DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Analisi del gesto di Lapo, ovvero della nostra ipocrita sessuofobia

Il gesto di Lapo, trecentomila euro per ricomprarsi una foto con un transessuale al Bois de Boulogne, va analizzato meticolosamente. Non interessa qui il lato giudiziario, se e chi eventualmente sia incappato in un reato (estorsione?). In quella presunta dazione c’è tutta l’ambivalenza, non quella fertile, non quella felice, bensì quella grottesca, del tempo che viviamo. Lapo, al contrario di Piero Marrazzo, è persona privata. Non fa politica. Non è pubblico ufficiale. Non è stato beccato da una banda di carbinieri felloni né intimidito per disobbedienza alla scala di valori apparente della comunità a cui appartiene. Lapo non sa che cosa sia il senso del pudore, non perché sia uno svergognato, è anzi un caro ragazzo, ma perché la sua educazione psicologica e morale, oltre che le regole della sua professione di inventore di occasioni di marketing “basta-che-funzioni”, non prevedono particolare cura di questo dettaglio retro, oggi inservibile nelle relazioni umane di società, che è il contegno. Al contrario, Lapo ha bisogno di una certa impudicizia come del pane, è per così dire un suo ferro del mestiere.

E allora perché paga trecentomila euro, una cifretta comunque, anche se si sia molto ricchi, per ritirare dal mercato fotografie di quel genere? Perché si mette di nuovo un po’ nei guai quando poi tutti sanno che è un amabile scapestrato, con qualche pericolosa tendenza autolesionista? Lo abbiamo notato già all’epoca del pruriginoso, ma diverso, caso Marrazzo. Il carattere spurio della nostra sicurezza ideologica in fatto di sessualità si delinea in tutta la sua ipocrisia ogni volta che si tratti di transessuali. Ce l’abbiamo con la sessuofobia, che addebitiamo erroneamente alla chiesa e al materialismo cristiano dell’incarnazione, e pretendiamo di essere pansessuofili liberati capaci di proclamarlo con tono compunto, invece ci riveliamo sessuofobi al momento buono della prova. Siamo per l’omologazione di tutti gli stili di vita e di eros, ma all’atto pratico ci ritraiamo stranamente pudichi di fronte alla loro divulgazione gossipara. Che dovrebbero essere, in una società boniniana, cioè molto stupida e molto linguisticamente corretta, solo degli esseri umani diversamente sessuati. Oppure gli eroi di una riforma del gender e della sua cultura, riformatori cioè dell’idea che il sesso sia predeterminato dalla natura, il che per i bonineschi è quanto di più reazionario, e vile, possa affermarsi in epoca di postilluminismo dispiegato.

I transessuali sono persone amabilissime, peccatori già redenti in linea di principio dalla prospettiva di un inferno teologicamente vuoto, spesso sono persone molto spiritose, in alcuni casi invece disperate e socialmente svantaggiate dalla contiguità stretta con gli ambienti della prostituzione; sono comunque soggetti erotici che possono piacere proprio in virtù della multidimensionalità e ambivalenza estrema del loro corpo naturale-artificiale e della loro astratta corporeità mentale, vanno bene per i trattati di sessuologia libera, per le retoriche occasionali del gender, ma guai a farsi fotografare con loro, guai ai video, guai guai guai.

Penso che Lapo non avrebbe mai dovuto vergognarsi di quelle foto e riscattarle, se (come sembra) lo abbia fatto; invece dobbiamo vergognarci tutti della nostra meschinità, della nostra ipocrisia. Non siamo moralisti. Magari. Moralisti è una bella parola, che Giovanni Macchia spiegò da maestro in un vecchio suo saggio sui moralisti classici; i moralisti veri sono quelli che elaborano un forma alta e profonda e brillante di scetticismo, oppure che combattono machiavellicamente e volontaristicamente l’incerto con il certo, nutrendo pessimismo e speranza in una combinazione di rara bellezza, non certo i mozzorecchi o i sepolcri imbiancati oggi in voga.

Giuliano Ferrara