riuniti in summit. E’ probabile che ne
escano con un comunicato dedicato, tra
le altre cose, anche al voto del referendum
sui minareti. Più difficile che possano
spendere parole congiunte sul celibato.
Infatti, non è scontato che sull’argomento
i presuli la pensino tutti come
Brunner. A conti fatti la cosa potrebbe
concludersi come si concluse il “caso
Hummes”. Il cardinale brasiliano Claudio
Hummes, quando arrivò in Vaticano a
guidare la congregazione del clero, aprì
il proprio mandato con dichiarazioni a favore
dell’abolizione del celibato sacerdotale.
Ma poi, in successive interviste,
tornò sui propri passi.
Paolo Rodari
Il Foglio 2 dic. 2009