DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Haiti, l’isola che non c’è più, dove la catastrofe naturale è crollata su un disastro in sonno

Port-au-Prince era già un disastro in sonno, un semicerchio di quartieri densi che si ammonticchiano fra il mare dei Caraibi e le colline dietro e in alto, dove soltanto le case meno povere hanno finalmente un po’ d’aria. Era un milione e mezzo di abitanti: e una parte di loro vivacchiava nella grande baraccopoli in lamierino divisa in distretti con tanto di nomi ma in verità senza interruzioni, con viuzze così strette da permettere il passaggio soltanto uno alla volta. Alle cinque di pomeriggio di due giorni fa sopra questa catastrofe umana è crollata la catastrofe naturale. Quattro scosse del grado 7,3 della scala Richter hanno raso al suolo gran parte di Port-au-Prince e hanno ucciso “decine di migliaia di persone”, dice il presidente di Haiti, René Préval. Quattro botte perfette e ravvicinate, trenta secondi in tutto ma ad appena dieci chilometri di profondità, quasi in verticale attorno alla zona sud della capitale, senza distinzione tra ricchi e poveri. “Che tanto è una distinzione che qui non ha senso – dice Suor Marcella, missionaria da quattro anni al Wharf Jeremy, una delle zone più disgraziate della città, il Molo da dove partono le barche verso l’isola di Jeremy – Quando ho portato i miei amici italiani nel quartiere bene su in alto, dove ci sono anche i consolati, credevano di essere già arrivati alla mia bidonville”.

Suor Marcella lavorava in un ambulatorio pediatrico in affitto, con l’aiuto di un piccolo furgone Kia in cui si era riusciti a ricavare venti posti. Tutto crollato. Ha notizie sparse degli altri volontari. Dice che su, dove c’era il vecchio albergo di Pétionville Ville, dove gli aiuti stranieri dormono quando arrivano in città, hanno tirato fuori dalle macerie un americano morto e ne stanno cercando altri cinque.
Che il presidente stesso fosse riuscito a scampare al terremoto lo ha dovuto annunciare il suo ambasciatore dal Messico, il primo a ritrovare il contatto certo con lui da fuori, dopo la violenza delle scosse di ieri che ha ammutolito tutto, radio, televisioni, telefoni e ha lasciato aperte solo comunicazioni sporadiche via Internet. Préval ha fatto il conto incredulo della devastazione: “Il Parlamento è crollato. L’ufficio delle tasse è crollato. Le scuole sono crollate. Gli ospedali sono crollati. Il paese è distrutto”. Anche il suo palazzo presidenziale, un Campidoglio color latte in una zona ariosa della città, è crollato uccidendo gli occupanti, ma lui, e la sua famiglia, per caso erano fuori.

Anche i ministeri dell’Interno e della Sanità, l’ambasciata di Francia, il comando della missione dei Caschi blu delle Nazioni Unite – a cui tutti hanno pensato di chiedere soccorso, prima di scoprire che era stato colpito duramente e che fra i morti c’è anche il comandante della missione – gli alberghi non esistono più. Cinquanta francesi mancano all’appello, e anche una ventina di militari dell’Onu. La cattedrale gotica di Notre Dame di Port-au-Prince è venuta giù, e sotto le macerie è morto l’arcivescovo, monsignor Serge Miot. L’arcivescovado, le grandi chiese e i seminari sono stati tutti distrutti, dicono i missionari cattolici, abituati a tutto ma non a questo.
Il premier di Haiti, Jean-Max Bellerive, dice alla Cnn che il terremoto potrebbe aver causato non decine, ma un centinaio di migliaia di morti. Dopo le scosse, raccontano i testimoni, sulla linea della costa, prima affollata di casupole e ora ingombra di macerie, sono arrivate anche le ondate di acqua smosse dal terremoto, “a fare galleggiare i cadaveri e a portarseli via”. Il centro d’allerta americano per gli tsunami ha dato l’allarme a Cuba – dove trentamila persone sono state evacuate dalla parte meridionale dell’isola – alla Repubblica Dominicana e alle Bahamas, ma poi l’allarme è rientrato.

Il lavoro di salvataggio e di recupero è cominciato, ma tutti i soccorritori già sul campo mandano lo stesso messaggio: il paese più povero del continente americano è a pezzi, non riuscirà a curarsi da solo. L’America, che per prima ha mandato un volo di ricognizione militare sull’isola per sapere che cosa è successo, ha mobilitato “tutte le risorse, perché l’aiuto nelle prime 72 ore sarà fondamentale”; l’Unione europea ha stanziato tre milioni di euro per il soccorso più urgente, a cui si stanno aggiungendo quelli in arrivo dai singoli paesi.

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