di Giorgio Israel
Tratto da Tempi del 27 gennaio 2010
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Ho sempre istintivamente evitato di leggere i romanzi di Dan Brown. Dovendo intraprendere un lungo viaggio aereo e vagabondando tra gli scaffali della libreria dell’aeroporto mi sono detto che forse potevo cogliere l’occasione per leggerne uno e farmi un’idea non per sentito dire.
In fondo, ho pensato, sarà un modo di passare il tempo: quantomeno la trama sarà accattivante. Così ho comprato il primo romanzo a portata di mano, Angeli e demoni, in inglese.
Trama animata e divertente? Non soltanto una mortale bufala, una broda allungata a forza pur di riempire un numero accettabile di pagine. Ma un’accozzaglia di assurdità da lasciare a bocca aperta. Non si tratta soltanto dell’inverosimiglianza della trama, del fatto che le costruzioni fantascientifiche sono assolutamente improbabili: per esempio, è difficile che un aereo sperimentale che viaggia a una velocità di una quindicina di volte quella del suono possa atterrare su un aeroporto normale senza essere notato. Non si tratta neppure soltanto del carattere malamente abbozzato dei personaggi, talvolta caricaturali fino al limite del ridicolo. Si pone una domanda più elementare: è mai possibile che uno scrittore di best seller che guadagna quattrini a palate non abbia la possibilità di ingaggiare qualcuno che gli riveda il testo in modo da non propinare parole in italiano malamente storpiate? Non è un’usanza tipicamente americana quella di avvalersi dei “revisori stilistici”? Evidentemente Dan Brown è un pasticcione, un avaro o gli piace prendersi in giro da solo, visto che ci propina “Capella Sistina” con una “p” sola, fa dire che «non si può entrare perché… è chiusa temprano», fa intimare che «basta di parlare» e così di seguito. Sembra di sentire uno di quei turisti americani che parlano a mozziconi di un italiano improbabile: il guaio è che quei mozziconi vengono messi in bocca a personaggi italiani. Ma dove Brown raggiunge un vertice è nella descrizione di Roma dall’alto dell’aereo: un dedalo caotico di viuzze che si avvolgono senza regola alcuna attorno a chiese e ruderi “in rovina” (sic) e nelle quali impazzano miriadi di auto Fiat. Un’immagine, osserva Brown, che è il simbolo dell’assenza di ordine. Insomma Roma è il caos allo stato puro. Che sensibilità artistica e culturale! Con spettacolare incoscienza Brown si presenta nella parte caricaturale del cow boy giunto dal profondo Midwest che si chiede perché non si butti giù quel rudere in rovina del Colosseo per rifarne uno nuovo in vetrocemento e non si spiani tutto il centro di Roma per sostituirlo con un sistema di strade ortogonali comprensibili.
È comunque indubbio che Brown è totalmente inconsapevole della propria ignoranza. Ad esempio, sapete quale religione si praticava nel Pantheon di Roma? Il culto di tutti gli dei pagani, ovvero… il panteismo… C’è poco da ridere. Milioni di persone si bevono queste boiate pazzesche e finiscono pure col credere che il panteismo sia il politeismo.
Alla fine di questa lettura mi sono chiesto quale giudizio potrebbe ottenere Dan Brown nei termini della fatidica triade conoscenze/competenze/abilità tanto cara ai patiti di valutazione scolastica. La risposta è semplice. A competenze se la cava benissimo: per esempio, «sa usare strumenti e materiali finalizzandoli al raggiungimento di uno scopo, in seguito a un proprio progetto». Difatti, è riuscito a finalizzare una massa di bufale e di castronerie al conseguimento di una montagna di quattrini. Ad abilità poi non ne parliamo: sta alle stelle. Più “abile” di lui difficile trovarne. Quanto a conoscenze sta a zero. Ma che importa? Quello che conta è che nella certificazione delle competenze se la caverebbe alla grande.