DI L ORENZO F AZZINI « I l male di vivere» di montaliana memoria, l’inedia di «questi sciagurati che mai non fuor vivi», come scriveva Dante nella sua Commedia parlando degli ignavi; l’incapacità di reagire compiendo il bene, secondo Tommaso d’Aquino. Queste alcune figure dell’accidia nella tradizione. Ma come tradurre oggi questo peccato? Nell’ultimo numero della r ivista dei gesuiti La Civiltà Cattolica padre Giovanni Cucci rilancia il tema, definendo il 7° vizio capitale (che il Catechismo della Chiesa cattolica indica anche con il sinonimo di pigrizia) come «il male del nostro tempo». Ma quale volto possiede l’accidia nel 2010? «Nella nostra società essa ha due facce» esordisce Salvatore Natoli, filosofo, docente all’università statale di Milano. «Da un lato è l’indifferenza, dall’altro l’incapacità di portare a termine ciò che si è iniziato». Accidiosi, cioè indifferenti: «Oggi – prosegue Natoli – si fanno le cose senza immedesimarsi: è difficile innamorarsi della propria professione. Penso al lavoro coatto di tanti giovani, ad esempio quelli nei call center. Si diventa sempre più indifferenti nei confronti degli altri. Mentre si mantiene invece grande attenzione verso i prossimi secondo una logica di clan. Poi però nelle relazioni sociali si afferma la maleducazione: come i giovani che distruggono gli oggetti che incontrano». Il filosofo punta l’attenzione soprattutto sulle nuove generazioni dove, a suo dire, si concentra il maggior tasso di pigrizia spirituale: «Vogliono essere attivi e così iniziano tante cose, ma le lasciano a metà: prima provano con il nuoto, poi passano all’equitazione, che mollano quando questa si fa impegnativa: per non parlare dell’università! Insomma, la vita diventa un bricolage. Internet poi è diventato un modo per chattare a vuoto: un modo moderno di essere accidiosi». Il cristianesimo può funzionare come un buon rimedio a questa debolezza morale? «Certo, perché insegna la perseveranza come atteggiamento dello spirito. Punta a far rispettare la Legge e seguire Cristo anche quando questo diventa negativo secondo la società. Il cristianesimo, a mio giudizio, non è credere in qualcosa, ma fare in modo che questo credere diventi prassi. La fede insegna a rispettare le promesse, a prendere un impegno e portarlo a termine: tutt’altro rispetto all’accidioso, che è distratto, lento e non è fedele». Ma esiste un volto positivo dell’accidia? La scrittrice Paola Mastrocola offre una provocazione: «Se vi è una sua accezione negativa, propria della religione, cioè non essere abbastanza pronti a seguire il bene, esiste pure un suo significato 'laico', che è buono». Ovvero? «Penso a chi ha il coraggio di non obbedire alla sfrenatezza operativa attuale, per cui si è sempre obbligati a competere. L’accidia è anticompetitiva, costituisce un valore positivo in un mondo in cui tutti sgomitano». Mastrocola cita poi un riferimento letterario positivamente accidioso: «Ha presente il protagonista del racconto Bartleby lo scrivano di Melville? A chi gli chiede di fare questo o quello, risponde: preferirei di no. Questa è accidia 'buona', l’ otium dei latini, ben diverso dai fannulloni del ministro Brunetta. Sarebbe questo il mestiere degli intellettuali, che invece si dannano tutti l’anima per apparire». Ma chi è allora l’accidioso «positivo» nella nostra era? «Colui che prende la barca e se ne va nell’oceano – risponde la scrittrice piemontese –. Certo non lo sono i giovani, perché, se fossero tali, se ne starebbero sul divano a guardare il soffitto. E così magari verrebbero loro in mente qualche riflessione. E invece non hanno il coraggio del tempo vuoto». Anche Mastrocola concorda con Natoli sull’uso smodato del web come volto contemporaneo dell’accidia: «Vedo i ragazzi imprigionati nell’inganno di queste chat e di Facebook, perennemente collegati con il vuoto e lontani da una relazione vera. La loro è l’accidia del nulla, impegnati a riempire il tempo vuoto». Al cristianesimo l’insegnante-narratrice riconosce di essere «uno dei modi migliori di riempire questo vuoto. È l’indicazione ad agire per un fine morale. Ma mi chiedo: questo ideale fa ancora presa sui ragazzi? Se ci fosse, riempirebbe di senso, ma giovani così non ne vedo». Il monaco Enzo Bianchi , priore di Bose, legge più in chiave sociologica il vizio del «demone meridiano», come la tradizione monastica ha riletto l’accidia: «È una forma di depressione che porta a non impegnarsi più nella vita spirituale e causa la mancanza di desiderare il cambiamento. Evagrio, il padre della Chiesa impareggiabile nella sua acutezza, descriveva l’accidioso come colui che sta alla finestra, poi che si dà al cibo, quindi si alza: non si ferma né pensa, è in una paralisi spirituale». Secondo l’esperto biblista «l’accidia oggi è visibile soprattutto nei giovani, ai quali non viene trasmessa né la fiducia nella vita né la fede nell’uomo. Oggi ci lamentiamo che manca la fede in Dio, ma come è possibile se non esiste più fiducia nel futuro e nella possibilità di costruire la polis? Siamo di fronte ad una paralisi sociale con accenti tipici della depressione. Il ritornello che si sente ripetere è: non vale la pena». Di fronte a questa pigrizia collettiva, il monaco di Biella rilancia la capacità incisiva della fede cristiana: «Il cristianesimo porta la sua fiducia nell’uomo creato a immagine di Dio e nell’amore, come ci ripete Giovanni nelle sue Lettere. Ma noi cristiani crediamo davvero all’amore? Se così fosse, trasmetteremmo fiducia agli altri. È l’amore il miglior antidoto all’accidia». |