Vi sono personaggi che devono la loro
fama non al proprio mestiere, quanto
alla continua aggressività che dimostrano
verso il cristianesimo. E’ solo grazie a
essa che trasbordano sui giornali e sulle
riviste e che vengono interpellati di
continuo, come oracoli, sugli argomenti
più disparati. Mi riferisco in particolare a
due volti noti della tv italiana: Piergiorgio
Odifreddi e Margherita Hack. Entrambi,
oltre che “scienziati” a tempo perso e
“vaticanisti” a tempo pieno, fanno parte
della Uaar, l’agguerritissima associazione
che ha ottenuto la sentenza di Strasburgo
contro il crocifisso. Entrambi, come gran
parte dei fondatori della suddetta
associazione, hanno più volte rivelato la
loro ammirazione per il comunismo.
Odifreddi, inoltre, può vantare studi in
Urss, al di là della cortina di ferro,
laddove la chiesa era perseguitata in
nome del socialismo “scientifico”, e i suoi
membri venivano sterminati, insieme ai
proletari, ai borghesi, agli anarchici… da
atei illuminati, e molto “razionalisti”.
Margherita Hack, invece, si distingue
da anni per le sue battaglie progressive,
avendo firmato nel 1971, sul settimanale
l’Espresso, un appello contro il
commissario Calabresi, in cui egli
compariva come “torturatore” e
“responsabile della morte di Pinelli”, ed
essendosi candidata più volte nel partito
dei Comunisti Italiani, anche di recente.
Pensavo a questa provenienza
ideologica leggendo alcuni loro articoli,
dedicati, come sempre, ai presunti
ostacoli che la chiesa avrebbe opposto
alla scienza, e scritti con la consueta
abilità propagandistica di marca
bolscevica. Si sa che per 72 anni, nella
Russia sovietica, vennero composti
commedie e racconti sull’Inquisizione,
sul caso Galilei e su mille altri peccati
veri o presunti del cristianesimo, senza
mai che qualcuno potesse interrogarsi
sulla bontà o no dei gulag, delle purghe o
di altri similari stermini di massa.
I comunisti vecchi e nuovi sanno infatti
molto bene quanto sia importante
controllare le parole, impadronendosi
delle più fascinose e suggestive, e quanto
sia del pari essenziale fornire
un’opportuna visione del passato: “La
storia è la politica proiettata nel passato”,
scriveva Pokrovsky, e chi la controlla ha
in pugno il presente. Per questo nell’orbe
sovietico non soltanto i libri di studio
erano quelli decisi dal partito, ma
persino le vicende del partito venivano
scritte e riscritte dal vincitore di turno.
Eppure, anche “scienziati” prestati alla
politica e alla storiografia come i due
personaggi sopra citati dovrebbe sapere,
nel 2000, che la scienza, come l’arte, la
letteratura, la filosofia, la musica, ecc.,
patirono come non mai sotto i regimi
comunisti. Lo ricordava cinquant’anni fa
un evoluzionista ateo come Julian
Huxley, allorché, nel suo “La genetica
sovietica e la scienza” (Longanesi, 1952),
raccontava come i sovietici attaccassero
l’astronomia contemporanea, la teoria
della relatività, e “il concetto di un
universo finito, ma in corso di
espansione”, in quanto “la moderna
teoria astronomica è il principale nemico
ideologico dell’astronomia materialista”.
Per l’Accademia delle scienze russa
Einstein, Bohr e Heisenberg erano
colpevoli di “oscurantismo” e di
“metafisica borghese”, mentre la
genetica di Gregor Mendel veniva
ripudiata perché “razzista”, “mistica” ed
“antiscientifica”. A essa venivano
contrapposte le strampalate
elucubrazioni di Miciurin e Lysenko,
considerate in perfetto accordo col
marxismo materialista; nel contempo gli
scienziati che appoggiavano le teorie
“eterodosse” erano costretti all’abiura,
perdevano il posto, finivano in Siberia o
sparivano nel nulla (Huxley ricorda
Vavilov, Levit, Ivanov, Dubinin, Gause,
Schmalhausen, Jebrak, Sasciarov…).
Un bellissimo libro
Vorrei raccomandare un bellissimo
libro che può fungere da antidoto alle
posizioni dogmatiche di quanti
vorrebbero desumere dalla scienza il
loro roccioso e ideologico ateismo. Mi
riferisco allo splendido lavoro di Roberto
Giovanni Timossi, “L’illusione
dell’ateismo” (san Paolo): non un libello
polemico, senza serietà di analisi, come i
lavori dei due autori citati, ma un trattato
scientifico e argomentato di storia e di
filosofia della scienza. Da esso mi limito a
trarre alcuni concetti espressi da
scienziati veri: James Clerk Maxwell
(1831-1879) e Max Planck (1858-1947). Il
primo, protagonista degli studi
sull’elettromagnetismo, era un fervido
credente, un lettore dei Padri della
chiesa, e sosteneva che vi è per la scienza
un limite invalicabile rappresentato
dall’origine della materia. Lo scienziato
può studiare e comprendere il
“meccanismo interno della molecola”,
ma “risalendo lungo la storia della
materia… la scienza è incompetente a
ragionare sulla creazione della materia
dal nulla”. Per Planck, padre della fisica
dei quanti, “la scienza conduce a un
punto oltre il quale non ci può più
guidare”, ma oltre il quale l’uomo deve
innalzarsi: “Non è certo un caso –
scriveva – che proprio i massimi
pensatori di tutti i tempi siano stati anche
nature profondamente religiose”, perché
“solo coloro che pensano a metà
diventano atei; coloro che vanno a fondo
col loro pensiero e vedono le relazioni
meravigliose tra le leggi universali,
riconoscono una Potenza creatrice”.
Francesco Agnoli
Il Foglio 14 gennaio 2010