Raafat Moussa, durante la Divina Liturgia nella grotta in cui visse e pregò Sant'Antonio il Grande, nel deserto orientale egiziano
Vi presentiamo un’intervista che abbiamo fatto a un giovane studioso di liturgia, Raafat Moussa.
Raafat Moussa è nato al Cairo e da qualche anno si trova a Roma per svolgere un dottorato di ricerca presso il PIO (Pontificio Istituto Orientale) il cui oggetto è la liturgia della Settimana santa nella Chiesa copta ortodossa.
Epidiacono, Raafat Moussa è un degno figlio della grande tradizione alessandrina la cui bellezza non manca mai di sottolineare. A Raafat ci lega una grande amicizia. Le nostre conversazioni sono sempre fonte di rara ispirazione e di grandi scoperte.
Che il nostro Dio Triuno lo protegga e compia in lui la Sua volontà.
1. Che posto ha il digiuno di Avvento nel calendario liturgico copto?
Il digiuno di Avvento nella Chiesa copta inizia quarantatré giorni prima del Natale. Questo numero ha un significato particolare. Infatti esso si compone di 40 + 3 giorni. Il numero 40 indica sempre il tempo dell’attesa del compimento della promessa del Signore.
Mosé, infatti, rimase sul monte Sinai quaranta giorni prima di ricevere le tavole della Legge di Dio e, parimenti, il popolo di Israele girovagò per quarant’anni nel deserto del Sinai, terra di attesa e di smarrimento, prima di entrare a Canaan, terra della promessa. Nello stesso modo in cui Mosé ricevette il Verbo di Dio in forma scritta così noi, dopo quaranta giorni, gioiamo facendo memoriale del Verbo di Dio fattosi carne il quale ha abitato in mezzo alla gente, l’Emmanuele che interpretato vuol dire “Dio [è] con noi”.
Per quel che concerne, invece, i tre giorni aggiuntivi, essi riguardano un evento eccezionale nella storia della Chiesa copta. Questi tre giorni ricordano il miracolo dello spostamento del monte Muqattam (Il Cairo) avvenuto al tempo del califfo fatimide Al-Mu’izz li-Din Allah nel X secolo d.C. nell’era del patriarcato di Abram Ibn Zar’a. Accadde che il vizir ebreo Ya’qub Bin Killis informò il califfo del fatto che i cristiani avessero un insegnamento che diceva che “se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà”. Racconta la tradizione che il vizir provocò il califfo contro i cristiani con queste parole: “Se la religione dei Copti è vera, che spostino la montagna che è ai confini della nuova città che vuoi costruire [Il Cairo, N.d.T.]“. Il califfo convocò il patriarca e gli ordinò di spostare la montagna. Se i Copti non fossero riusciti a fare ciò, avrebbero dovuto scegliere tra la morte o la conversione all’islam. Il patriarca impose ai fedeli un digiuno totale di tre giorni. Alla fine dei tre giorni la Vergine Maria apparve al patriarca indicandogli un uomo santo chiamato Simone il conciatore (in arabo Samaan al-Dabbagh) per mezzo del quale sarebbe avvenuto il miracolo. Il patriarca, i vescovi e i fedeli si riunirono di fronte alla montagna, pregarono e innalzarono incenso al Signore. Mentre dicevano Kirie Eleison il monte si mosse ed ebbe luogo un grande terremoto. In commemorazione di questo grande miracolo, ha chiesa conserva fino a oggi questo digiuno di tre giorni.
2. La chiesa copta in quale data festeggia il Natale e perché?
La Chiesa copta festeggia il Natale il 29 del quarto mese (chiamato Kiahk) del calendario copto. La Chiesa copta possiede, infatti, un suo proprio calendario, il calendario copto appunto, detto “dei martiri”, che non segue né quello gregoriano né quello giuliano. Si tratta dell’antico calendario faraonico (solare) legato alle stagioni della semina e del raccolto. Il Natale è stato dunque fissato il giorno 29 del mese di Kiahk. Fino al XVI secolo, in cui fu introdotto il calendario gregoriano, cioè all’epoca dell’uso del calendario giuliano, il 29 di Kiahk corrispondeva al 25 dicembre. Quando fu introdotto il calendario gregoriano, il calendario che oggi è in uso nella maggior parte dei paesi, il 29 di Kiahk non corrispose più al 25 dicembre. Oggi il 29 di Kiahk cade il 7 gennaio. Talvolta può corrispondere all’8 a seconda del fatto che l’anno sia di 365 o 366 giorni.
3. Perché nelle chiese orientali il Natale è considerato una festa minore rispetto alla Pasqua?
Prima di tutto, dobbiamo distinguere la celebrazione ecclesiastico-liturgica dalle celebrazioni popolari, o costumi popolari. In tutte le chiese tradizionali, la Pasqua occupa il più importante posto liturgico nel calendario poiché la Risurrezione rappresenta l’annuncio del mistero dell’amore del Figlio di Dio fattosi carne; senza la Croce e senza la Risurrezione non potremmo comprendere il mistero della Nascita.
Quanto alle usanze popolari, un noto storico musulmano del XV secolo, Taqi al-Din al-Maqrizi, riporta la maniera in cui i Copti facevano festa e ci racconta anche la maniera in cui festeggiassero il Natale che, pare, fosse molto simile a quella occidentale. Afferma, infatti, al-Maqrizi:
Ritengono [i cristiani] che questo sia il giorno in cui nacque Cristo il qual giorno cade di lunedì. La vigilia del Natale illuminano e decorano le chiese. Il Natale lo celebrano il 29 di Kiahk. Essa è a tutt’oggi una festa nota in tutte le terre d’Egitto. All’epoca della dawla fatimida venivano distribuiti a tutti i funzionari statali i dolci cairoti, dolci fatti di semola, il giulebbe [acqua di rose, N.d.T.], la zalabiya [frittelle dolci tipiche egiziane, N.d.T.] e il pesce della specie nota con il nome di muggine. Una tradizione dei cristiani è quella di fare fuochi di artificio. Nella città del Cairo e nelle altre provincie il Natale è una grande festa nella quale si vendono lanterne ben decorate e statuine di buona fattura, a gran prezzo. Ma ognuno, sia appartenente a un livello sociale superiore che inferiore, necessariamente ne acquista per i suoi figli e per la sua famiglia. Queste lanterne sono chiamate fawanis – il cui singolare è fanus – e vengono appese nelle botteghe nei mercati. Sono questi manufatti che si trovano in gran numero e sono di grande bellezza tanto che le persone fanno a gara nel venderli al prezzo maggiore. Una di questi che io vidi finì per costare millecinquento dracme d’argento.
Al contrario, quando al-Maqrizi ci parla delle celebrazioni della Pasqua non menziona abitudini popolari particolari. Forse questi festeggiamenti sono andati sparendo a causa della mancanza di giorni di congedo dal lavoro o di libertà di espressione per cause storiche e politiche che vanno ben al di là dell’argomento della nostra conversione. I costumi popolari sono spariti o sono divenuti limitati ma sono rimaste le celebrazioni liturgiche. E’ proprio a causa della ricchezza e della varietà degli eventi di cui si fa memoria nella Pasqua che il Natale appare di un tono più modesto.
4. Brevemente, quanti e quali eucologi (messali) utilizza la Chiesa copta ortodossa?
La Chiesa copta ha tre anafore [liturgie dell'eucarestia]: l’anafora di San Marco l’Evangelista, conosciuta con il nome di San Cirillo, è considerata una delle anafore più antiche del mondo cristiano; l’anafora di San Basilio, vescovo di Cesarea; l’anafora di San Gregorio il Teologo. L’elemento che più di tutti caratterizza l’anafora di San Gregorio è il fatto che, in essa, ci si rivolge in preghiera all’ipostasi del Figlio. Per questo la Chiesa lo utilizza nelle commemorazioni delle feste che riguardano direttamente la persona di Gesù Cristo.
5. Come legge la Chiesa copta l’evento salvifico dell’incarnazione del Verbo e come lo esprime nella sua liturgia? Può darci degli esempi concreti tratti dai testi liturgici stessi (liturgia della parola, preghiera della frazione, inni liturgici ecc..)?
Nella liturgia della parola si leggono i primi versetti della lettera agli Ebrei nella quale l’Apostolo definisce il Cristo come Verbo di Dio inviato per portare l’ultimo definitivo annuncio di Dio. Il Vangelo parla della visita dei Magi per confermare l’universalità della Salvezza: i Magi dell’Oriente, non ebrei, incontrano il Verbo di Dio e Gli offrono doni che esprimono la loro fede e la fede della Chiesa tutta: il figlio della mangiatoia è il Re dei re, il Sommo Sacerdote che ha offerto se stesso a Dio Padre. La preghiera di frazione è la stessa che si recita durante il digiuno di Avvento. Si legge:
Sovrano Signore nostro Dio, il Creatore, l’Invisibile, l’Infinito, l’Immutabile e l’Incomprensibile, Colui il Quale inviò la sua vera Luce, il suo unigenito Figlio Gesù Cristo, il Verbo eterno. Egli, Che è nel seno del Padre in ogni tempo, scese e prese dimora nel verginale grembo immacolato. Ella, essendo vergine, lo diede alla luce, e la sua verginità fu suggellata. Gli angeli lo lodano e le virtù celesti cantano a lui gridando e dicendo: “Santo, Santo, Santo il Signore sabaoth. Il cielo e la terra sono pieni della tua santa gloria”. Allo stesso modo, rendi degni assieme a loro anche noi, miseri e peccatori, o nostro Sovrano buono e Filantropo, di lodarti con cuore puro con lui e con lo Spirito Santo, Trinità consustanziale, e di innalzare gli occhi a te nostro Padre santo che sei nei cieli e dire: Padre nostro…
Questo è l’evento salvifico: stare insieme alle potenze celesti e lodare insieme il Signore assoluto perché il Signore degli angeli è ora con noi, in mezzo a noi.
Gli inni liturgici sono numerosissimi. Ricordiamo, per esempio, un inno che viene cantato nella Salmodia della vigilia di Natale:
Venite o tutti voi che attendete la venuta di Dio. Con gioia andiamo verso Betlemme. GuardiamoLo disteso in una mangiatoia, vestito della nostra carne la quale è stata affrancata dal peccato perché potesse rinnovarsi unendosi a Lui secondo la sua immensa misericordia, affinché noi Lo lodassimo proclamando e dicendo: Gloria a te, o Filantropo! Perché tu sei venuto e ci hai salvati! Oggi a Betlemme siamo testimoni di un mistero ineffabile: vediamo Dio avvolto in panni, che dorme in una stalla. Vediamo i pastori che cantano senza posa, benedicono nel Tuo nome e innalzano lodi spirituali. Quale essere non si meraviglierà nel vedere gli angeli mescolati in mezzo ad uomini peccatori i quali insieme, a una voce, dicono: Gloria a Dio nel più alto del Cieli, pace sulla terra e benevolenza tra gli uomini. Poiché Egli è venuto e ci ha salvati, secondo la sua immensa misericordia. Oggi ci è apparso un mistero ineffabile che è presente dall’eternità: Colui che creò i Cieli per mezzo di un Suo comando è disceso nel ventre di una giovane vergine e da lei è nato. A Lui crediamo senza dubbio alcuno. Prostriamoci dunque a Lui. A Lui gloria sempiterna, ora e sempre e nei secoli dei secoli, amen.