DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Tutto nasce qui. E tutto è redento qui. Il mistero dell'Immacolata e il peccato originale. La sentinella del 7 dicembre 2009

Tutto nasce qui. E tutto è redento qui.
Il mistero dell'Immacolata e il peccato originale.


Un articolo del Foglio ci induce a riflettere. Le piazze e i cuori gridando giustizia, la marmellata massonico-relativista europea, le pillole killer e diritti a tutti i costi, i testamenti biologici a porre fine al male che non si può accettare.




O Maria ! Fin dal primo istante dell'esistenza,

Tu sei stata preservata dal peccato originale in forza dei meriti di Gesù, di cui dovevi diventare la Madre.

Su di Te il peccato e la morte non hanno potere.

Dal momento stesso in cui fosti concepita,

hai goduto del singolare privilegio di essere ricolmata della grazia del Tuo Figlio benedetto,

per essere Santa come Egli è Santo.

Per questo il Celeste Messaggero, inviato ad annunciarti il Disegno Divino, a Te si rivolse salutandoTi:

"Rallegrati, o piena di grazia". Sì, o Maria, Tu sei la piena di grazia, Tu sei l'Immacolata Concezione.

In Te si compie la promessa fatta ai progenitori, primordiale vangelo di speranza, nell'ora tragica della caduta:

"Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe".

La Tua stirpe, o Maria, è il Figlio benedetto del Tuo seno, Gesù, Agnello immacolato,

che ha preso su di sè il peccato del mondo, il nostro peccato.

Tuo Figlio, o Madre, ha preservato Te,

per offrire a tutti gli uomini il dono della salvezza.

Per questo di generazione in generazione, i redenti non cessano di ripeterti le parole dell'Angelo:

"Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con Te".

Tu sei tutta bella,o Maria.

Sii Tu a guidarci verso il futuro,

con tutta la speranza,

perché Tu, o Maria, sei la Madre

della speranza.


Giovanni Paolo II, 8/12/1998



Un Peccato così originale. Come il pensiero moderno ha cercato di cancellare il peccato originale, senza riuscirvi

In una lettera del 7 giugno 1793, indirizzata al filosofo Johann Friedrich Herder, Goethe scriveva tra l’altro: “Kant dopo aver avuto bisogno di una lunga vita umana per ripulire il suo mantello filosofico dai numerosi pregiudizi che l’insudiciavano, lo ha ignominiosamente imbrattato con la macchia vergognosa del male radicale affinché anche i cristiani siano allettati a baciarne il lembo”. Di quale grave colpa si era macchiato l’autore della “Critica della ragion pura” tanto da meritare un’accusa così pesante? ...Si trattava della questione del peccato originale, che qualcuno potrebbe essere ancora indotto a ritenere adatta solamente a teologi un po’ démodé o a pii seminaristi di qualche congregazione tradizionalista. In realtà, il problema del peccato originale campeggia da venti secoli al centro della ricerca e del dibattito filosofici e teologici e il ponderoso volume “Il peccato originale nel pensiero moderno”, curato per l’Editrice Morcelliana da Giuseppe Riconda, Marco Ravera, Claudio Ciancio e Gianluca Cuozzo, con le sue quasi novecento pagine ce lo ricorda con forza. Nel 1793, alla soglia dei settant’anni, il grande pensatore di Königsberg pubblicò l’opera “La religione entro i limiti della sola ragione”, il cui primo capitolo, recante il titolo “Della coesistenza del principio cattivo accanto a quello buono nella natura umana”, è dedicato all’importante e drammatica questione del male radicale: secondo Kant, vi è nell’uomo una tendenza innata e naturale verso il male, una sorta di corruzione che spinge l’essere umano ad agire non solamente in ossequio alla legge morale, ma anche cercando di soddisfare i propri impulsi sensibili e i propri desideri egoistici. Questo male radicale, che si presenta come la trascrizione filosofica del biblico peccato originale e che – afferma Kant – la gente comune si raffigura con i tratti del diavolo, è ineliminabile, e l’uomo non ha certo la possibilità di cancellarlo con le proprie forze, cosicché l’ estirpazione di esso ha richiesto l’intervento diretto di Dio, intervento che si è realizzato nell’incarnazione e nella venuta sulla terra di Gesù Cristo. Siamo così giunti ai limiti stessi della ragione, la quale, come non è in grado di spiegare l’origine ultima del male radicale, non è neppure capace di comprendere un evento, quale è quello dell’esistenza del Cristo storico, che la oltrepassa completamente. Scrive Kant: “La ragione, nella consapevolezza della sua impotenza a soddisfare alle sue esigenze morali, si estende fino a idee trascendenti, che potrebbero compensare quella deficienza, senza che la ragione se le attribuisca come un suo più esteso possesso. Essa non contesta né la possibilità, né la realtà degli oggetti di queste idee, ma solamente non può assumerle nelle sue massime del pensare e dell’agire. Anzi essa calcola che se, nell’insondabile campo del soprannaturale, v’è tuttavia, oltre ciò che essa può rendere comprensibile, ancora qualcosa, che sarebbe necessario per supplire all’impotenza morale; questo qualcosa, anche se sconosciuto, tornerà pertanto di grande aiuto alla sua buona volontà mediante una fede, che (riguardo alla sua possibilità) si potrebbe chiamare riflettente, poiché la fede dogmatica, che si spaccia per una scienza, apparisce alla ragione insincera o presuntuosa”..... Nel secondo capitolo dell’opera, che suona “Della lotta del principio buono con il cattivo per la signoria sull’uomo”, il filosofo prussiano si mostra sicuro che l’uomo può e deve essere in grado di superare lo scacco del male radicale, pena il venir meno della stessa attuabilità dell’imperativo morale: infatti, se non fosse possibile per l’uomo vincere la propria malvagità, non si darebbe vita etica.... A ciascuno si impone l’obbligo di impegnarsi con tutte le sue forze per far trionfare in sé la pura moralità; e tale impegno non potrà mai essere sostituito da alcuna pratica cultuale, anche se l’uomo è autorizzato a “sperare che ciò che non è in suo potere sarà completato da una cooperazione superiore”. L’unico vero culto resta per Kant la retta condotta morale: tutte le altre espressioni tipiche di una religiosità esteriore sono da lui considerate forme di superstizione, o di fantasticheria o, ancora, di follia religiosa. Come si può notare, ponendosi di fronte al terribile mistero del male, Kant appare per così dire combattuto: le esigenze della ragione, che egli non intende eludere, gli fanno prendere le distanze dalla credenza nel dogma cristiano, ma, nello stesso tempo, la tragica e insondabile presenza di un pervertimento posto alla radice stessa dell’essere umano lo spinge a riconoscere i limiti della razionalità che si dimostra incapace di offrire al riguardo una spiegazione plausibile. Anche dinanzi alla figura di Cristo Kant manifesta un atteggiamento oscillante ... ed è preoccupato del fatto che l’uomo possa attenuare il proprio impegno etico confidando nell’opera salvifica di Gesù Cristo, ma nello stesso tempo non esclude che in Lui Dio abbia voluto offrire all’umanità un sostegno soprannaturale nella lotta contro il male, sostegno senza il quale la battaglia sembrerebbe perduta in partenza. Emblematica la posizione kantiana, e per svariati motivi: per quel suo stare sul filo del rasoio tra razionalismo e fede religiosa, e per la coraggiosa accettazione del limite insito nella natura stessa dell’essere umano.
L’epoca moderna, che si era aperta con l’umanistica esaltazione della libertà e delle capacità dell’uomo e che con l’illuminismo aveva celebrato
i trionfi della ragione e del progresso, si conclude con la densa e drammatica riflessione kantiana in merito all’esistenza del male radicale che conduce l’uomo ad autoingannarsi circa le proprie intenzioni e quindi alla slealtà verso se stesso e all’ipocrisia e all’inganno verso gli altri; un male radicale la cui presenza mette in grave crisi qualunque edificio speculativo e del quale, inoltre, resta incomprensibile l’origine. Certo, l’epoca moderna non ha sempre e soltanto intonato un inno alla bontà e alla grandezza dell’uomo: basti pensare, a questo proposito, al pessimismo antropologico di Martin Lutero che, sicuramente,
influenzò lo stesso Kant. Ma non v’è dubbio che, dal Quattrocento in poi, la verità del peccato originale sembrò diventare via via sempre meno compatibile con una visione dell’uomo che si ritiene e si percepisce padrone di sé, arbitro della propria fortuna, capace di automigliorarsi e di progredire incessantemente, soprattutto in virtù delle sue capacità
razionali.
Seguendo questa linea interpretativa, non meraviglia l’esito ateistico di una parte considerevole della filosofia moderna, un esito che, riconducendo tutta la vita umana entro coordinate mondane, reinterpreta in maniera radicale il concetto stesso di peccato, come ben testimoniano le seguenti considerazioni di Ludwig Feuerbach, il celebre filosofo materialista, implacabile
critico della religione e del cristianesimo in particolare: “Il segreto del peccato originale è il segreto del piacere sessuale. Tutti gli uomini sono concepiti nel peccato per il fatto che sono stati concepiti con gioia e piacere dei sensi, cioè naturalmente. L’atto della generazione, in quanto ricco di godimento, di godimento sensibile, è un atto peccaminoso. Il peccato si riproduce da Adamo fino a noi, solo per il fatto che la riproduzione è l’atto generativo naturale. E’ questo allora il
grande segreto del peccato originale cristiano
”. A questo punto, l’idea stessa di peccato d’origine come viene tramandata dalla chiesa cattolica è scomparsa: non vi è più alcun riferimento a Dio e alla libera disobbedienza nei suoi confronti; tutto vienericondotto all’aldiquà, alla terra e alla natura, alla dimensione materiale. Di qui scaturisce pure un nuovo modo di intendere il concetto e la necessità della liberazione dell’uomo da ciò che lo opprime. Non vi è più bisogno di un
liberatore divino e la politica prenderà il posto della religione: sarà Karl Marx a portare a pieno compimento questa sostituzione
. A suo giudizio, infatti, il male non deriva certamente dal peccato originale, bensì dall’ingiustizia sociale: toccherà dunque alla prassi rivoluzionaria affrancare l’umanità dalla sua cattiveria e dalle sue sofferenze, che secondo il padre del comunismo non provengono da un evento soprannaturale, ma hanno un’origine umana e, più precisamente, economico-sociale.
L’origine umana, troppo umana si vorrebbe dire, riecheggiando il celebre titolo di una sua opera, del peccato originale viene ribadita da Friedrich Nietzsche.... A giudizio del filosofo dello “Zarathustra”, sono proprio la religione e la morale da essa derivante l’autentico peccato originale: il compito che dunque si prospetta è quello di demolire, per quanto possibile, le cosiddette verità religiose, autentica causa di molti mali dell’uomo. Le complesse dottrine nietzscheane del “superuomo” e dell’ “eterno ritorno” possono essere interpretate come l’indicazione di due vie complementari di liberazione dal male e dal dolore, non tanto attraverso una loro impossibile soppressione, quanto mediante un’accettazione coraggiosa e vitale di essi, rifiutando la fede e l’etica cristiana, che rendono l’uomo sempre più timoroso, sempre più remissivo, sempre più schiavo. Di disponibilità a sopportare il dolore si può parlare anche a proposito di Dostoevskij: “l’accettazione della sofferenza è il primo gradino di una redenzione che si raggiunge solo con la purificazione e l’espiazione, e infine con la conversione, che mira a togliere il peccato e le sue conseguenze; la redenzione è il risultato di un’azione divina cui l’uomo può partecipare solo nel riconoscimento umile della propria colpa: non l’accettazione di un eterno ritorno del bene e del male, del dolore e della gioia, ma il trionfo del bene e della felicità per grazia divina e per l’azione del Cristo, per quanto incomprensibile per noi possa essere come ciò avvenga”.
Qui sta la differenza decisiva: da una parte, senza fare riferimento a Dio l’origine del male resta completamente sconosciuta, dall’altra, non facendo affidamento sull’opera salvifica di Gesù Cristo, si dilegua ogni speranza di opporsi a esso e di vincerlo, perché risulta evidente che uno sforzo puramente umano in questa direzione finisce sempre per rivelarsi una triste illusione, figlia della superbia. Il pensiero moderno di ispirazione cristiana, e più specificamente cattolica, ha costantemente insistito su questo punto, proponendo concezioni che, nel rispetto della rivelazione biblica e dei dogmi della chiesa, hanno perseguito un non facile equilibrio tra le esigenze della ragione e della fede, della libertà e della grazia, quell’equilibrio che rimane sconosciuto sia ai pessimisti che agli ottimisti che, come sosteneva Blaise Pascal, non sanno attentamente valutare la condizione paradossale e contraddittoria dell’uomo. Scrive l’autore dei “Pensieri”, facendo
parlare la Sapienza divina: “Io ho creato l’uomo santo, innocente, perfetto; io l’ho colmato di luce e di intelligenza; gli ho comunicato la mia gloria e le mie meraviglie… ma non ha potuto sostenere tanta gloria senza cadere nella presunzione. Ha voluto rendersi centro di se stesso e indipendente dal mio soccorso. Si è sottratto al mio dominio; e uguagliandosi a me con il desiderio di trovare la sua felicità in se stesso, io l’ho abbandonato a se stesso”. La negazione del peccato originale rende del tutto incomprensibili le vicende dell’umanità, come il misconoscimento dell’intervento redentivo di Gesù Cristo vanifica completamente ogni speranza di salvezza.
Ne era profondamente convinto il beato Antonio Rosmini che, nello scritto “Il razionalismo teologico”, ebbe ad affermare: “Ed ella è cosa pur indubitata essere il dogma del peccato fondamento di tutto il Cristianesimo. Distrutto quel dogma è resa inutile la redenzione di Gesù Cristo o certo ella cessa di essere redenzione. Quindi è tolta la cagion massima dell’Incarnazione del Verbo. Per tali gradi si perviene alla distruzione del Cristianesimo, all’abolizione di tutto l’ordine soprannaturale, allo stabilimento del perfetto razionalismo”.

Il Foglio 5 dic. 2009

UN PECCATO COSI’ ORIGINALE. Il pensiero moderno ha provato in tutti i modi ad abbattere un dogma centrale del cristianesimo. Invano



LEGGI
IL PECCATO ORIGINALE NEL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA



Il mistero dell'Immacolata e il peccato originale, Angelus di Benedetto XVI, 8 dicembre 2008


"Il mistero dell’Immacolata Concezione di Maria, che oggi solennemente celebriamo, ci ricorda due verità fondamentali della nostra fede: il peccato originale innanzitutto, e poi la vittoria su di esso della grazia di Cristo, vittoria che risplende in modo sublime in Maria Santissima. "L’esistenza di quello che la Chiesa chiama peccato originale è purtroppo di un’evidenza schiacciante, se solo guardiamo intorno a noi e prima di tutto dentro di noi. L’esperienza del male è infatti così consistente, da imporsi da sé e da suscitare in noi la domanda: da dove proviene? Specialmente per un credente, l’interrogativo è ancora più profondo: se Dio, che è Bontà assoluta, ha creato tutto, da dove viene il male? Le prime pagine della Bibbia (Genesi 1-3) rispondono proprio a questa domanda fondamentale, che interpella ogni generazione umana, con il racconto della creazione e della caduta dei progenitori: Dio ha creato tutto per l’esistenza, in particolare ha creato l’essere umano a propria immagine; non ha creato la morte, ma questa è entrata nel mondo per invidia del diavolo il quale, ribellatosi a Dio, ha attirato nell’inganno anche gli uomini, inducendoli alla ribellione (cfr. Sapienza 1, 13-14; 2, 23-24). È il dramma della libertà, che Dio accetta fino in fondo per amore, promettendo però che ci sarà un figlio di donna che schiaccerà la testa all’antico serpente (Genesi 3, 15).

"Fin dal principio, dunque, 'l’eterno consiglio' – come direbbe Dante (Paradiso, XXXIII, 3) – ha un 'termine fisso': la Donna predestinata a diventare madre del Redentore, madre di Colui che si è umiliato fino all’estremo per ricondurre noi alla nostra originaria dignità. Questa Donna, agli occhi di Dio, ha da sempre un volto e un nome: 'piena di grazia' (Luca 1, 28), come la chiamò l’Angelo visitandola a Nazareth. È la nuova Eva, sposa del nuovo Adamo, destinata ad essere madre di tutti i redenti. Così scriveva sant’Andrea di Creta: 'La Theotókos Maria, il comune rifugio di tutti i cristiani, è stata la prima ad essere liberata dalla primitiva caduta dei nostri progenitori' (Omelia IV sulla Natività, PG 97, 880 A). E la liturgia odierna afferma che Dio ha 'preparato una degna dimora per il suo Figlio e, in previsione della morte di Lui, l’ha preservata da ogni macchia di peccato' (Orazione Colletta).
"Carissimi, in Maria Immacolata noi contempliamo il riflesso della bellezza che salva il mondo: la bellezza di Dio che risplende sul volto di Cristo".


Il mistero dell'Immacolata e il peccato originale, Angelus di Benedetto XVI, 8 dicembre 2008



Il Card Ratzinger spiega l'importanza della dottrina sul peccato originale in un'intervista a Vittorio Messori

Se non si capisce più che l'uomo è in uno stato di alienazione non solo economica e sociale (dunque un'alienazione non risolvibile con i suoi soli sforzi), non si capisce più la necessità del Cristo redentore. Tutta la struttura della fede è così minacciata. L'incapacità di capire e presentare il "peccato originale" è davvero uno dei problemi più gravi della teologia e della pastorale attuali... In un'ipotesi evoluzionistica del mondo (quella alla quale in teologia corrisponde un certo "theilardismo") non c'è ovviamente posto per alcun "peccato originale". Questo, al massimo, non è che un'espressione simbolica, mitica, per indicare le mancanze naturali di una creatura come l'uomo che, da origini imperfettissime, va verso la perfezione, va verso la sua realizzazione completa. Accettare questa visione significa però rovesciare la struttura del cristianesimo: Cristo è trasferito dal passato al futuro; redenzione significa semplicemente camminare verso l'avvenire come necessaria evoluzione verso il meglio. L'uomo non è che un prodotto non ancora del tutto perfezionato dal tempo, non c'è stata una "redenzione" perché non c'era nessun peccato cui riparare ma solo una mancanza che, ripeto, sarebbe naturale. Eppure, queste difficoltà di origine più o meno "scientifica" non sono ancora la radice della odierna crisi del "peccato originale". Questa crisi non è che un sintomo della nostra difficoltà profonda di scorgere la realtà di noi stessi, del mondo, di Dio. Non bastano di certo, qui, le discussioni con le scienze naturali, come ad esempio la paleontologia, anche se questo tipo di confronto è necessario. Dobbiamo essere consapevoli che siamo di fronte anche a delle precomprensioni e a delle predecisioni di carattere filosofico...Questa verità cristiana ha un aspetto di mistero ma anche un aspetto di evidenza. L'evidenza: una visione lucida, realistica dell'uomo e della storia non può non scoprirne l'alienazione, non può non rivelare che c'è una rottura delle relazioni: dell'uomo con se stesso, con gli altri, con Dio. Ora, poiché l'uomo è per eccellenza l'essere-in-relazione, una simile rottura raggiunge le radici, si ripercuote su tutto. Il mistero: se non siamo in grado di penetrare sino in fondo realtà e conseguenze del peccato originale, è proprio perché esso esiste, perché lo sfasamento è ontologico, sbilancia, confonde in noi la logica della natura, ci impedisce di capire come una colpa all'origine della storia possa coinvolgere in una situazione di peccato comune...La narrazione della Sacra Scrittura sulle origini non parla alla maniera storiografica moderna ma parla attraverso le immagini. È una narrazione che rivela e nasconde allo stesso tempo. Ma gli elementi fondanti sono ragionevoli e la realtà del dogma va in ogni caso salvaguardata. Il cristiano non farebbe abbastanza per i fratelli se non annunciasse il Cristo che porta la redenzione innanzitutto dal peccato; se non annunciasse la realtà dell'alienazione (la "caduta") e al contempo la realtà della Grazia che ci redime, ci libera; se non annunciasse che per ricostruire la nostra essenza originaria c'è bisogno di un aiuto al di fuori di noi; se non annunciasse che l'insistenza sull'auto-realizzazione, sull'autoredenzione non porta alla salvezza ma alla distruzione. Se non annunciasse, infine, che per essere salvati occorre abbandonarsi all'Amore"

Peccato originale: dall’intervista di V.Messori al card. J.Ratzinger, in Rapporto sulla fede



Adamo e Crsito, dal peccato originale alla libertà. Catechesi di Benedetto XVI

Per mettere in evidenza l'incommensurabile dono della grazia, in Cristo, che Paolo accenna al peccato di Adamo: si direbbe che se non fosse stato per dimostrare la centralità della grazia, egli non si sarebbe attardato a trattare del peccato che “a causa di un solo uomo è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte” (Rm 5,12). Per questo se, nella fede della Chiesa, è maturata la consapevolezza del dogma del peccato originale è perché esso è connesso inscindibilmente con l’altro dogma, quello della salvezza e della libertà in Cristo. La conseguenza di ciò è che non dovremmo mai trattare del peccato di Adamo e dell’umanità in modo distaccato dal contesto salvifico, senza comprenderli cioè nell’orizzonte della giustificazione in Cristo.... Ma come uomini di oggi dobbiamo domandarci: che cosa è questo peccato originale? Che cosa insegna san Paolo, che cosa insegna la Chiesa? È ancora oggi sostenibile questa dottrina?... Per poter rispondere dobbiamo distinguere due aspetti della dottrina sul peccato originale. Esiste un aspetto empirico, cioè una realtà concreta, visibile, direi tangibile per tutti. E un aspetto misterico, riguardante il fondamento ontologico di questo fatto. Il dato empirico è che esiste una contraddizione nel nostro essere. Da una parte ogni uomo sa che deve fare il bene e intimamente lo vuole anche fare. Ma, nello stesso tempo, sente anche l'altro impulso di fare il contrario, di seguire la strada dell'egoismo, della violenza, di fare solo quanto gli piace anche sapendo di agire così contro il bene, contro Dio e contro il prossimo. San Paolo nella sua Lettera ai Romani ha espresso questa contraddizione nel nostro essere così: «C'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (7, 18-19). Questa contraddizione interiore del nostro essere non è una teoria. Ognuno di noi la prova ogni giorno. E soprattutto vediamo sempre intorno a noi la prevalenza di questa seconda volontà. Basta pensare alle notizie quotidiane su ingiustizie, violenza, menzogna, lussuria. Ogni giorno lo vediamo: è un fatto.

Come conseguenza di questo potere del male nelle nostre anime, si è sviluppato nella storia un fiume sporco, che avvelena la geografia della storia umana. Il grande pensatore francese Blaise Pascal ha parlato di una «seconda natura», che si sovrappone alla nostra natura originaria, buona. Questa “seconda natura” fa apparire il male come normale per l'uomo. Così anche l'espressione solita: «questo è umano» ha un duplice significato. «Questo è umano» può voler dire: quest'uomo è buono, realmente agisce come dovrebbe agire un uomo. Ma «questo è umano» può anche voler dire la falsità: il male è normale, è umano. Il male sembra essere divenuto una seconda natura. Questa contraddizione dell'essere umano, della nostra storia deve provocare, e provoca anche oggi, il desiderio di redenzione. E, in realtà, il desiderio che il mondo sia cambiato e la promessa che sarà creato un mondo di giustizia, di pace, di bene, è presente dappertutto: in politica, ad esempio, tutti parlano di questa necessità di cambiare il mondo, di creare un mondo più giusto. E proprio questo è espressione del desiderio che ci sia una liberazione dalla contraddizione che sperimentiamo in noi stessi.

Quindi il fatto del potere del male nel cuore umano e nella storia umana è innegabile. La questione è: come si spiega questo male? Nella storia del pensiero, prescindendo dalla fede cristiana, esiste un modello principale di spiegazione, con diverse variazioni. Questo modello dice: l'essere stesso è contraddittorio, porta in sé sia il bene sia il male. Nell'antichità questa idea implicava l'opinione che esistessero due principi ugualmente originari: un principio buono e un principio cattivo. Tale dualismo sarebbe insuperabile; i due principi stanno sullo stesso livello, perciò ci sarà sempre, fin dall'origine dell'essere, questa contraddizione. La contraddizione del nostro essere, quindi, rifletterebbe solo la contrarietà dei due principi divini, per così dire. Nella versione evoluzionistica, atea, del mondo ritorna in modo nuovo la stessa visione. Anche se, in tale concezione, la visione dell'essere è monistica, si suppone che l'essere come tale dall'inizio porti in se il male e il bene. L'essere stesso non è semplicemente buono, ma aperto al bene e al male. Il male è ugualmente originario come il bene. E la storia umana svilupperebbe soltanto il modello già presente in tutta l'evoluzione precedente. Ciò che i cristiani chiamano peccato originale sarebbe in realtà solo il carattere misto dell'essere, una mescolanza di bene e di male che, secondo questa teoria, apparterrebbe alla stessa stoffa dell'essere. È una visione in fondo disperata: se è così, il male è invincibile. Alla fine conta solo il proprio interesse. E ogni progresso sarebbe necessariamente da pagare con un fiume di male e chi volesse servire al progresso dovrebbe accettare di pagare questo prezzo. La politica, in fondo, è impostata proprio su queste premesse: e ne vediamo gli effetti. Questo pensiero moderno può, alla fine, solo creare tristezza e cinismo.

E così domandiamo di nuovo: che cosa dice la fede, testimoniata da san Paolo? Come primo punto, essa conferma il fatto della competizione tra le due nature, il fatto di questo male la cui ombra pesa su tutta la creazione. Abbiamo sentito il capitolo 7 della Lettera ai Romani, potremmo aggiungere il capitolo 8. Il male esiste, semplicemente. Come spiegazione, in contrasto con i dualismi e i monismi che abbiamo brevemente considerato e trovato desolanti, la fede ci dice: esistono due misteri di luce e un mistero di notte, che è però avvolto dai misteri di luce. Il primo mistero di luce è questo: la fede ci dice che non ci sono due principi, uno buono e uno cattivo, ma c'è un solo principio, il Dio creatore, e questo principio è buono, solo buono, senza ombra di male. E perciò anche l'essere non è un misto di bene e male; l'essere come tale è buono e perciò è bene essere, è bene vivere. Questo è il lieto annuncio della fede: c'è solo una fonte buona, il Creatore. E perciò vivere è un bene, è buona cosa essere un uomo, una donna, è buona la vita. Poi segue un mistero di buio, di notte. Il male non viene dalla fonte dell'essere stesso, non è ugualmente originario. Il male viene da una libertà creata, da una libertà abusata.

Come è stato possibile, come è successo? Questo rimane oscuro. Il male non è logico. Solo Dio e il bene sono logici, sono luce. Il male rimane misterioso. Lo si è presentato in grandi immagini, come fa il capitolo 3 della Genesi, con quella visione dei due alberi, del serpente, dell'uomo peccatore. Una grande immagine che ci fa indovinare, ma non può spiegare quanto è in se stesso illogico. Possiamo indovinare, non spiegare; neppure possiamo raccontarlo come un fatto accanto all'altro, perché è una realtà più profonda. Rimane un mistero di buio, di notte. Ma si aggiunge subito un mistero di luce. Il male viene da una fonte subordinata. Dio con la sua luce è più forte. E perciò il male può essere superato. Perciò la creatura, l'uomo, è sanabile. Le visioni dualiste, anche il monismo dell'evoluzionismo, non possono dire che l'uomo sia sanabile; ma se il male viene solo da una fonte subordinata, rimane vero che l'uomo è sanabile. E il Libro della Sapienza dice: “Hai creato sanabili le nazioni” (1, 14 volg). E finalmente, ultimo punto, l’uomo non è solo sanabile, è sanato di fatto. Dio ha introdotto la guarigione. È entrato in persona nella storia. Alla permanente fonte del male ha opposto una fonte di puro bene. Cristo crocifisso e risorto, nuovo Adamo, oppone al fiume sporco del male un fiume di luce. E questo fiume è presente nelle storia: vediamo i santi, i grandi santi ma anche gli umili santi, i semplici fedeli. Vediamo che il fiume di luce che viene da Cristo è presente, è forte.

Benedetto XVI: Adamo e Cristo: dal peccato (originale) alla libertà.