E allora perché paga trecentomila euro, una cifretta comunque, anche se si sia molto ricchi, per ritirare dal mercato fotografie di quel genere? Perché si mette di nuovo un po’ nei guai quando poi tutti sanno che è un amabile scapestrato, con qualche pericolosa tendenza autolesionista? Lo abbiamo notato già all’epoca del pruriginoso, ma diverso, caso Marrazzo. Il carattere spurio della nostra sicurezza ideologica in fatto di sessualità si delinea in tutta la sua ipocrisia ogni volta che si tratti di transessuali. Ce l’abbiamo con la sessuofobia, che addebitiamo erroneamente alla chiesa e al materialismo cristiano dell’incarnazione, e pretendiamo di essere pansessuofili liberati capaci di proclamarlo con tono compunto, invece ci riveliamo sessuofobi al momento buono della prova. Siamo per l’omologazione di tutti gli stili di vita e di eros, ma all’atto pratico ci ritraiamo stranamente pudichi di fronte alla loro divulgazione gossipara. Che dovrebbero essere, in una società boniniana, cioè molto stupida e molto linguisticamente corretta, solo degli esseri umani diversamente sessuati. Oppure gli eroi di una riforma del gender e della sua cultura, riformatori cioè dell’idea che il sesso sia predeterminato dalla natura, il che per i bonineschi è quanto di più reazionario, e vile, possa affermarsi in epoca di postilluminismo dispiegato.
I transessuali sono persone amabilissime, peccatori già redenti in linea di principio dalla prospettiva di un inferno teologicamente vuoto, spesso sono persone molto spiritose, in alcuni casi invece disperate e socialmente svantaggiate dalla contiguità stretta con gli ambienti della prostituzione; sono comunque soggetti erotici che possono piacere proprio in virtù della multidimensionalità e ambivalenza estrema del loro corpo naturale-artificiale e della loro astratta corporeità mentale, vanno bene per i trattati di sessuologia libera, per le retoriche occasionali del gender, ma guai a farsi fotografare con loro, guai ai video, guai guai guai.
Penso che Lapo non avrebbe mai dovuto vergognarsi di quelle foto e riscattarle, se (come sembra) lo abbia fatto; invece dobbiamo vergognarci tutti della nostra meschinità, della nostra ipocrisia. Non siamo moralisti. Magari. Moralisti è una bella parola, che Giovanni Macchia spiegò da maestro in un vecchio suo saggio sui moralisti classici; i moralisti veri sono quelli che elaborano un forma alta e profonda e brillante di scetticismo, oppure che combattono machiavellicamente e volontaristicamente l’incerto con il certo, nutrendo pessimismo e speranza in una combinazione di rara bellezza, non certo i mozzorecchi o i sepolcri imbiancati oggi in voga.
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