In un dossier riservato l’accusa: pressioni lobbistiche laiche e “spregiudicatezza ingenua” di un direttore autorevole
E’ stato venerdì 8 gennaio che il bollettino ufficiale della Santa Sede ha comunicato: il Papa nella mattinata ha ricevuto in udienza il cardinale Camillo Ruini, vicario generale emerito di Benedetto XVI per la diocesi di Roma.
Tre giorni fa Ruini ha incontrato Silvio Berlusconi e Gianni Letta.
Il Foglio è in grado di fornire informazioni sull’incontro del Papa con Ruini di due settimane fa: tra i temi più importanti in agenda c’era il “caso Boffo”, tutt’altro che chiuso. Ruini ha detto al Pontefice una cosa che questi non sapeva. E cioè che chi ha lavorato per far scoppiare il caso, ovvero chi ha accreditato e avvalorato al direttore del Giornale Vittorio Feltri l’informativa anonima su Boffo poi rivelatasi non corrispondente agli atti processuali – “un informatore attendibile, direi insospettabile”, ha scritto Feltri sul Giornale il 4 dicembre scorso in un articolo nel quale ritrattava ogni cosa – è un ambiente lobbistico che si è avvalso di una certa “spregiudicatezza e ingenuità” del direttore dell’Osservatore Romano per indirizzare la penna di Feltri contro Boffo.
Lo fanno notare anche alcuni tra gli esponenti più colti e raffinati del mondo dell’associazionismo cattolico italiano: “L’intervista che Gian Maria Vian, poche ore dopo l’attacco di Feltri sul Giornale a Boffo, ha concesso al Corriere della Sera per rivendicare a merito del suo Osservatore, a differenza di Avvenire, una sana prudenza (perché non aveva mai scritto sulle vicende private del Cavaliere), avrebbe fatto drizzare le orecchie a qualsiasi investigatore minimamente dotato di intuito”.
Il motivo che ha spinto questo influente giro laico e postfemminista a indirizzarsi contro Boffo è chiaro: questi rappresentava, sia nella sapiente direzione di Avvenire che nell’indiscussa capacità di tenere rapporti personali, il “trait d’union” tra Ruini e il suo successore alla guida della conferenza episcopale italiana, il cardinale Angelo Bagnasco. Un “trait d’union” che avrebbe garantito alla Cei di continuare ad libitum la linea messa in campo nel quindicennio della sua presidenza da Ruini: forte presenza nell’agone pubblico invece che tiepida irrilevanza, nessun arretramento sulle battaglie inerenti quei princípi che Benedetto XVI, per la prima volta nel discorso rivolto il 30 marzo 2006 ai parlamentari del Partito popolare europeo ricevuti in udienza in Vaticano, definì apoditticamente “non negoziabili”.
Beninteso: Vian ha dimostrato in questi due anni di direzione del giornale vaticano ottime qualità, riconosciute da tutti dentro e fuori il Vaticano: il suo Osservatore è brillante, pieno di idee, contributi significativi, spunti che aprono dibattiti di idee e di cultura. Insomma, si legge e si fa leggere senza perdere in autorevolezza. Sono le legittime ma oblique pressioni di chi lavora nelle retrovie e in una prospettiva post o anti ruiniana a essere state (e a essere tutt’ora) molto forti. A volte troppo forti. Sono pressioni il cui campo d’azione spazia anche fuori le mura vaticane e arriva fino a influenzare (a tratti in modo fin troppo evidente) l’informazione religiosa del primo quotidiano italiano della borghesia laica, il Corriere della Sera.
Benedetto XVI era colpito da questa versione dei fatti. L’emergere di sospetti e manovre che mostrano i sorprendenti risvolti del caso Boffo non deve avergli fatto piacere. Toccherà al segretario di stato vaticano, il cardinale Tarcisio Bertone, e al sostituto, l’arcivescovo Fernando Filoni, sciogliere la matassa, ovvero valutare ogni cosa a dovere e con oculatezza, come ha chiesto loro la Casa pontificia. Del resto sia Bertone sia Filoni lavorano in piena sintonia con il Papa e questi sa che può fidarsi completamente di loro. Giusto due giorni fa, tra l’altro, è stato l’Osservatore di Vian a pubblicare in prima pagina la lettera datata 15 gennaio 2010 con la quale Benedetto ha confermato Bertone come segretario di stato al compimento (lo scorso dicembre) dei 75 anni: “Ho sempre ammirato il suo ‘sensus fidei’, la sua preparazione dottrinale e canonistica e la sua ‘humanitas’”, ha significativamente scritto il Papa. E’ vero che questa conferma pubblica è oltre un mese dopo il compleanno, ma in questi casi la sostanza conta molto più della tempistica. E la sostanza emerge chiaramente dalla lettera: il Papa ritiene preziosa la collaborazione del suo segretario di stato e non intende “dimissionarlo”.
© Copyright Il Foglio, 23 gennaio 2010