DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

la trasgressione, il nuovo conformismo.

di Franco Ricordi
Tratto da cronache di Liberal del 9 gennaio 2010

C'è da distinguere: non si tratta di colpa e nemmeno di peccato. La trasgressione è qualcosa di diverso perché non si riferisce a un che di originario, tragico come la colpa o teologico come il peccato.

La trasgressione è l'atto stesso della disubbidienza alle regole che l'umanità ha stabilito per se stessa, e che si è riverberata nella società sia in sede etica, religiosa e giuridica. Trasgressore è chi viola una legge, ma anche i costumi morali, civili. Non solo: anche chi attraverso l'espressione artistica e culturale intenda esprimersi in maniera che non risulti consona a quella che implicitamente si avverte come misura della comunicazione sociale. Tuttavia, proprio in questo ambito che potremmo definire estetico, la storia della trasgressione negli ultimi cinquant'anni è cambiata radicalmente: basti pensare al celebre film Ultimo tango a Parigi, all'epoca scandaloso, che oggi potrebbe essere trasmesso tranquillamente in televisione. Se infatti la trasgressione giuridica o religiosa è rimasta pressoché inalterata per tantissimi aspetti, lo stesso non si può dire per ciò che riguarda la trasgressione socioculturale, che ormai è stata ufficializzata dalla stessa impostazione dei canoni pubblicitari che ci assalgono quotidianamente. In tal senso ha visto bene Marcello Veneziani, quando ha affermato che ormai l'unica vera trasgressione è soltanto la tradizione. Personalmente ho avuto la stessa sensazione quando per la prima volta ho visto una esposizione degli artisti Gilbert e George, geniali ritrattisti di loro stessi, sempre rigorosamente vestiti in giacca e cravatta. Ecco, dissi finalmente a me stesso, questa è la vera trasgressione!

Non si può fare a meno di avvertire, in questa nostra epoca di conformismo di massa, un vero e proprio annullamento della trasgressione, il rischio anzi di una sua mistificazione proprio nell'ambito di una normalizzazione. Certo le recenti vicende che hanno sbattuto in prima pagina i vari scandali sessuali, hanno ulteriormente contribuito a una sensazione di trasgressione normalizzata, che viviamo e vivremo sempre di più. E allora bisognerà riflettere su quella che si può chiamare trasgressione nel senso più autentico, anche nella storia artistica e letteraria, per poi rapportarla ai nostri giorni. Solo così potremo capire questa crisi della trasgressione che in qualche modo viviamo. Non si tratta infatti soltanto di un eccesso di libertà che la società occidentale ha conferito a se stessa, e per la quale si possa nutrire anche un senso di nostalgia dell'epoca in cui eravamo repressi. C'è qualcosa di più sottile in questa estensione della trasgressione nel quotidiano, nella massa: e si tratta di una patologia moderna che, attraverso il minimalismo che ha sostituito le ideologie del Novecento, ha contribuito a un vero annientamento dell'autentica trasgressione. L'avvento del minimalismo ha ucciso la trasgressione. Il grande freddo ideologico, seguito alla caduta delle illusioni, ha determinato un'epoca culturalmente bloccata nelle ansie quotidiane di un minimalismo che inibisce la grandezza delle vera trasgressione. Il minimalismo, che è riuscito in qualche maniera a decantare e salvaguardare la delusione storica della Sinistra novecentesca, ha completamente appiattito le prerogative di una vera e sana trasgressività, memore di una letteratura che certo non mancava di grandi esempi. Dai lussuriosi Paolo e Francesca di Dan te al trasgressore per eccellenza di Shakespeare, Macbeth. Dal Prometeo di Eschilo alla trasgressione metafisica di Nietzsche. Dai Masnadieri di Schiller ai Demoni di Dostoevskij fino a risalire alla terribilità del mito di Medea o del Tieste di Seneca, la letteratura e la filosofia occidentale ci hanno fornito in tutte le epoche esempi straordinari in cui la grandezza della trasgressione si è imposta anche come fondamentale messa in crisi dell'umanità, dubbio costante e metodologico della sua evoluzione e avventura. In questo senso è evidente come la trasgressione, nella sua grandezza, possa essere considerata come un concetto assolutamente positivo e dinamico dell'esistenza. Ma proprio per questo ci appare più che mai preoccupante l'epoca di trasgressione di massa che stiamo vivendo, in una inibizione sempre più evidente delle sue prerogative, che impedisce la possibilità di una sua grandezza anche concettuale. La trasgressione, soprattutto nelle arti, rischia di non esistere più: è ridotta ai minimi termini, quasi che fosse qualcosa di implicito, ovvero rapportabile a piccoli episodi quotidiani, ormai riprodotti in serie dalle varie realtà televisive. E in questo senso l'Avanguardia è responsabile di un sempre più pervicace e univoco percorso dissacrante, che ha finito per rendere sterile la sua stessa ancestrale protesta. Ma ancor più responsabile di questa mistificazione è stata certa critica ideologica che ha inteso ufficializzare la trasgressione, soprattutto attraverso una impropria apologia dell'omosessualità, che è divenuta in certi casi conditio-sine-qua-non della stessa espressione artistica. E se D'Annunzio e Pasolini ci hanno lasciato, in maniera antitetica, testimonianza di una grande trasgressione poetica ed esistenziale, non c'è cosa peggiore di chi ne poi ha emulato le tendenze, anche in questi casi rimanendo assai lontano non solo dall'originale ma dalla stessa tragicità che ne ha segnato la quintessenza. La trasgressione è tragica, essenzialmente tragica: e tende necessariamente a una accettazione delle peculiarità tragiche che sono state peraltro decantate anche in contesti anti-tragici, come anzitutto nel cristianesimo ma anche lo stesso marxismo. Ma il problema della nostra epoca è che la trasgressione si è fatta spazio ideologicamente, sostenuta da una Sinistra che l'ha sempre incrementata per accaparrarsene poi tutte le prerogative politiche, ed è finita per costruirne addirittura un sistema di potere, per lo meno all'interno del mondo artistico e culturale. Così, assediata da un lato da una tecnologia pubblicitaria che non finirà mai di volerci accalappiare con la sua forza trasgressiva in sessantaquattresimo, e dall'altro sempre più ideologizzata da un post-marxismo che se ne arroga grottescamente le prerogative politiche, ecco che la trasgressione sta ormai diventando una sorta di barzelletta, sta scomparendo. Che c'è di veramente trasgressivo oggi? Forse è vero: soltanto un rigoroso ritorno alla tradizione, alla quintessenza di ciò che dobbiamo al passato, a ciò che ci lega a esso, forse soltanto una nuova considerazione del nostro essere padri e figli, in un recupero di quello che ha caratterizzato le origini dell'Avanguardia, ci può indicare la via per una rinnovata idea trasgressiva. La crudeltà teorizzata da Artaud, uno dei padri profondi della trasgressione novecentesca, è «anzitutto rigore». E non sarà proprio questo «rigore ontologico» il miglior viatico per ripensare l'autentica trasgressione?