Nel vudu, il culto sincretico che è la
grande icona di Haiti nella cultura di
massa, c’è Mambo, la Loa che porta le tempeste.
Ci sono Azaka-Tonnerre, Diable
Tonnerre e Sobo: ben tre Loa del Tuono.
C’è Clermeil, il Loa delle inondazioni. E
c’è soprattutto Ogoun, dio fabbro del fuoco
terrestre e del ferro, come il vulcano classico,
anche lui è associato al tuono e presiede
alla guerra e alla politica. Due attività
che nella turbolenta storia haitiana
sono state quasi sempre collegate. Non c’è
però un dio dei terremoti. Segno inequivocabile
che a Haiti e nei Caraibi in genere
i terremoti stessi sono sempre stati considerati
un problema minore, rispetto alla
tremenda frequenza degli uragani, nome
anch’esso che deriva da una divinità caraibica,
dei tempi precolombiani. Molto
frequenti anche le inondazioni, in un’isola
crudelmente deforestata. Quanto ai vulcani,
nella memoria collettiva caraibica
c’è il ricordo della Pelée, il vulcano della
Martinica la cui eruzione nel 1902 uccise
ventimila persone, trasformando la città di
Saint-Pierre nella “Pompei americana”.
Questo non vuol dire che la terra ogni
tanto non tremi. Ma, da quando Cristoforo
Colombo è arrivato nelle Bahamas, è questo
il più micidiale terremoto che si ricordi
in tutta la storia dei Caraibi. Le decine
di migliaia di morti di cui si parla in queste
ore vanno raffrontate alle cinquemila
vittime che fece il sisma delle Leeward
Islands nel 1843: quello che finora era stato
il più cruento della regione. E quanto al
più famoso, quello che in Giamaica nel
1692 sprofondò in mare la “capitale dei pirati”
Port Royal, non oltrepassò le duemila
vittime. Fu però quel sisma a sradicare
la pirateria caraibica che fino a quel momento
aveva imperversato senza che nessuno
riuscisse ad arginarla. La mentalità
dell’epoca vi lesse una punizione divina
verso i predoni. Sulla rete in questo momento
non mancano di circolare tesi del
genere, con vari internauti americani che
parlano di “castigo di Dio sui pagani” proprio
per la diffusione del vudu a Haiti.
Il terremoto arriva in un momento geopolitico
particolare, con tre paesi che stanno
rivaleggiando per la leadership dell’emisfero:
gli Stati Uniti di Barack Obama,
che stanno prudentemente tornando a
guardare il “cortile di casa” dopo essersi
dedicati ai problemi mediorientali; il Venezuela
di Hugo Chávez, la cui sfida a Washington
è ormai da tempo dichiarata; e il
Brasile di Lula, che dice di voler fare da
cerniera andando d’accordo con gli uni e
con gli altri a un tempo, ma che in pratica
sta facendo concorrenza a entrambi.
La poverissima Haiti, con gli indici economici
e di sviluppo umano peggiori di
tutto l’emisfero occidentale e con i due
quinti del bilancio pubblico rappresentato
da aiuti allo sviluppo, stava in questo
momento cercando di attingere da tutti e
tre. Gli Stati Uniti restano il principale
partner, ma dalla visita fatta a Haiti nel
marzo 2007 anche Chávez ha sviluppato
un imponente programma di aiuti: almeno
un miliardo di dollari nei settori di
energia, sanità e infrastrutture. Nel pacchetto
erano comprese quattro centrali
elettriche da costruire a Port-au-Prince,
Cap-Haïtien e Gonaïves; una raffineria da
diecimila barili al giorno; una fornitura
da altri quattordicimila barili di petrolio
al giorno, ai prezzi favorevoli riservati ai
soci dell’Alba sebbene Haiti non ne faccia
parte. D’altra parte è il Brasile è presente
in loco: attraverso il comando, affidato al
generale Luiz Carlos da Costa, e il principale
contingente, 1.266 uomini su 9.065,
della Minustah, la missione dell’Onu per
la stabilizzazione di Haiti, inviata dopo la
guerra civile che nel 2004 costrinse all’esilio
il presidente Aristide. Stati Uniti, Venezuela
e Brasile sono in prima linea per
gli aiuti. Il Brasile ha subito ordinato ai
propri Caschi blu di mobilitarsi alla ricerca
dei sopravvissuti. Chávez ha inviato
un primo gruppo di 50 specialisti nel recupero
di vittime di calamità.
Gli Stati Uniti a loro volta invieranno
due di queste squadre, una dalla California
e una dalla Virginia, in attesa di una
possibile mobilitazione dell’intero Comando
sud. Emergenze di questo tipo
erano la motivazione ufficiale per cui è
stata di recente ricostituita la Quarta flotta
dei Caraibi: accusata da Chávez di essere
l’apripista a un “ritorno imperiale”
nella regione. Nella partita è anche Bill
Clinton, inviato speciale delle Nazioni
Unite a Haiti.
Il guaio, però, è che in un primo momento
il presidente brasiliano Lula è apparso
più preoccupato di salvare gli stessi
soldati brasiliani, che non di mandarli a
salvare gli haitiani. Almeno undici di loro
sono morti, la sede dell’Onu e la maggior
parte delle installazioni del contingente
sono andate in briciole, e al momento in
cui scriviamo risulta disperso il generale
da Costa, oltre al suo superiore civile, il tunisino
Heddi Annaba. Quanto a Chávez, in
questo momento la situazione è tremenda
anche a casa sua, con l’annuncio di un severo
razionamento dell’energia e i militari
mandati demagogicamente in strada a
cercare di fermare la penuria chiudendo
i negozi degli “speculatori”. Restano gli
Stati Uniti, pronti a mandare una nave
ospedale, mentre c’è già chi chiede alle
banche salvate dallo stato di usare quei
soldi per fare un bailout di Haiti.
Il Foglio 14 gennaio 2010