DA R OMA P INO C IOCIOLA
« S ono sicuro di poter sostenere con forza un’unica cosa: di assoluta assenza di sofferenza si può parlare esclusivamente in pazienti anencefalici, cioè che non hanno più la corteccia cerebrale » , e non era il caso di Eluana Englaro: Steven Laureys dirige il ' Coma Science Group ', conduce da molti anni ricerche sui criteri diagnostici più efficaci per determinare le percezioni nei pazienti in coma, in stato vegetativo e in minima coscienza ed è, probabilmente, il più autorevole scienziato mondiale su questi temi.
Ha letto l’autopsia fatta su Eluana. Nella quale ad esempio si certifica che il suo cervello « pesava 1.100 grammi » ed era « normoconformato » , cioè assolutamente normale come massa e peso rispetto al corpo di Eluana, che era alta 171 centimetri e pesava (al momento della morte) 53 chili e mezzo. Corpo sul quale « non si evidenziano decubiti » . E tanto altro.
Sebbene attraverso un’analisi post mortem, professor Lauryes, si può stabilire adesso se Eluana fosse in uno stato vegetativo persistente o in quello di coscienza minima?
No. Sulla base delle nostre conoscenze, gli esami
post mortem non consentono di distinguere tra uno stato vegetativo e uno di minima coscienza. Lo stato vegetativo e quello di coscienza minima sono comunque diagnosticati a livello clinico.
A Eluana restava almeno una flebile possibilità di riacquistare parte della sua coscienza?
Al momento sappiamo che le possibilità di ' recupero' dopo dodici mesi in stato vegetativo post- traumatico sono vicine allo zero, mentre per gli stati di coscienza minima non abbiamo criteri temporali per l’irreversibilità. Sappiamo soltanto che le possibilità di recupero in uno stato di coscienza minima sono maggiori che per lo stato vegetativo.
A quali accertamenti avrebbe dovuto essere sottoposta Eluana – in vita – per una corretta diagnosi del suo quadro clinico?
Come abbiamo recentemente dimostrato ( con la pubblicazione sull’autorevole rivista di neurologia
Bmc neurology 2009, ndr ), valutazioni comportamentali, ripetute attraverso scale standardizzate e testate, la ' Coma recovery scale', consentono di avere diagnosi più precise rispetto a quelle ottenute attraverso scale di valutazione non standardizzate. Alle tecniche di neuro- immagine si sta attualmente riconoscendo un ruolo importante, ma al momento non sono indicate come obbligatorie dalle linee guida.
Sarebbe a dire?
Secondo il mio punto di vista, come abbiamo anche più volte pubblicato, usando ' protocolli pilota' le misurazioni oggettive della funzione cerebrale possono aiutare a confermare la diagnosi clinica, come nel caso della morte cerebrale. Infatti, insieme alla ripetizione dei controlli complementari, aiutano a prendere decisioni difficili sulla prosecuzione di un trattamento o meno.
Il cervello di una persona in stato vegetativo presenta massa e peso minori?
Sì, basta leggere quanto pubblicò già nel 2005 Graham ( The boundaries of consciousness. Laureys editor, 2005 Elsevier) nella collana scientifica internazionale Progress in brain research che si occupa specificamente delle ricerche sul cervello.
Come si capisce con certezza se una persona in stato vegetativo è in grado di deglutire o meno? Ed è possibile farlo attraverso un’autopsia?
Questo di nuovo è un segno clinico che preferirei... diagnosticare pre- mortem.
Si può dire con certezza che Eluana non provasse alcun dolore?
Se Eluana si fosse trovata in stato vegetativo con- sidererei molto improbabile che avesse una percezione cosciente del dolore. Al contrario, qualora il suo fosse stato uno stato di coscienza minima sono sicuro che avrebbe sentito dolore e avrebbe sofferto. Avrebbe conservato un certo livello di emozioni.
A proposito, professor Lauryes: è possibile certificare che le persone in stato vegetativo non provino emozioni?
Al momento, studi di neuro- immagine funzionale su gruppi di pazienti in stato vegetativo mostrano attivazione cerebrale che la maggior parte della comunità scientifica ritiene insufficiente per avere una percezione cosciente del dolore. Tuttavia mi sento di poter sostenere con forza un’unica cosa: di assoluta assenza di sofferenza si può parlare esclusivamente in pazienti anencefalici, che cioè non hanno più la corteccia cerebrale.
Non si può escludere che la paziente abbia sentito dolore e che la procedura della morte indotta le abbia procurato sofferenza, anche con la presenza di emozioni