Roma. IlWall Street Journal l’ha chiamata
eloquentemente “cristianofobia islamica”.
E’ impressionante l’ultimo rapporto
dell’organizzazione no profit americana
Open Doors, che getta nuova luce sulle
dimensioni dell’agonia cristiana in terra
islamica. Dei cinquanta paesi presenti in
lista, oltre a regimi comunisti e dittature,
trentacinque sono islamici. Lo sono anche
otto dei primi dieci. Mentre proseguono
gli attacchi alle chiese in Malesia, si scopre
che la cellula islamista che ha ucciso
i sette cristiani in Egitto puntava al vescovo
Anba Kirollos. Nel rapporto annuale
World Watch List, Open Doors elenca i
paesi dove maggiormente la fede cristiana
è sottomessa e perseguitata. Tutti islamici,
tranne la Corea del Nord al primo
posto e più avanti il Laos, due distopie totalitarie
comuniste. In Corea del Nord
ogni manifestazione religiosa è considerata
“insurrezione antisocialista” ed è
permesso soltanto il culto di Kim Jong-Il.
Il regime ha sempre tentato di ostacolare
la presenza religiosa, in particolare di
buddisti e cristiani, e impone ai fedeli la
registrazione in organizzazioni controllate
dal partito. Sono frequenti le persecuzioni
violente nei confronti dei fedeli e di
coloro che praticano l’attività missionaria.
Da quando si è instaurato il regime comunista
nel 1953, sono scomparsi circa
trecentomila cristiani e non ci sono più
sacerdoti e suore, forse uccisi durante le
persecuzioni. Attualmente sono circa ottantamila
quelli che nei campi di lavoro
sono sottoposti a fame, torture e morte.
L’Iran è il secondo carnefice dei cristiani,
quando il presidente Ahmadinejad
si fa beffe delle anime belle dichiarando
che in Iran “le minoranze religiose godono
di diritti uguali”. I cristiani in Iran sono
360 mila su una popolazione di 65 milioni
di abitanti; i cattolici sono 25 mila.
Nel 2009 il regime dei mullah ha arrestato
95 cristiani e l’anno precedente una
coppia di missionari è stata torturata a
morte. In Iran, le campagne sulla moralità
nel vestire portata avanti dalle “pattuglie
della modestia”, perché il vestire sia più
adeguato all’ideale islamico totalitario, è
uno dei mezzi principali di negazione della
libertà religiosa personale, omologando
tutti (musulmani e non) in un solo modello
(“il vestito nazionale islamico”), confezionato
dal regime per reprimere e controllare
la popolazione. Il problema più
spinoso sono però i cristiani convertiti
dall’islam. Di fatto, sono “illegali”. Si tratta
di musulmani convertiti alla fede cristiana,
o cristiani “pentiti” che ritornano
alla fede originaria dopo essersi formalmente
convertiti all’islam (nel caso di un
matrimonio misto); oppure sono figli di
coppie islamo-cristiane. Nel 1994 il pastore
protestante Haik Hovsepian venne ucciso
e sepolto in una fossa comune con un
musulmano convertito al cristianesimo
che il religioso aveva difeso pubblicamente.
Molto spesso i convertiti devono
tenere nascosta la loro nuova fede perfino
alla famiglia; oppure devono decidersi
a emigrare per poterla rendere pubblica.
Alle cerimonie nelle chiese cristiane è
presente sempre la polizia: ufficialmente,
a titolo di “protezione” dei luoghi di culto;
di fatto, al fine di proibire l’ingresso a
coloro che non sono “legalmente cristiani”.
Per costume, l’apostasia viene infatti
condannata con la morte, comminata
spesso dagli stessi parenti del convertito.
“Braccio d’un lavoratore italiano”
In Mauritania, dove ci sono diverse migliaia
di cristiani, la sola religione riconosciuta
è quella islamica, è vietato il proselitismo
e chi si professa cristiano in
pubblico è perseguito penalmente. In Afghanistan
non è meno oscurantista la situazione,
nonostante la liberazione del
paese dal giogo talebano. La situazione
dei cristiani è definita “catacombale”. Gli
unici cristiani che vivono la fede apertamente
sono i membri della comunità internazionale,
tanto che l’unica chiesa pubblica
è la cappella all’interno dell’ambasciata
italiana a Kabul.
L’Arabia Saudita, custode della Mecca
e Medina, è al terzo posto nella classifica
e vieta ufficialmente ogni culto non islamico.
La polizia religiosa (i famigerati mutawwa’in)
si occupa di monitorare la pratica
di altre religioni e ha poteri enormi.
Così si registrano arresti sommari e torture
di fedeli cristiani in carcere. Spesso la
polizia religiosa detiene cristiani che vengono
liberati solo dopo aver firmato un
documento in cui abiurano la loro fede. I
lavoratori non musulmani sono soggetti
all’arresto, alla deportazione e alla prigione,
se vengono sorpresi nell’esercizio
di qualsiasi pratica religiosa, oppure se
vengono accusati di detenere materiale
religioso e di proselitismo. Nella vecchia
Gedda esiste un cimitero di cinquecento
non musulmani, gestito dal consolato svizzero.
Non viene usato da mezzo secolo. Ci
sono due tombe di ebrei dei primi del Novecento,
un’antica lapide che recita “braccio
d’un lavoratore italiano” e alcuni bambini
filippini che riposano senza croce.
Giulio Meotti