DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Il cuore in mano L’Odissea dei migranti eccita sentimentalismo, invece ci vuole realismo. Giuliano Ferrara

Una esplosione di sentimentalismo, anche di buona stoffa, e certamente frutto di ottime intenzioni, spinge parte della società italiana a esprimere in mille modi compassione per gli sventurati che da dieci anni abitavano nelle topaie in mezzo agli aranceti di Rosarno, ai miserabili neri braccati dall’uomo bianco e poi espulsi da un ministro del nord, ai nuovi ebrei che “se questo è un uomo”. Qui si sostiene la tesi realista, contraria: il sentimento benigno fa in questo caso la piaga purulenta, in una spirale di ri-sentimenti inevitabile, accidiosa, maligna.

Per esempio, Gian Antonio Stella. Ha scritto libri, saggi e articoli encomiabili, testi in cui si vede che l’autore crede, per dirci che anche noi siamo stati immigrati illegali, clandestini, e che anche noi abbiamo abitato nelle topaie, che siamo stati assediati dallo sdegno e dal disprezzo dei più ricchi, e trattati a volte come bestie da gente che voleva rassicurarsi, che aveva paura del fenomeno da noi rappresentato. Lo scopo di Stella è di rimuovere la rimozione, farci capire che non si deve essere razzisti e xenofobi, che occorre accettare l’altro, conviverci in modo degno e civile, aiutarlo, averne compassione, integrarlo. E questo anche in nome delle sofferenze patite dai nostri nonni, dolori appunto rimossi e che invece dovremmo ritrovare, se non altro sul piano della conoscenza storica, per agire in modo sensato, oggi, da cittadini di un mondo globalizzato in cui le migrazioni sembrano inarrestabili, crudeli e cieche come i problemi che generano.
E se provassimo a rovesciare il canone sentimentale, per sottoporre la tesi di Stella, rovesciata, al filtro del realismo politico e sociale? Il fatto che prendessero a calci nel sedere i nostri nonni emigrati in cerca di fortuna vuol dire che noi nipoti, appresa la lezione, dobbiamo cambiare registro e fare uno sforzo di volontà per cambiare comportamento verso i migranti di oggi? Certo che sì.

Ma c’è un risvolto. Forse dobbiamo fare uno sforzo di intelligenza, prima che di volontà, per capire che è una costante sociale, difficile da sradicare o da esorcizzare, quella per cui le popolazioni autoctone reagiscono con intolleranza alle invasioni migratorie incontrollate, e quando percepiscono un sentimento socialmente più forte dell’amore, il sentimento della paura, nascono i seri problemi di ieri e di oggi. E allora, per essere all’altezza dei nostri nonni, dobbiamo fare in modo che l’incontrollato, il clandestino, l’illegale siano ridotti a problema di piccolissime minoranze, e cercare di integrare in una logica di sviluppo e di benessere materiale, come avviene in molte aree del burbero e intollerante nord, prima che proporci di accettare chiunque in un logica di compassione e di accoglienza spirituale il cui altro volto è, nei fatti, lo sfruttamento più atroce e l’esclusione.

Giuliano Ferrara