DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

E Port-au-Prince finisce nelle mani dei tagliagole Versione adatta alla stampa

di Fausto Biloslavo
Tratto da Il Giornale del 17 gennaio 2010

Il presidente haitiano Réne Préval girava in moto nella capitale, poche ore dopo il terremoto, per rendersi conto delle distruzioni.

Il suo palazzo bianco si è afflosciato e con il primo ministro cerca di fare il possibile da un commissariato di polizia vicino all'aeroporto. I timori di una rivolta della popolazione non mancano. Lo stesso capo dello Stato continua a ripetere: «Con il passare del tempo la gente è sempre più impaziente. Crescono la rabbia e la furia». Oltre agli aiuti ha chiesto alle truppe dell’Onu, scosse dal terremoto, di dotarsi di armi non letali, come idranti, lacrimogeni, proiettili di gomma, in previsione del peggio. Nelle strade della capitale sono comparse le «chimères», le bande criminali utilizzate dalla politica nella tormentata storia di Haiti. Giovinastri impongono la legge del machete.

L'esercito locale, affezionato ai golpe, è stato abolito. La Police nationale haïtienne si è sfaldata. Il vuoto di potere è simboleggiato dal triangolo di strade del centro di Port-au-Prince il palazzo di Giustizia e il ministero degli Interni sono cumuli di macerie. Il terremoto ha fatto strage di parlamentari o delle loro famiglie. Il presidente del Senato era disperso. Lo Stato sembra dissolto.

Un commissariato vicino all'aeroporto, dove sono già arrivati i paracadutisti dell'82ª divisione aviotrasportata Usa, è diventato la sede di quello che resta dell'autorità governativa di Haiti. Il premier, Jean-Max Bellerive, riunisce il gabinetto con i pochi che riescono a raggiungere il commissariato: «Il governo ha perso la sua capacità di funzionare, ma non è distrutto» ha assicurato il presidente Preval.

Il ministro del Turismo, Patrick Delatour, ha perso i genitori e altri parenti nel terremoto. Per farso coraggio dichiara al New York Times: «È un giorno nero, ma abbiamo nella memoria i ricordi della schiavitù. Non c'è nulla di peggio».

Più realista il suo collega, Edwin Paraison, per gli haitiani all'estero, che con le loro rimesse tengono in piedi l'isola: «Nessun ministero è operativo al momento. Cinque dicasteri sono stati completamente rasi al suolo».

Il parcheggio del commissariato, nuova sede del potere ad Haiti, è sovraffollato da eleganti Suv. A fare la guardia un corpo di élite della polizia haitiana, mentre le unità normali sembrano essersi sciolte come neve al sole: «Gli agenti pensano a mettere in salvo le loro famiglie» spiegano gli occidentali sopravvissuti. Qualche poliziotto è di guardia alle pompe di benzina. La capitale è senza luce e il carburante serve per i generatori.

Si cominciano a udire degli spari. Almeno 4mila detenuti sono evasi dal carcere della capitale, grazie al sisma. Molti girano armati. La gente è inferocita per gli aiuti che arrivano a rilento e le autorità che non si vedono. I primi slogan scanditi fra le macerie paragonano il caudillo venezuelano Chavez al presidente Usa: «Ho sentito parlare di possibili manifestazioni. Il governo è in ginocchio e la gente protesta perché ha bisogno di aiuti immediati» spiega Elisa Rusciani, responsabile ad Haiti del Cesvi, un'ong di Bergamo.

All'arrivo degli aiuti scoppiano risse e qualcuno chiede, esasperato «più medici che giornalisti». I saccheggi e le razzie aumentano. «Improvvisamente si sono materializzati uomini che avevano dei machete in mano per rubare» ha riferito Evelyne Buino, una giovane estetista di Port-au-Prince. Le famose «chimères», le bande haitiane in parte politicizzate si stanno organizzando.

Le gang più forti sono quelle delle bidonville della capitale, come Cité Soleil (la città del sole) e Bel Air. «Spesso in guerra fra loro, legate al traffico di droga e armi, trasformano alcuni quartieri in roccheforti» spiega la volontaria. Haiti è famosa per i sequestri lampo, anche di occidentali. Per i locali meno abbienti chiedono riscatti di 1000 o 2000 dollari. Le famigerate «chimères» erano un'arma politica ai tempi dell'ex presidente Aristide, che dopo il sisma è apparso in tv in Sudafrica. Con la moglie vestita a lutto ha annunciato un improbabile rientro in patria: «Amici di tutto il mondo mi hanno confermato la loro volontà di organizzare l'invio di un aereo che trasporti equipaggiamenti medici, aiuti di urgenza. E noi». Forse sogna di riprendere il potere, ma in questo momento rischia di favorire il caos.

Gli americani conoscono bene il pericolo, che spingerebbe migliaia di haitiani a cercare rifugio negli Stati Uniti. Anche per questo motivo da lunedì la Task force Haiti lanciata dal Pentagono conterà su oltre diecimila uomini. Non solo per l'emergenza terremoto, ma per garantire la sicurezza e stroncare la legge del machete.