Lo storico del cristianesimo e continuatore dell’officina conciliare bolognese di Giuseppe Alberigo, Alberto Melloni, ama i giochi politici in generale, quelli episcopali e vaticani in particolare.
Il suo maestro era un uomo di passione, pregò a lungo per la salita in cielo di Pio XII, come lui stesso confessò in uno scritto occasionale, quando si trattava, negli anni Cinquanta, di soddisfare l’esigenza del rinnovamento ecclesiale.
La fortuna di Melloni è che il rinnovamento da lui auspicato, con parole sempre più esoteriche e bisognose di disambiguazione, affidate a brevi scritti teopolitici pubblicati nel Corriere della Sera, è già arrivato, per così dire, senza spargimento di sangue e di lacrime.
Da un’intervista molto più ingenua del solito (Melloni è di rara intelligenza e spregiudicatezza, come studioso e come persona) si evince che i vescovi italiani sono stati liberati dalla dittatura odiosa di Camillo Ruini, il cardinale che fu pregato nel 1985 di prendere in mano la scabrosa situazione della chiesa italiana, su mandato esplicito e diretto di Giovanni Paolo II e del suo staff di cui faceva parte autorevolmente il cardinale Ratzinger. Reggiano come il prodiano Melloni, e come Prodi con cui ebbe antica familiarità, Ruini sarebbe stato sostituito con Angelo Bagnasco per attestare un cambiamento “voluto e costruito dal Papa” allo scopo di cancellare una stagione negativa della chiesa italiana, quella della politica attiva e del distacco dal territorio, dalle parrocchie e dalle diocesi. Il professore aggiunge che l’autore di questo rinnovamento ecclesiale è, in origine, non tanto Bagnasco, che però ha il merito di lasciare liberi i vescovi laddove con Ruini parlava solo lui, quanto il segretario di stato Tarcisio Bertone, che ha avocato a sé la politica italiana in toto.
“Questo ha avuto un effetto oggettivamente positivo”, spiega Melloni, “ha liberato i vescovi dal problema di decidere se facevano parte della maggioranza o dell’opposizione.
La cura Bertone dunque è stata positiva: si è dimostrata una pratica riabilitativa dell’episcopato italiano, che ha restituito ai vescovi la possibilità di intervenire nel dibattito pubblico, a partire dai problemi che emergono nel territorio”. Il resto dell’intervista è dedicato al rinfocolamento del dissidio, appunto territoriale, tra la Lega Nord e la chiesa milanese, che finalmente è anch’essa territorio liberato della chiesa italiana. Dopo questa intervista all’Espresso, famosa cattedra per le devozioni laiche, si capiscono meglio tante cose.
Quella più importante è che, cercando di impadronirsi con qualche sveltezza delle scelte di governo ecclesiale del Papa e del suo segretario di Stato, le componenti dossettiane, cattolico-democratiche e militanti della chiesa italiana alimentano la querelle ai vertici della Cei e della Santa Sede e spingono, ormai senza più dissimulare nelle buone maniere i loro intendimenti, per uno showdown finale che non ci sarà.
Il Foglio 31 dic. 2009