Roma. Tutti allineati e coperti, i cattolici
impegnati di Roma. Nessuno che la voglia,
o che dica di volerla, Emma Bonino
presidente della regione Lazio. Parroci,
catechisti, operatori pastorali per usare
un neologismo orrendo. Sono molti e rappresentano
una diocesi molto grande: più
di due milioni e 800 mila abitanti, di cui
due milioni 473 mila battezzati distribuiti
in 336 parrocchie, migliaia di preti e decine
di migliaia di religiosi e religiose. Eppure
l’umore percepito nei sondaggi più
freschi (per quello che valgono) è meno
ostile, c’è un testa a testa con la Polverini
e statisticamente una bella fetta di elettori
potenziali della Bonino siede nei banchi
delle 711 chiese dell’Urbe, senza contare
le diocesi suburbicarie (Albano, Frascati,
Palestrina…). Solo che non escono allo
scoperto. Lo fanno invece gli altri.
“Candidarla è un peccato contro natura”,
taglia corto don Filippo Di Giacomo,
vaticanista di lungo corso, nonché ciociaro
doc, che conosce bene sacri palazzi e
base cattolica. “Quel giorno me ne andrò
in gita. Ma come si fa a votare un’abortista
come la Bonino? Sarà perché a suo tempo
ho votato per la lista di Ferrara ma mi pare
un’assurdità, l’ennesimo segnale di confusione
del Pd”. Niente male per uno come
lei che scrive sull’Unità: “Ma se avrà
presentato almeno cinquanta mozioni contro
il Vaticano… è un’anticlericale livorosa”.
“La Bonino non mi è mai piaciuta, non
condivido le sue campagne”, dice Elena
Liberatori, catechista nella parrocchia di
Gesù Divin Maestro, zona Gemelli. “Evidentemente
quelli del centrosinistra non
avevano un nome, avevano chiesto a Zingaretti
ma quello avrà pensato: una poltrona
ce l’ho già. Certo che il Pd sta messo
male, a prescindere dagli ultimi scandali”.
Drastico anche don Nunzio Currao, parroco
di San Filippo Neri alla Pineta Sacchetti,
zona nord. “Come si fa a votare una persona
che porta alta la bandiera del laicismo
e di tutti i controvalori? E’ stata un
buon commissario europeo, ma come governatore
non ce la vedo”. Per di più di
una regione che ospita la Santa Sede.
“Non c’entra. Parlo di valori come la famiglia
e la salute che non sono solo religiosi,
ma umani”. La questione antropologica,
come direbbe il vicario emerito di Roma,
Camillo Ruini. “Qui non si sa più chi è
l’uomo. Cosa succede se alla regione ci
mettiamo una che dice tutto il contrario?”.
Don Nunzio spiega che in parrocchia “si
fanno itinerari di fede poi ognuno decide
in coscienza, ovviamente dopo aver studiato
programmi e candidati”. Insomma non
c’è più il fedele che va dal parroco a chiedergli
chi votare. “Ce n’è più di uno, invece,
e io dico: prendi i tuoi valori e confrontali
con quelli dei candidati”.
Più cauto don Marco Fibbi, parroco di
San Romano martire (quartiere Tiburtino),
fino a pochi mesi fa portavoce del vicariato.
“Noi ci muoviamo a livello prepolitico,
anche perché il laicato non si aspetta
più da noi preti nomi di persone o partiti”.
Tantomeno i più giovani che ostentano
indifferenza alla politica. “La mia comunità
è piena di universitari, la Sapienza
è qui vicino. Non sono interessati ed è
un peccato perché quella è la stagione
ideale. Ma la politica ci riserva uno spettacolo
poco edificante, da entrambe le parti”.
Don Marco conferma che “i fedeli sono
sensibili ai temi etici, solo che trovano poco
riscontro nella prassi politica, così si è
scavato un solco con l’associazionismo cattolico”.
Forse si concentrano le energie
nel sociale a scapito delle battaglie culturali.
“Lo escludo. Quando c’era da mobilitarsi
lo si è fatto: vedi il referendum sulla
legge 40 o la vicenda di Eluana”.
L’associazionismo cattolico a Roma è
presente in massa, un serbatoio di voti. Ma
le bocche sono cucite. Quelli di Sant’Egidio
non hanno voglia di parlare del caso
Bonino, forse anche perché prima di scegliere
la leader radicale era circolato il
nome di Mario Marazziti, portavoce della
comunità. Non si esprimono neanche
quelli del centro Caritas della stazione
Termini. Pulitissimo, efficientissimo, sembra
il Pronto soccorso di una città del
nord: pareti bianche e azzurre, personale
in camice, poster di benvenuto in ideogrammi
cinesi. Se provi a domandargli
della Bonino, ti mettono in mano un biglietto
da visita. “Parli con il nostro addetto
stampa”. Il quale a sua volta rimbalza il
cronista al vicariato “perché la Caritas
non è un’associazione ma un organismo
diocesano”. “Non c’è una posizione ufficiale
sul tema” dice laconico il capo ufficio
stampa, Angelo Zema, che dirige anche
il settimanale diocesano RomaSette. In effetti
il cardinale vicario, Agostino Vallini,
privilegia una linea pastorale e per le questioni
etiche, dice Zema, “rimanda al recente
incontro del Papa con gli amministratori
della regione Lazio, ai quali ha
chiesto una politica di difesa della vita e
di educazione delle giovani generazioni”.
Se la base non parla, si tastano i vertici.
Il presidente delle Acli, Andrea Olivero,
giudica “fortemente negativa” la candidatura
Bonino. “E’ una personalità autorevole,
ma da un Partito democratico che cerca
un rapporto stretto con i cattolici non
mi aspettavo che candidasse una paladina
del laicismo. E poi la Bonino è una liberale
estrema che ha poco a che fare con la
società civile e il sindacato come li intendiamo
noi, fu tra i promotori di un referendum
contro i patronati. Ma il vero problema
è il segnale che si dà al paese. Se nel
Lazio sono i radicali a dare il candidato, e
per di più senza un accordo politico nazionale,
non si può pensare che gli elettori ti
voteranno comunque pur di non scegliere
l’avversario; il male minore non è una logica
sempre vincente”. Eppure ci sono cattolici
che non la mettono giù tanto dura, la
Bonino non li scandalizza. “A parte il fatto
che oggi è difficile identificare l’elettore
cattolico – ribatte Olivero – in molti di
noi l’inquietudine è viva. Noi delle Acli
sulle grandi questioni etiche siamo sempre
stati sulla breccia. Perciò l’alleanza
con i radicali è sbagliata, così il mondo
cattolico non ha alcuna garanzia”.
Meno inquieta Chiara Geloni, vicedirettore
di Europa, quotidiano che ha pubblicato
mail di credenti che definiscono i radicali
“il partito più cristiano al momento
presente in Italia” (evidentemente i simpatizzanti
si annidano nella rete). Anche
lei viene dal mondo cattolico. “Sono di
Massa Carrara e non conosco bene Roma,
ma credo sia una realtà più complessa di
altre diocesi. La politica radicale ha elementi
di attrazione per i cattolici – pena di
morte, fame nel mondo – anche se c’è forte
competizione con Sant’Egidio. Ma la Bonino
si illude se pensa che basti. Dipende
tutto da lei, se vuole fare una bella battaglia
radicale oppure vincere davvero”. Finora
i radicali hanno ragionato così: no al
Vaticano talebano e sì allo scisma sommerso,
i veri credenti li rappresentiamo
noi. Uno schema non particolarmente raffinato.
“Ma non era mai successo che ingaggiassero
una battaglia maggioritaria
come questa. Devono cambiare registro,
ma spero che Bonino ce la faccia”, conclude
Geloni. Almeno una esce allo scoperto.
Il Foglio 28 gennaio 2010